Alle 18.30 celebra la Messa al Villaggio per la Terra a Villa Borghese.
Organizzato dal Movimento dei Focolari e Earth Day Italia.
Omelia di S.E. Mons. Angelo De Donatis presso Università Campus Biomedico nel XXV° Anniversario della Fondazione – Roma, 24 aprile 2018
Università Campus Biomedico
XXV Anniversario della Fondazione
Omelia di S.E. Mons. Angelo De Donatis
Roma, 24 aprile 2018
Se avete qualche parola di esortazione per il popolo, parlate!
Questo invito fatto dai capi della sinagoga di Antiochia, dopo l’ascolto della Legge e dei Profeti, è raccolto dall’apostolo Paolo che, alzando la mano, chiede di parlare. E nel suo breve discorso fa una sintesi della storia della salvezza, nei suoi fatti principali, storia che trova poi il compimento nell’annuncio di Giovanni Battista che indica il Cristo.
Paolo, che ha visto la sua vita trasformarsi dall’incontro con il risorto sulla via di Damasco, ora è capace di rileggere l’intera storia di Israele, dandogli un senso pieno in relazione a Cristo.
Anche noi, questa mattina, siamo chiamati a “fare memoria” di un cammino di 25 anni, un tratto relativamente breve, ma significativo, considerando come e quanto questo luogo è cresciuto, diventando, nella nostra città – in particolare dal 2008 in questa sede nella zona sud – un polo ospedaliero e universitario di riferimento. L’intuizione che nel 1988 Monsignor Álvaro del Portillo aveva avuto suggerendo ad alcuni professionisti e docenti la promozione di una clinica universitaria a Roma, è stato un sogno divenuto presto realtà. Se ora dovessi chiedere io a voi se avete qualche parola di esortazione per gli altri, alla luce di questo cammino, credo che sarebbero tante le mani che si alzerebbero per intervenire. E penso che ognuno di voi potrebbe raccontare non solo grandi eventi, ma semplici storie di vita vissuta, di incontri, di vicinanza all’umanità che soffre. E potremmo, ad ogni storia raccontata, ripetere con gioia profonda le parole del salmo: “Canterò in eterno l’amore del Signore”, consapevoli ancora una volta che la sua Fedeltà si manifesta di generazione in generazione, con nostro grande stupore.
L’occasione del 25° sia quindi un richiamo a ritrovare il senso pieno di ogni storia in Cristo. Queste erano le motivazioni di don Àlvaro: offrire soluzioni alla realtà del dolore e della malattia, attingendo allo spirito cristiano di servizio.
Il vangelo di oggi ci aiuta a fissare lo sguardo su Cristo servo. Dopo aver lavato i piedi ai dodici, Gesù ci ricorda che noi siamo inviati di Qualcuno più grande di noi. Saremo beati se metteremo in pratica questo: riconoscere che ogni servizio, ogni annuncio, ogni atto d’amore è riferimento ad un Incontro con Lui. Nella misura in cui attingiamo al suo amore, potremo amare. Nella misura in cui rifiutiamo questo amore, come è successo a Giuda, allora perdiamo il senso della vita stessa, perdiamo noi stessi.
Solo guardando a Lui, il Maestro e Signore, che di lì a poco sarà innalzato sulla croce, i discepoli capiranno che è donandosi totalmente che si contribuisce a rendere la vita degli altri una vita piena. È dando la propria vita che si rende più bella la vita altrui.
Jose Maria Escrivà aveva ben capito tutto questo. In un giorno di agosto del 1931 durante la messa risuonarono in lui le parole di Gesù: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32), e comprese più chiaramente che la missione dei battezzati consiste nell’elevare la Croce di Cristo su ogni realtà sentendo nascere interiormente l’appassionante chiamata a far vivere il vangelo in tutti gli ambiti. Accolse allora senza vacillare l’invito fatto da Gesù all’apostolo Pietro: “Prendi il largo” e lo trasmise a tutta la sua Famiglia spirituale, affinché offrisse alla Chiesa un contributo valido di comunione e di servizio apostolico. Anche questo Campus, che trova radici nella testimonianza evangelica del vostro fondatore, è un “campo” dove prendere il largo, dove spargere il seme del Vangelo, di cui l’umanità di oggi ha un’intensa fame, soprattutto quando è colpita dalla fragilità fisica e spirituale.
Il contesto della Cena e del servizio è un contesto familiare: era la stanza superiore di una casa, probabilmente della famiglia di san Marco, di cui abbiamo celebrato ieri la festa. In questo contesto familiare, quotidiano, Gesù invita i suoi a ripartire, lavandosi i piedi gli uni gli altri.
In 25 anni questo Campus è stato – e continuerà ad essere – un luogo di assistenza e di cura della persona; entrando in questo ambiente non sembra di essere in un ospedale, ma anche qui c’è una dimensione familiare. Qui tanti professionisti, coadiuvati da molti che lavorano a loro fianco, si prendono cura della vita e della salute, con uno stile di accoglienza, di umanità, in cui la relazione è la prima medicina per avviare una terapia adeguata alle diverse malattie del corpo. E, in un luogo in cui il vostro ospedale eccelle per la presenza di macchinari “dell’ultima generazione” – per la diagnosi e la cura delle malattie – ricordatevi sempre che al di là di ogni macchina ci sono due persone: un uomo malato e un uomo che lo cura. Possiamo pure fare una risonanza perfetta del corpo, ma occorre puntare anche alla “risonanza” che può esserci in un’anima che si senta amata.
È così che, come ci ha ricordato Papa Francesco nell’ultima esortazione “Gaudete et exsultate”, possiamo rispondere in pienezza, anche nel contesto lavorativo, alla vocazione di tutti alla santità – tema così caro al vostro fondatore – una santità fatta di piccoli particolari dell’amore. Una santità “della porta accanto”, anche quando si tratta della porta di una camera di degenza o quella di uno studio medico o di una sala operatoria.
Per portare a compimento una missione tanto impegnativa, occorre però un’incessante crescita interiore alimentata dalla preghiera. San Josemaría fu un maestro di preghiera, che egli considerava come straordinaria “arma” per redimere il mondo. Raccomandava sempre: “In primo luogo, orazione; poi, espiazione; in terzo luogo, molto «in terzo luogo», azione” (Cammino, n. 82). Non è un paradosso, ma una ve¬rità perenne: la fecondità dell’apostolato sta innanzitutto nella preghiera e in una vita sacramentale intensa e costante. Questo è, in fondo, il segreto della santità e del vero successo dei santi.
Infine vorrei rivolgermi ai giovani che qui studiano e si esercitano in vista della futura professione accanto ai malati. In un mondo sempre più privo di punti di riferimento, sappiate essere, per i vostri coetanei, testimonianza credibile e gioiosa di come la vita può avere un senso pieno mettendosi a servizio dell’altro, del prossimo più debole. E anche se studiate in vista di un lavoro, non dimenticate mai che essere medici ed infermieri è prima di tutto una vocazione e una missione. Imparate qui, a contatto con l’umanità, in particolare nel servizio agli anziani, a farvi domande profonde e a trovare risposte attingendo alla testimonianza di quei santi della porta accanto, di tante persone che quotidianamente offrono tempo, energie, competenze, e amore per gli altri.
Jose Maria Escriva diceva: “A Gesù si va e si “ritorna” sempre per Maria”. Affidandovi al Signore, chiediamo l’intercessione di Maria, perché ci aiuti, vi aiuti, a rinnovare ogni giorno l’Eccomi, anche presso la croce dell’umanità sofferente.
Preghiera per le vocazioni, la veglia al Maggiore con il vicario De Donatis
Monsignor Angelo De Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma, ha presieduto venerdì 20 aprile al Seminario Romano Maggiore la veglia diocesana in preparazione alla 55ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Ai diaconi che sono poi stati ordinati sacerdoti domenica 22 dal Papa, ha rivolto un invito alla «sequela totale e autentica».
Prima dell’esposizione eucaristica per il momento di adorazione, due degli ordinandi hanno portato la loro testimonianza, raccontando la propria vocazione. Juraj Bašković, 37 anni, croato, che l’ha maturata in seno al Cammino neocatecumenale, ed Emilio Cenani, 32 anni, formatosi al Maggiore, originario di San Frumenzio ma cresciuto nella fede nella parrocchia di Sant’Ippolito.
Ordinati undici sacerdoti per la Diocesi
«Per favore non stancatevi di essere misericordiosi». È l’appello rivolto dal Papa ai nuovi sacerdoti ordinati domenica 22 aprile, Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, nella basilica di San Pietro. Cinque hanno studiato al Pontificio Seminario Romano Maggiore: il ventiseienne Michele Ferrari; Massimo Cunsolo, di 28 anni; Gabriele Nasca, 29 anni; Emilio Cenani, 32 anni; Renato Tarantelli Baccari, 41 anni. Altri sei si sono formati nel Collegio Diocesano Redemptoris Mater: Thierry Randrianantenaina, 27 anni;M oises Pineda Zacarias, nato 28 anni fa; Fabio Alejandro Perdomo Lizcano, 36 anni; Juraj Bašković e Phaolo Van Tan Do, entrambi di 37 anni; il 38enne Peter Dass Thein Lwin.
Provengono dalla congregazione religiosa Famiglia dei Discepoli tre sacerdoti originari dell’India, Sathiyaraj Amalraj, Pradeep Antony Babu Edwin Amalraj, Joseph Mariaraj, e il peruviano William Humberto Mezones Shelton. Francisc Lăcătuş, nato 31 anni fa, ha intrapreso il suo cammino di formazione presso il seminario “Don Orione”. Con il Papa hanno concelebrato monsignor Angelo De Donatis, vicario di Roma, i vescovi ausiliari, i superiori dei seminari interessati e i parroci degli ordinandi. Quattro dei nuovi sacerdoti hanno affiancato il Papa per la recita del Regina Coeli dalla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano.
Omelia di S.E. Mons. Angelo De Donatis in occasione del Natale di Roma – Campidoglio, 21 aprile 2018
Omelia di S.E. Mons. Angelo De Donatis
in occasione del Natale di Roma
Campidoglio, 21 aprile 2018
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“Tu hai parole di vita eterna”.
Questa espressione così ricca e provocante ci rimanda a questo giorno, in cui celebriamo la memoria del Natale di Roma, chiamata la città eterna, ovviamente per analogia. Mi sento di dirvi che la parola eternità dovremmo riservarla a ciò che veramente è eterno. Ma è proprio qui che la provocazione diviene più insistente: perché non proporre a tutti gli abitanti di questa città (ed in particolare ai giovani) di vivere nella speranza, di avere speranza, di camminare nella speranza? E la speranza ha sempre un occhio rivolto verso l’eternità, perché altrimenti è una speranza già limitata e riduttiva.
Nella città, allora, vediamo quanto sia necessario, oggi più che mai, aprire sentieri di speranza e ciascuno potrà farlo secondo le sue competenze e secondo il proprio compito. Agli amministratori compete di permettere che i giovani non perdano la speranza, così come ci chiede fortemente il nostro Vescovo Papa Francesco; e compete anche la responsabilità di operare affinché per gli anziani non ci sia la disperazione della solitudine; così come che tutti i bambini possano vedere un futuro gioioso ed ogni adulto senta la responsabilità e la gioia di impegnarsi per edificare una città serena ed accogliente, inserita in un mondo migliore che – insieme- è possibile costruire. Possiamo negare un’accoglienza carica di speranza ai tanti fratelli e sorelle che bussano alle nostre porte, venendo da paesi lontani e chiedendo uno sguardo di tenerezza ed un conforto umano? Non si esaurisce facilmente l’elenco delle attese di speranza….
Evidentemente alla comunità cristiana compete il compito gioioso – direi il ministero – di annunciare la speranza della vita risorta che Gesù ci ha donato. A noi viene chiesto di proclamare con forza che la vita ha sempre una forza gioiosa, anche nelle difficoltà e che la presenza di Dio nella nostra quotidianità (in cui possiamo realizzare la nostra aspirazione alla felicità e alla santità, come ci ricorda il Papa nella lettera Gaudete et exultate, appena donata alla Chiesa) è un conforto che consente di camminare e di andare oltre, superando le difficoltà.
Lavoriamo insieme nella città, affinché le persone sentano la gioia di vivere insieme e non si fermino alle fatiche di una quotidianità impegnativa, alle delusioni, alle preoccupazioni, alla tristezza che spesso affiorano nelle loro giornate. Lavoriamo affinché questa città riscopra la sua vocazione di essere casa comune ed accogliente, senta forte la responsabilità di essere un centro che irradia valori umani ed evangelici, proprio perché è stata scelta per essere il “cuore” della fede cristiana grazie alla memoria della fede semplice e sincera che i Martiri hanno testimoniato nella storia, offrendo la loro vita nella certezza della Resurrezione e della vittoria di Cristo sulla morte.
Lavoriamo assieme per permettere a questa bella ed amata città di avere sempre lo spirito dell’apertura e del dialogo, di essere segno di accoglienza e di fraternità, di proporre gesti concreti di prossimità e di profezia. Se viviamo in questo spirito e con questo desiderio di collaborazione, certamente potremo dire ad ogni donna e ad ogni uomo della nostra comunità, come avvenne per Tabità: “Ti dico, alzati!” Ritrova la speranza e gioisci della tua vita!
È entrato nella luce della Resurrezione il Rev.do Mons. Bruno Sarto
Il Vicario Generale S.E. Mons. Angelo De Donatis, il Consiglio Episcopale e il Presbiterio della Diocesi di Roma, annunciano che è entrato nella luce della Resurrezione il Reverendo Mons. Bruno Sarto, Parroco della Parrocchia della SS. Trinità a Lunghezza dal 1982 al 2011, e ricordandone il generoso ministero pastorale, lo affidano all’abbraccio misericordioso di Dio.
Le esequie saranno celebrate lunedì 23 aprile 2018 alle ore 11.00 nella Parrocchia di Santa Giustina martire e vergine a Montegalda (Vicenza).
Relazione di S.E. Mons. De Donatis presso Università La Sapienza – Roma, 20 aprile 2018
Università La Sapienza
Incontro a due voci con il Rettore Eugenio Gaudio
sul tema “Il coraggio delle scelte”
Relazione di S.E. Mons. De Donatis
Roma, 20 aprile 2018
Vorrei prendere spunto, per il mio intervento, dal libricino di Nerosfina (don Andrea Cavallini) “Infelici e contenti”, laddove si racconta la storia dell’asino del filosofo Buridano. Quest’asino ha la particolarità di essere intelligente, ma nonostante tutto viene messo a dura prova nel momento in cui viene a trovarsi equidistante tra due mucchi di fieno esattamente uguali. Indeciso su quale mucchio preferire, perché nella sua intelligenza vorrebbe scegliere il migliore, alla fine non mangia nessuno dei due e muore di fame! Questa simpatica, tragica, storia ci ricorda che evidentemente “scegliere” è fondamentale non solo per compiere determinate attività ma anzitutto per vivere. E altrettanto chiaramente si deduce che l’intelligenza da sola non è sufficiente per arrivare a fare delle scelte.
Cos’altro sia importante è riportato nel vangelo di Marco (Mc 10,17-30), nell’incontro tra Gesù e quel ricco che vorrebbe fare qualcosa per avere la vita eterna. Il ricco è bene intenzionato e ha fatto un suo iniziale discernimento, in quanto già osserva i comandamenti e si rivolge a Gesù chiamandolo “Maestro buono”. La posta in gioco è elevata, perché si tratta appunto della vita eterna. A un certo punto l’evangelista stringe l’inquadratura sugli occhi di Gesù, tenendo a sottolineare che «Fissatolo, lo amò». Non si tratta dunque di un fugace e distratto incrociarsi di sguardi, no: qui c’è la dinamica tipica dell’innamorato che ti scruta, ti degna di attenzione, ti stima e già desidera di volerti con sé. Non solo: da quello sguardo, che non sarà ricambiato, si capisce che in quell’incontro il primo a scegliere è stato Gesù.
Ecco: avere la consapevolezza dello sguardo personale d’amore del Maestro è ciò che più dovrebbe contare nel momento in cui ci si appresta a fare delle scelte. Se non si fosse motivati da questo amore divino, il rischio di rimanere immobili di fronte alle innumerevoli, succulente, proposte terrene diventerebbe una certezza. Non c’è nulla in questo mondo di duraturo nel tempo come lo sguardo di Gesù, senza il quale si dovrebbe scegliere ad esempio soltanto in base all’interesse per un obiettivo, oppure in balia dei sentimenti che, lo sappiamo, sono di un momento e ci costringerebbero a continui ripensamenti, al punto da creare una paralisi. In quello sguardo d’amore che ci ha creato, invece, ognuno di noi scorge il futuro della propria vita; solo in quell’incontro ravvicinato si può scoprire la chiamata di Dio e si può capire che ogni scelta autentica in realtà è una risposta.
Sosteneva Benedetto XVI in un messaggio del 2010 per la XXV Giornata mondiale della gioventù: «Gesù, invita il giovane ricco ad andare ben al di là della soddisfazione delle sue aspirazioni e dei suoi progetti personali, gli dice: “Vieni e seguimi!”. La vocazione cristiana scaturisce da una proposta d’amore del Signore e può realizzarsi solo grazie a una risposta d’amore: “Gesù invita i suoi discepoli al dono totale della loro vita, senza calcolo e tornaconto umano, con una fiducia senza riserve in Dio. I santi accolgono quest’invito esigente, e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto. La loro perfezione, nella logica della fede talora umanamente incomprensibile, consiste nel non mettere più al centro se stessi, ma nello scegliere di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo” (Benedetto XVI, Messaggio per la XXV Giornata della Gioventù, 4).
All’Amore occorre dunque rispondere con l’amore. Questa verità è ancor più chiara nell’incontro tra il Risorto e Pietro. A Gesù non interessa giudicare gli errori dell’apostolo che lo aveva rinnegato e abbandonato nel cammino verso la croce. La sete di amore che Gesù ha nei suoi e nei nostri riguardi va oltre ogni peccato, oltre ogni errore. Per ben tre volte il Signore chiede a Pietro: «Mi ami?» facendo seguire alla risposta dell’apostolo la conseguente missione: «Pasci i miei agnelli». E con questa dichiarazione di amore Pietro saprà tutto della propria vita futura: «In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo disse: “Seguimi”» (Gv 21,15-19). Da quel momento Pietro non avrà più dubbi: seguirà Gesù dovunque il Maestro vorrà, in un cammino instancabile che lo porterà a Roma, su un’altra croce, a coronamento di una vita totalmente offerta al Signore. La scelta maturata nell’incontro sincero con Gesù e nel riconoscimento del suo amore incondizionato darà all’apostolo la forza di superare qualsiasi ostacolo e di non lasciarsi travolgere dalla paura.
A questo punto ci si potrebbe chiedere: “Ma allora chi riesce a scegliere, e lo fa pertanto nel disegno d’amore di Dio, sarà inevitabilmente destinato alla croce e alla morte?”. A motivo di questa domanda, chi si affida soltanto all’intelligenza rimane fermo come l’asino di Buridano, perché non riesce a capire con chiarezza quale sia la differenza tra la vita e la morte, tra la luce e le tenebre, tra il male e il bene. Chi invece si fida di Dio riesce ad andare oltre questo ragionamento e ad affrontare senza problemi anche la morte, sicuro che Dio è il Signore della vita e non lo abbandonerà a se stesso.
Ricorda a questo proposito il libro del Deuteronomio: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese in cui tu stai per entrare per prenderne possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, io vi dichiaro oggi che certo perirete» (Dt 30,15-17). Il peccato, ossia la lontananza dall’amore di Dio, confonde le idee e fa apparire la vita come se fosse la morte; a causa del peccato siamo portati a credere che Dio voglia per noi la morte: al contrario la Verità che è il Signore è l’unica via per la vita. Dio ci chiama, ci ama, ci chiede di seguirlo affinché noi possiamo vivere.
Del resto evidenzia Gesù nel vangelo di Giovanni: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25). Per scegliere la vita occorre mettere in conto il passaggio attraverso la morte. Diversamente ci si illuderà di vivere, ma di fatto si percorrerà una strada senza uscita che avrà come destinazione la solitudine, ossia la vera morte, quella che ognuno di noi cerca di evitare sin dalla nascita. A tal proposito l’evangelista Giovanni aggiunge: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte» (1Gv 3,14). Quindi paradossalmente se evitassimo di scegliere di amare per sperare di scampare al sacrificio e alla morte, finiremmo per incappare proprio in ciò da cui si vorrebbe fuggire.
Questa dinamica si esplica anche nella parabola dei talenti (Mt 25,14-30). Nel racconto di Gesù tutti i servi ricevono alcuni talenti: chi dieci, chi cinque, chi uno. Tutti fanno fruttare i propri talenti tranne chi ne aveva ricevuto uno che, per paura, lo andò a sotterrare. Il padrone finirà per togliergli quel talento e condannarlo; ma in realtà potremmo dire che fu il servo stesso ad autocondannarsi per esser rimasto immobile con il suo talento, senza fare dunque alcuna scelta, rinunciando di fatto a vivere.
È quanto accade al giovane ricco, che si distrae dallo sguardo innamorato di Gesù, non investe su di Lui, rimane ancorato ai comandamenti, vissuti a questo punto soltanto per dovere, per formalità, e si allontana verso l’orizzonte della sopravvivenza. Si allontana triste, e non sarebbe potuto essere diversamente, perché avrà intuito da subito di aver perso l’occasione della sua vita, eppure condizionato dalle sue ricchezze non avrà avuto il coraggio di giocarsi, di andare oltre, di fidarsi di quel Maestro buono. Ormai la vita eterna e l’amore di Dio si sono ridotti a un mucchio di fieno al pari di tanti altri che non riuscirà a mangiare. Rinunciando a scegliere, quel ricco si ritroverà circondato solo da delusione, indifferenza, insoddisfazione. E in tale humus la tristezza non potrà che prendere il sopravvento immediatamente.
Nessuno di noi può considerarsi estraneo alla vicenda di questo ricco. Perché, anzi, la precarietà che stiamo vivendo nella nostra società alimenta ancora di più – rispetto alla sua situazione di benessere – la paura di rimanere poveri, di non riuscire a sopravvivere. Il Signore ama ciascuno di noi e ci prospetta un futuro dove non bisogna lottare per la sopravvivenza perché con Lui, anche senza niente, si ha tutto, si è nell’abbondanza, si vive già oggi la vita eterna, in quanto si è partecipi del Suo Amore, che oltrepassa l’indigenza, la violenza, la sofferenza. È importante allora aprirsi all’ascolto, accorgersi della presenza di Gesù, fidarsi di Lui, avere il coraggio di dargli retta, di sperare contro ogni speranza, di mettere in pratica quanto ci chiede, alla maniera in cui Lui si è fidato del Padre e ha fatto la Sua volontà fino in fondo, fino in cima al monte Calvario.
Prendiamo esempio dunque da Gesù. Nella scelta più importante della sua vita, quella che lo ha portato alla passione e alla morte, egli non si è tirato indietro, non è rimasto indifferente, non si è ribellato ma al contrario è stato risoluto e ha avuto la forza di andare avanti, sempre. Nel cammino verso il Golgota, quella che poteva sembrare la fine di un’avventura affascinante verrà a rivelarsi come l’inizio della nuova vita.
Ciò che maggiormente ha aiutato Gesù nella direzione della sua scelta è stato il riferimento costante alla Parola di Dio. Nella preghiera, innanzitutto, per la quale ricavava lungo tempo ogni giorno, malgrado i mille impegni quotidiani, e nell’annuncio della salvezza a quanti lo hanno incontrato di villaggio in villaggio.
In particolare senza la preghiera Gesù non sarebbe riuscito a salire a Gerusalemme. Con la preghiera egli chiedeva conferme, si immergeva nell’intimità dell’amore del Padre, lo ringraziava e lo benediceva per la sua missione. Soprattutto alla vigilia di scelte importanti il ricorso alla preghiera era imprescindibile, non perché amasse delegare il Padre a scegliere al posto suo, ma perché aveva necessità del suo sostegno e della sua luce.
A seguito di una notte di preghiera, il Signore con decisione sceglierà gli apostoli, i suoi più stretti collaboratori a cui affiderà il delicato compito di edificare la Sua Chiesa. E di sicuro grazie a quella notte di preghiera non si sarà mai pentito della sua scelta, neanche quando si ritroverà da solo sulla croce. A motivo di un’altra sofferta notte di preghiera, nell’orto degli ulivi, Gesù si consegna a chi lo verrà ad arrestare per ucciderlo. Seppure avanzerà la richiesta di “passare quel calice”, rimarrà fermo nella decisione di fare la volontà del Padre e grazie a quella comunione di amore riuscirà a sopportare con serenità le torture e le umiliazioni sulla via del Calvario, fino ad arrivare a consolare le donne di Gerusalemme e perdonare coloro che lo stavano inchiodando sulla croce.
La stessa serenità troviamo in Maria, che pur avendo vissuto il dolore più atroce di questa terra, ossia la morte in croce del figlio innocente, avrà la forza di radunare nuovamente gli apostoli, che nel frattempo si erano dispersi per paura, e di rigenerare la Chiesa. Cosa sarebbe stata la Madonna senza quell’intimo rapporto di amore con il Padre e con il Figlio? Avrebbe scelto Giuseppe come sposo? Sarebbe stata capace di affrontare con lui tutte le difficoltà che ha attraversato dal giorno dell’annunciazione in poi, dal parto in una grotta alla fuga in Egitto? Sarebbe sopravvissuta al dolore per la passione di Gesù?
Oltre alla preghiera, per arrivare ad affrontare scelte coraggiose sarebbe indispensabile anche riferirsi a persone già mature nella fede, capaci di illuminarci riguardo la strada da seguire. Come nel caso di San Paolo. L’apostolo delle genti, prima della conversione, non era di certo un indeciso, uno che aveva paura di scegliere. Ma il fondamento delle sue scelte era dettato non dall’amore ma dall’odio, a causa del quale perseguitava e uccideva i cristiani in nome di un ideale che di sicuro riteneva giusto.
L’incontro con Cristo rivoluzionerà la sua vita e le sue scelte. Ma la conversione non avvenne solo grazie alla folgorazione sulla via di Damasco. Quella fu solo la prima tappa di un cammino, come ci ricorda il libro degli Atti degli Apostoli: «Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco. Per tre giorni rimase cieco e non prese né cibo né bevanda» (At 9,8-9). Quindi indispensabile per Paolo è stato chi lo ha guidato per mano a Damasco e soprattutto chi con l’imposizione delle mani gli ha fatto recuperare la vista: Anania, il discepolo che lo battezzò. Con lui altri cristiani aiutarono Paolo a liberarsi del passato, difendendolo da quanti tra i Giudei adesso avrebbero voluto ucciderlo. E ancora, grazie a Barnaba poté unirsi agli apostoli a Gerusalemme.
C’è dunque una comunità che si prodiga per sostenere san Paolo nel processo di conversione. Senza quei discepoli l’apostolo sarebbe potuto rimanere nell’incertezza, nella confusione, non avrebbe potuto proseguire il cammino, non avrebbe riacquistato la vista, sarebbe incappato nelle mani dei nemici, non si sarebbe potuto riconciliare con i Dodici. Senza una comunità anche oggi fare delle scelte coraggiose può diventare un’impresa impossibile. Occorre disponibilità e preparazione degli educatori e umiltà per chi decide di convertirsi e scegliere di seguire Gesù. Un dovere importantissimo specie nella nostra società attuale, caratterizzata da una forte propensione individualista che tende ad attenuare se non a spegnere l’entusiasmo e il desiderio di quanti si vorrebbero impegnare in un progetto di vita “a tempo indeterminato”!
A maggio torna la “Notte sacra”
Dopo il successo dello scorso anno, torna nelle chiese del centro di Roma la “Notte Sacra – Perfetta letizia. Musica e preghiera nel cuore di Roma”, promossa dall’Opera romana pellegrinaggi (Orp) con il contributo del main sponsor EUROMA2, dalle ore 19 di sabato 12 maggio fino alle 8 del mattino seguente. A fare da apripista, sabato 21 aprile, l’oratorio sacro per coro ed ensemble “Aquerò”, ispirato a santa Bernadette, che sarà presentato alle 21 nella basilica parrocchiale di San Marco Evangelista in Campidoglio, alle 21: un racconto in 11 quadri del cammino spirituale di Bernadette, ideato e scritto in musica e testi dall’autore e compositore Marcello Bronzetti. A eseguirlo saranno il Coro e l’Orchestra Fideles et Amati con le soliste Fatima Rosati e Fatima Lucarini, diretti da Tina Vasaturo che, insieme a Bronzetti, è fra gli ideatori del Festival di Musica Sacra di Cortona e della Notte Sacra di Roma.
L’avvicinamento alla Notte Sacra sarà scandito anche da un altro evento che si svolgerà il 4 maggio nella parrocchia della Gran Madre di Dio a Ponte Milvio e avrà al centro due opere di Wolfgang Amadeus Mozart, “Exultate Iubilate” e la “Messa per l’Incoronazione”. Sul palco il Coro e Orchestra Melos Ensemble, con Jennifer Tomassi, Stefania Colesanti, Alberto Marucci e Andrea Romeo, diretti da Filippo Manci.
La Notte Sacra prenderà il via alle 19 di sabato 12 maggio nella chiesa di Sant’Andrea della Valle con la celebrazione dei primi vespri solenni dell’Ascensione, insieme alla Cappella musicale Santi XII Apostoli diretta da Gennaro Becchimanzi. Si proseguirà nella stessa chiesa con Alice in “Alice Recital” e Giovanni Caccamo in “Eterno Tour”, insieme a Beppe D’Onghia e Ensemble con Maria Letizia Gorga. A Santa Maria in Aracoeli si terrà un incontro con padre Massimo Fusarelli, a cui seguirà l’esecuzione di “Il Tesoro e la Sposa”, l’oratorio sacro ispirato a San Francesco, con Lina Sastri, scritto e diretto da monsignor Marco Frisina, che dirigerà il Coro della Diocesi di Roma e l’Orchestra Fideles et Amati.