9 Agosto 2025

Opera romana pellegrinaggi verso il XX Convegno

Ventesima edizione, quest’anno, del Convegno nazionale teologico–pastorale promosso dall’Opera romana pellegrinaggi. L’appuntamento è per il 22 e 23 gennaio alla Pontificia Università Lateranense. A fare da filo conduttore il tema “Il pellegrinaggio e la trasmissione della fede”.

Il convegno si aprirà alle 9, nell’Aula Magna dell’ateneo di piazza San Giovanni in Laterano, con la recita delle lodi presieduta dall’arcivescovo Angelo De Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma. Quindi la presentazione dei lavori a cura di monsignor Remo Chiavarini, amministratore delegato dell’Opera romana pellegrinaggi, e il saluto del vescovo Gianrico Ruzza.

Le due relazioni della prima mattinata sono affidate a padre Frederic Manns, francescano dell’ordine dei Frati minori, professore emerito di esegesi neotestamentaria presso la Facoltà di Scienze Bibliche e Archeologia di Gerusalemme. Nel pomeriggio invece si alterneranno come relatori don Paolo Asolan, docente di Teologia al Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Homisi, e il nuovo direttore dell’Ufficio per la cultura e la pastorale universitaria del Vicariato di Roma monsignor Andrea Lonardo. La conclusione alle 19 con la Messa presieduta dal vescovo Daniele Libanori. 

Martedì 23 gennaio si riprende con la preghiera delle lodi presieduta dal rettore della Lateranense Enrico dal Covolo e gli interventi di monsignor Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, e monsignor Crispino Valenziano, già ordinario di Spiritualità liturgica e di Arte per la liturgia al Pontificio Istituto Liturgico Sant’Anselmo. La conclusione con il pranzo.

Per informazioni e iscrizioni: segreteria organizzativa Convegno nazionale teologico-pastorale, tel. 06.698961, eventi@orpnet.org.

Letture teologiche sui padri dell’Europa

Tre serate dedicate ad altrettanti “padri” dell’Europa: Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman. È il nuovo ciclo delle “Letture teologiche” organizzate dalla diocesi a partire da giovedì prossimo, 11 gennaio. Il primo appuntamento, come gli altri due presieduto e moderato dal presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, sarà dedicato a De Gasperi, primo presidente del Consiglio dei ministri dell’era repubblicana. Giovedì 11 gennaio alle 20, nell’Aula della Conciliazione del Palazzo Lateranense (piazza di San Giovanni in Laterano 6), su “Le basi morali della democrazia” interverranno monsignor Mario Toso, vescovo di Faenza–Modigliana; Giuseppe Tognon, docente alla Lumsa e presidente della Fondazione trentina Alcide De Gasperi, e Alessandro Pajno, presidente del Consiglio di Stato.

Il secondo incontro sarà dedicato al tema “L’economia al servizio dello sviluppo umano e sociale” e imperniato sul Cancelliere federale tedesco che traghettò la Germania dal nazismo alla democrazia. Giovedì 18 (stesso orario) parleranno di Konrad Adenauer monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo di Teramo–Atri; Mario De Caro, docente a Roma Tre, e Bianca Maria Farina, presidente di Poste Italiane.

Ultimo appuntamento, giovedì 25 gennaio, “Identità e integrazione: la prospettiva europea”, dedicato al presidente del Consiglio francese Robert Schuman. Ne parleranno padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di scienze storiche; Maria Chiara Malaguti, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ed Elisabetta Belloni, segretario generale del ministero degli Affari Esteri. Gli incontri, per i quali è prevista l’animazione musicale del sistema Afam del ministero dell’Istruzione, saranno conclusi dal vicario Angelo De Donatis.

Per l’accesso è necessario confermare la presenza alla segreteria organizzativa: tel. 06.69886584,ufficiopastoraleuniversitaria@vicariatusurbis.org. È possibile parcheggiare nel piazzale Giovanni Paolo II antistante l’ingresso del Palazzo Lateranense.

Adolescenti, sette consigli per vivere con coraggio «un’età speciale»

Viaggia, vivi le relazioni, lavora, gioca, impara le lingue, leggi, condividi: per il nuovo anno il pedagogista Daniele Novara ha scritto una lettera agli adolescenti in cui dà loro consigli per «vivere con coraggio» la loro età. È un’età speciale «in cui si capisce che l’infanzia è definitivamente finita e qualcosa di nuovo sta iniziando. Un passaggio che viene percepito dai ragazzi con euforia, ma anche con apprensione – sottolinea -: in fondo tenere un piede nell’infanzia può non essere così male». La lettera di Novara agli adolescenti è un invito a buttarsi nella scoperta del mondo, a non rifugiarsi nell’isolamento di smartphone, computer e social network. E il primo consiglio che dà è «Viaggia! Inizia a conoscere i tuoi limiti e le tue risorse nell’avventura del viaggio, nello spostamento per conoscere nuove città, lingue diverse, altre persone. Non perdere queste occasioni. Convinci i tuoi genitori. Digli che non sono capricci e che il viaggio conta come andare a scuola. Forse di più».

«Vivi le relazioni – è il secondo consiglio di Novara -. Non isolarti. Le relazioni aumentano le tue possibilità. L’indice sociale nel concreto della vita è più importante del quoziente intellettivo. I rapporti che costruisci resteranno. Le amicizie potranno perdersi ma tu avrai imparato a interagire con gli altri, a dare e a prendere, a comunicare e a gestire i tanti conflitti che si creano. Un vantaggio enorme per affrontare le mille sfide che ti aspettano».

La scuola è importante ma secondo Daniele Novara è necessario anche fare piccole esperienze lavorative. «Lavorare stanca, ma fa crescere. Appena puoi, appena un’occasione te lo consente, fai un’esperienza di lavoro. D’estate è l’ideale. Non arrivare a 25 anni senza aver mai lavorato. Si impara da ragazzi a farlo. Metti questa esperienza nel tuo curriculum. Non stare ad aspettare che tutte le pedine siano al loro posto. Provaci subito».

Uno dei rischi dell’adolescenza è che ci si isoli. «Giocare su un prato è meglio che su videoschermo. Non farti fregare. Usare la realtà virtuale è comodo: videogiochi, siti web, contatti anonimi. Ma se ti lasci prendere troppo, ti trovi improvvisamente senza radici stabili, perso in un mondo che ti sembra vero ma che è solo apparenza».

Novara poi sprona i ragazzi ad avere sete di conoscenza. «Impara. La facilità con cui si impara in questa tua età non tornerà più. Sfrutta al meglio questo momento. Le lingue anzitutto. Il nostro caro italiano all’estero serve poco. E poi la musica, lo sport, le competenze tecnologiche, l’affettività e la sessualità. E non snobbare lo studio scolastico. Tutto questo ti resterà per sempre».  Ancora, «leggi! L’eccesso di immagini spegne l’immaginazione. Un libro non ti toglie nulla, aggiunge piuttosto alla tua fantasia la sensibilità che ci metti tu, i collegamenti che puoi fare con la tua vita, le mille emozioni che ti incendiano, le mille riflessioni che ti possono venire». Infine, «condividi. Un futuro migliore dipende anche dalla tua voglia di esserci quando serve il tuo aiuto, dalla capacità di prenderti cura della città in cui vivi, della natura, degli altri. La solidarietà inizia con te».

Il pedagogista conclude la sua lettera agli adolescenti con il poeta Costantino Kavafis. «Sei all’inizio di un lungo viaggio. Prendi tutto quello che puoi. Fai una bella scorta di esperienze. Le parole del grande poeta greco Costantino Kavafis, nella poesia Itaca, sembrano fatte apposta per accompagnarti: “Devi augurarti che la strada sia lunga, che i mattini d’estate siano tanti, quando nei porti – finalmente e con che gioia – toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista madreperle, coralli ebano e ambre, tutta merce fina, anche aromi penetranti d’ogni sorta, più aromi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca – raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca”. Buona adolescenza!».

La lettera è disponibile sul sito del Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.

A Santa Cecilia consacrate due vedove all’Ordo Viduarum

La vedovanza non è il tempo della solitudine ma della maturazione nella consolazione autentica e della testimonianza. Così monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare per il settore Nord e delegato diocesano per l’Ordo Viduarum, ha illustrato il senso profondo della scelta di Liliana e Maria Maddalena, consacrate ieri pomeriggio, 7 gennaio, con la solenne celebrazione nella basilica di Santa Cecilia in Trastevere. «Donando la vostra vedovanza al Signore – ha detto il presule –, guidate dallo Spirito Santo e benedette dalla Chiesa, assumete un gioioso impegno fatto di cose semplici quali l’ascolto della Parola e la sollecitudine nella preghiera e nella carità».

L’istituzione delle vedove professe
che vivono nel mondo, conosciuta fin dall’età apostolica ma proibita nel Medioevo, divenne nuovamente oggetto di interesse dopo la fine della prima guerra mondiale quando la Chiesa non solo tollerò, ma favorì il movimento. Negli ultimi decenni molti vescovi hanno istituito l’Ordo Viduarum nelle proprie diocesi, a Roma è stato il cardinale Agostino Vallini, nel 2013. Oggi si attende che Papa Francesco promulghi la Costituzione apostolica, allo studio della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, con la quale l’Ordo Viduarum sarà ripristinato con le stesse modalità per la Chiesa universale.

«La ministerialità della vostra condizione di solitudine per la mancanza dello sposo con il quale avete condiviso e costruito la vita – ha sottolineato Di Tora rivolgendosi alle vedove -, porta nella comunità il carisma proprio della femminilità» ossia la capacità di una consolazione matura, sperimentata in prima persona e «segno di speranza per le nuove generazioni: la vedovanza, accettata e vissuta cristianamente, manifesta la forza spirituale di un amore che la morte non può distruggere». Particolarmente significativi alcuni momenti del rito come la chiamata nominale delle candidate e la benedizione delle fedi nuziali che il vescovo, dopo la preghiera, ha posto nuovamente al dito delle vedove in segno di consacrazione a Dio, consegnando poi a ciascuna un crocifisso e il libro della Liturgia delle Ore.

Accanto a Di Tora, sull’altare c’erano anche, come concelebranti, don Sandro Amatori, assistente ecclesiastico del gruppo vedove e monsignor Antonio Panfili, vicario episcopale dell’Ufficio per la Vita Consacrata che ha sottolineato quanto «pur nella mancanza dello sposo, la vita di queste due donne, fortemente motivate e consapevoli, è ancora ricca e proficua». Liliana, 73 anni e vedova da 8, vede nella consacrazione all’Ordo Viduarum, che ha conosciuto due anni fa grazie ad una suora durante un viaggio in Terra Santa, il sigillo di un cammino di fede «che per vent’anni è stato immerso nel buio», fino all’incontro con un sacerdote colombiano, padre William Raul Diaz «che è stato capace di riavvicinarmi alla Chiesa». Maria Maddalena, neocatecumenale, ha 64 anni e 4 figli; ha perso il marito Guglielmo 9 anni fa ed ha conosciuto l’Ordo Viduarum leggendo un articolo a riguardo sul quotidiano Avvenire.

Il Papa battezza 34 bimbi: parlate il dialetto dell’amore

Festa del Battesimo del Signore, festa anche per 34 bimbi, 16 maschi e 18 femmine che nella Cappella Sistina sono stati battezzati dalle mani del Papa. Nell’omelia a braccio, tra i pianti dei piccoli, Francesco ha ricordato ai genitori il compito imprescindibile di trasmettere la fede ai propri figli, sostenuti dalla forza dello Spirito Santo. Fatelo nel dialetto della famiglia, nella lingua dell’amore ha detto il Pontefice. Se in casa non si parla quella lingua ha ribadito il Pontefice, la fede non raggiungerà i cuori dei figli. “Gesù ci consiglia di essere come loro, di parlare come loro. Noi non dobbiamo dimenticare questa lingua dei bambini, che parlano come possono, ma è la lingua che piace tanto a Gesù… Il dialetto dei genitori che è l’amore per trasmettere la fede e il dialetto dei bambini che va ricevuto dai genitori per crescere nella fede”.

La carezza del Papa ai piccoli pazienti dell’ospedale di Palidoro

I degenti dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Palidoro hanno festeggiato la vigilia dell’Epifania con Papa Francesco, che a sorpresa ha visitato la struttura, voluta da Paolo VI.

Papa in Perù: un “emoji” su Twitter in occasione della visita

Aumenta l’attesa per l’imminente viaggio di Papa Francesco in Perù (che si terrà dal 18 al 21 gennaio e sarà preceduta dalla visita in Cile). Tenendo conto che sempre più le visite papali vengono seguite e commentate nei social network, e in particolare su Twitter, la Conferenza episcopale peruviana ha creato un cosiddetto “emoji” (una delle tanto popolari “faccine”) collegato agli hashtag #FranciscoenPerú e #UnidosporlaEsperanza (quest’ultimo è lo slogan della visita papale).

L’emoji creato dalla Chiesa peruviana mostra il volto animato e sorridente di Papa Francesco, che apparirà automaticamente ogni volta che saranno digitati i citati hashtag. Nel dare la notizia sul sito ufficiale della visita del Papa in Perù, la Conferenza episcopale fa presente che l’intento è di «ampliare l’informazione riguardante papa Francesco prima, durante e dopo la sua visita». Il sito ha anche una sezione in lingua italiana.

Un cammino d’incontri per Casa Betania

Casa Betania arriverà alla festa dei suoi 25 anni di fondazione, il 10 giugno, attraverso un cammino d’incontri e riflessione su alcuni temi che hanno caratterizzato la storia della cooperativa di accoglienza. Il primo appuntamento del programma di “Famiglie in Rete” si terrà martedì 16 gennaio con il professor Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva. Alle 20.30 sarà ospite della parrocchia di San Lino. Si parlerà dell’educazione dei figli e dei pericoli e delle opportunità del mondo digitale: «Dalla musica al cinema, dal web alla Tv: difendere i ragazzi dai messaggi di un contesto iper-eccitato».

L’incontro con lo scrittore Erri De Luca, dal titolo “Con il passo del viandante” è invece previsto per il 5 febbraio alle 20.30 a San Fulgenzio. Si parlerà dei cammini degli uomini: quello degli emigranti, dei pellegrini, dei vagabondi… perché cammino «è viaggio e il viaggio è l’insieme di quello che si attraversa». Seguirà, il 13 marzo, “Essere giovani: tra speranze e disillusioni”. A fare da relatore, a San Luigi di Monfort, don Luigi Verdi, responsabile della Fraternità di Romena in Casentino. Il 13 aprile sarà la volta del cardinale Peter Turkson a San Leone Magno. Si parlerà della sfida di un’ecologia integrale, mentre il fondatore della comunità monastica di Bose, Enzo Bianchi, a San Lino (3 maggio) parlerà di “Vivere bene, vivere insieme. Ma chi ha paura dell’altro?”.

Divino Amore, alla scuola di don Umberto Terenzi

Dimorare nell’amore di Dio vivendo quotidianamente la relazione con Lui: questo impegno a “rimanere nel Signore” è stato il cuore dell’omelia dell’arcivescovo Angelo De Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma, che ieri mattina, 3 gennaio, ha celebrato l’Eucaristia nella chiesa parrocchiale Santa Famiglia, presso il santuario del Divino Amore, in occasione della quinta Giornata terenziana. «Nel giorno dell’anniversario della morte di don Umberto Terenzi, primo rettore e parroco del santuario mariano – ha spiegato don Domenico Parrotta, direttore del Centro studi terenziani -, noi  figli e figlie della Madonna del Divino Amore ci dedichiamo all’approfondimento e alla riscoperta del carisma del nostro fondatore».

Ed è anche guardando a don Terenzi che De Donatis ha commentato la Parola del giorno, in particolare la prima lettera di san Giovanni apostolo: «Don Umberto invitava ad invocare il Signore in ogni momento della vita, non solo in chiesa ma anche sulla strada, e in particolare nello sconcerto», ha detto il presule facendo riferimento a un’omelia del 1962. «Solo vivendo l’amore che il Padre ci ha donato nel Figlio – ha proseguito -, fatto di gesti concreti e parole sincere, possiamo accogliere la bellezza originaria dalla quale spesso, a motivo del peccato, ci allontaniamo». De Donatis ha sottolineato quanto risultino vani «gli sforzi che ciascuno di noi compie nel tentativo di essere perfetto, e cioè santo, senza peccato», per questo è importante accogliere le parole dell’apostolo Giovanni che «nella sua lettera indica la strada da seguire: lasciarsi generare da Dio perché santità e giustizia sono il frutto dell’amore del Padre». Quindi, l’invito a iniziare ogni giornata del nuovo anno facendo memoria «del grande dono che in Cristo, Agnello di Dio, abbiamo ricevuto» e l’auspicio che «ciascuno possa comprendere che solo in Gesù trova compimento ogni nostro desiderio».

Dopo la Messa, i sacerdoti oblati e le suore figlie della Madonna del Divino Amore hanno condiviso il pranzo comunitario alla Casa del pellegrino. Nel pomeriggio, poi, spazio alla catechesi di suor Giuseppina Di Salvatore, iconografa, che ha realizzato tre pannelli benedetti proprio nella giornata di ieri e posti nella cappella del Seminario della Madonna del Divino Amore. «Le icone carismatiche, raffiguranti l’Annunciazione, la Pentecoste e Maria e Giovanni sotto la croce – ha spiegato don Parrotta – hanno valore vocazionale e saranno preziose per guidare la preghiera e la meditazione personale». Infine, la conclusione con la recita solenne del vespro.

In mattinata era stato presentato il terzo volume di un’edizione critica dei Diari spirituali di don Terenzi relativo ai primi sei anni di attività a Castel di Leva, nucleo originario dell’attuale santuario, «anni importantissimi per le intuizioni carismatiche, semi che oggi vediamo germogliare» ha spiegato ancora don Parrotta. «Per la nostra comunità – ha concluso il religioso – questa è una giornata di interesse spirituale che ci vede riuniti intorno al nostro padre carismatico: è lui che ci ha generati all’amore verso la Madre di Dio e a suo Figlio, per essere i diffusori di questo Divino Amore fino agli estremi confini della terra».

Inizio anno

Durante questi giorni di festa ho pensato a quale sarebbe potuto essere il modo migliore di iniziare l’anno per questa rubrica. Ho appuntato diverse idee che avrò modo di condividere prossimamente, visto che di tante che mi sono ronzate in testa alla fine è stato un episodio capitatomi recentemente a convincermi di essere quello giusto per questo inizio 2018. Lo racconto brevemente.

A inizio dicembre mi invitano per una conferenza su adolescenti e mondo digitale, tema sempre più richiesto e su cui nell’ultimo anno ho avuto modo di intervenire e scrivere spesso. Arrivo sul posto con una relazione rodata e verificata in numerose formazioni con docenti, educatori, genitori e gli stessi adolescenti: parlerò dei social e dei loro processi, di Instagram e di Whatsapp, di echo chamber e drifting postmoderno, di storylling digitale e nuove sintassi mentali della Generazione Zero; lo farò in modo comprensibile e accattivante, susciterò un bel dibattito e l’incontro funzionerà alla grande.

Quando entro nella sala, una bella sala di un complesso al centro del paese che mi ospita, sistemo il pc, carico il prezi dell’intervento, scambio quattro chiacchiere con il signore che si occupa del proiettore. L’ambiente in realtà è semivuoto, probabilmente verrà poca gente, mi dico «pazienza», esco per una breve telefonata a casa prima di iniziare. Quando rientro ecco la sorpresa: la sala si è riempita in tutti i posti, addirittura vedo portare sedie aggiuntive, c’è tanta gente. Resto sorpreso non tanto per l’affluenza inaspettata, quanto per il fatto che non abbia assolutamente visto passare tutte quelle persone, nonostante mi fossi fermato a telefonare su quella che mi era sembrata essere l’unica porta di accesso. Guadagno la via per il tavolo, mi siedo, si avvicina una signora che mi saluta cordialmente, è l’organizzatrice dell’incontro: «Buonasera professore, sono Cristina, ci siamo sentiti telefonicamente, se per lei va bene attendiamo cinque minuti, la tombolata nell’altra sala del centro è appena finita».

Volgo lo sguardo verso l’assemblea con in testa quella parola, «tombolata», inizio a notare ovunque persone anziane, alcune davvero molto anziane. «Ah, avete giocato a tombola?» dico sorridendo alla signora Cristina. «Sì, qui al centro anziani a dicembre lo facciamo ogni venerdì» mi risponde. «Centro anziani» ripeto io meccanicamente, «e quanti anziani ci sono qui al centro anziani?» aggiungo sorridendo, ma in realtà nella mia mente rimbomba questo pensiero: «Sono in un centro anziani? Ma mica me l’avevano detto! E adesso che gli dico? Ma che capiscono della relazione che ho preparato? Questi a malapena hanno utilizzato il telefono della Sip, come glielo spiego come funziona la viralizzazione di un post?!».

«Sì certo, ci sono molti anziani, abbiamo anche diversi novantenni! Sa professore, durante la riunione del gruppo che organizza gli eventi è venuta fuori l’idea di farne uno per capire come funzionano questi impiastri a cui stanno sempre appiccicati i nipoti, così abbiamo chiesto e ci hanno consigliato il suo nome». «Benissimo – rispondo solare -, proveremo a dire qualcosa sugli smartphone (gli impiastri) che sia comprensibile a tutti» ma in realtà sprofondo nella certezza che di quello che ho preparato nessuno realisticamente capirà una virgola. «Pazienza – mi ridico -, provo a dire le cose semplicemente, se poi non capiranno non sarà colpa mia ma di chi ha organizzato».

Inizia la conferenza, mi sforzo di essere semplice, spiego ogni passaggio che potrebbe essere ostico, a tratti sento alcune espressioni davvero troppo lontane, a tratti sento comunque un’attenzione partecipe, fatto sta che riesco a parlare per circa un’ora con la sensazione di non essere stato proprio un marziano. «Ringraziamo il professore per l’interessantissima lezione – dice soddisfatta la signora Cristina -. Se qualcuno volesse chiedere qualcosa o chiarire qualche dubbio ora può, del resto le informazioni sono state tante e certo anche un po’ lontane dalla nostra esperienza».

Intervengono un paio di persone. Una signora fa una prevedibile tirata apocalittica all’insegna del tutto è perduto. Ci sta. Un altro fa i complimenti ma mi rimprovera di avere parlato troppo velocemente. Quando la signora Cristina sta per sciogliere l’assemblea nei saluti finali alza la mano un signore distinto (e davvero molto anziano) che per tutto il tempo mi ha osservato dalla prima fila. Mi dice queste parole, che riporto qui a memoria:

«Caro professore, io la ringrazio tanto per la sua conferenza. Come lei immaginerà noi tutti abbiamo nipoti che usano questi telefoni e certo noi non ci capiamo proprio niente di questi arnesi. Io comunque qualche messaggino lo mando, sono uno che si aggiorna, ecco il mio cellulare. Io professore non potrò imparare mai tutte le cose che ci ha spiegato e forse nemmeno mio figlio e la mia nuora possono farlo per tenere a bada il mio caro nipote. Questi figli saranno sempre più avanti, sa professore, ci sono nati con gli arnesi in mano! Ma una cosa io la posso e la devo fare professore: io a mio nipote so insegnare la speranza. E lo faccio ogni volta che lo vedo. Ci parlo e gli insegno la speranza. Io vengo dalla guerra sa professore? E glielo dico sempre a mio figlio quando si lamenta di continuo di mio nipote che certo che lo deve riprendere, che certe cose non stanno bene, ma che non deve togliergli la speranza. Guai! Hanno una vita davanti, pensi che bellezza! Perché sa professore, a volte questi ragazzi mi sembrano tristi ma io non penso perché ci sono tutti questi pericoli tecnologici. Io penso invece che il vero pericolo per loro sono quelli che non gli insegnano più la speranza. Questi genitori mica la insegnano la speranza, e nemmeno la scuola! Lei la insegna la speranza? E la speranza caro professore serve anche per questo mondo digitale che lei tanto gentilmente ci ha spiegato. La speranza è come il pane professore, e per i figli il pane è ancora più necessario. La speranza professore! Non se la scordi mai!».

Resto in silenzio, non riesco a dire che un «grazie», partecipo a un applauso per niente retorico ma carico di senso. Un applauso nitido nell’indicare una direzione seria e precisa a chiunque, genitore o educatore che sia, abbia anche quest’anno il privilegio di accompagnare i nostri ragazzi nel mistero sorprendente della vita. A tra quindici giorni.

Lutto in diocesi: morto don Antonio Nicolai

Un sacerdote sempre sorridente, impegnato a largo raggio tanto nella pastorale familiare quanto nell’assistenza ai poveri e agli ammalati, capace di coinvolgere e ascoltare tutti con grande pazienza. Questo era don Antonio Nicolai, parroco per 36 anni a Santa Lucia e giudice esterno del Tribunale di appello, morto la mattina di Natale a 79 anni. Una folla immensa ha partecipato ai funerali che si sono svolti nella “sua” parrocchia il 26 dicembre, celebrati dal vicario del Papa per la diocesi di Roma, l’arcivescovo Angelo De Donatis.

Don Pablo Walter Castiglia, attuale segretario particolare del vicario, è stato per dieci anni vice parroco di don Antonio e ricorda la sua grande capacità di accogliere chiunque si trovasse ad affrontare un momento di difficoltà, la sua attenzione verso gli ammalati e le loro famiglie. «Quando moriva qualcuno – racconta – per lungo tempo rimaneva accanto alla famiglia per portare una parola di conforto». Era una persona «molto positiva, di grande intelligenza e al passo con i tempi nonostante l’età» e da lui don Pablo ha imparato a «non arrendersi mai e a lottare sempre in quello in cui si crede, cercando sempre un modo per risolvere i problemi. Per me – aggiunge – era un punto di riferimento importante e mi dava tanta sicurezza».

Monsignor Giorgio Corbellini, vescovo titolare di Abula, lo ha conosciuto nel novembre 1981 quando era un sacerdote studente e fu accolto da don Antonio in qualità di collaboratore parrocchiale. Ricorda la sua particolare attenzione verso gli sposi. «Non concludeva mai una messa senza includere nella benedizione anche le famiglie – afferma -. Aveva per loro un’attenzione particolare e ha sempre lavorato molto per favorire una pastorale nelle modalità più varie come per esempio con le equipe Notre-Dame, movimento laicale di spiritualità coniugale». Non solo. Don Antonio era sempre pronto ad accogliere nuovi collaboratori e si circondava di giovani sacerdoti; in modo particolare, ha ospitato per anni i preti della diocesi di Gozo (Malta) perché «aveva bisogno di cooperatori per portare avanti le tante attività che avviava», aggiunge Corbellini, che a distanza di quasi 40 anni è rimasto particolarmente legato alla parrocchia di Santa Lucia e la domenica spesso offre il suo aiuto per le confessioni.

Per i poveri del quartiere Monte Mario monsignor Nicolai ha avviato nel 1989 una mensa, attiva tutt’ora, nella quale vengono serviti ogni settimana due pranzi, il lunedì e il mercoledì, e una cena, il venerdì. I suoi modi semplici e familiari hanno convinto tanti commercianti della zona a fornire alimenti per la mensa e coinvolto medici e avvocati a prestare assistenza sanitaria e legale a favore delle persone meno agiate. «Era ben voluto da tutti – riferisce ancora don Giorgio -. Era aperto e gioviale, con un innato desiderio di avvicinare la gente e seminare gli insegnamenti del Vangelo. Da lui ho imparato l’attenzione concreta verso le persone».

Francesco: «Il peccato taglia, separa, divide»

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Riprendendo le catechesi sulla celebrazione eucaristica, consideriamo oggi, nel contesto dei riti di introduzione, l’atto penitenziale. Nella sua sobrietà, esso favorisce l’atteggiamento con cui disporsi a celebrare degnamente i santi misteri, ossia riconoscendo davanti a Dio e ai fratelli i nostri peccati, riconoscendo che siamo peccatori. L’invito del sacerdote infatti è rivolto a tutta la comunità in preghiera, perché tutti siamo peccatori. Che cosa può donare il Signore a chi ha già il cuore pieno di sé, del proprio successo? Nulla, perché il presuntuoso è incapace di ricevere perdono, sazio com’è della sua presunta giustizia. Pensiamo alla parabola del fariseo e del pubblicano, dove soltanto il secondo – il pubblicano – torna a casa giustificato, cioè perdonato (cfr Lc 18,9-14). Chi è consapevole delle proprie miserie e abbassa gli occhi con umiltà, sente posarsi su di sé lo sguardo misericordioso di Dio. Sappiamo per esperienza che solo chi sa riconoscere gli sbagli e chiedere scusa riceve la comprensione e il perdono degli altri.

Ascoltare in silenzio la voce della coscienza permette di riconoscere che i nostri pensieri sono distanti dai pensieri divini, che le nostre parole e le nostre azioni sono spesso mondane, guidate cioè da scelte contrarie al Vangelo. Perciò, all’inizio della Messa, compiamo comunitariamente l’atto penitenziale mediante una formula di confessione generale, pronunciata alla prima persona singolare. Ciascuno confessa a Dio e ai fratelli «di avere molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni». Sì, anche in omissioni, ossia di aver tralasciato di fare il bene che avrei potuto fare. Spesso ci sentiamo bravi perché – diciamo – “non ho fatto male a nessuno”. In realtà non basta non fare del male al prossimo, occorre scegliere di fare il bene cogliendo le occasioni per dare buona testimonianza che siamo discepoli di Gesù. È bene sottolineare che confessiamo sia a Dio che ai fratelli di essere peccatori: questo ci aiuta a comprendere la dimensione del peccato che, mentre ci separa da Dio, ci divide anche dai nostri fratelli, e viceversa. Il peccato taglia: taglia il rapporto con Dio e taglia il rapporto con i fratelli, il rapporto nella famiglia, nella società, nella comunità. Il peccato taglia sempre, separa, divide.

Le parole che diciamo con la bocca sono accompagnate dal gesto di battersi il petto, riconoscendo che ho peccato proprio per colpa mia, e non di altri. Capita spesso infatti che, per paura o vergogna, puntiamo il dito per accusare altri. Costa ammettere di essere colpevoli ma ci fa bene confessarlo con sincerità. Confessare i propri peccati. Io ricordo un aneddoto, che raccontava un vecchio missionario, di una donna che è andata a confessarsi e incominciò a dire gli sbagli del marito; poi è passata a raccontare gli sbagli della suocera e poi i peccati dei vicini. A un certo punto, il confessore le ha detto: “Ma, signora, mi dica: ha finito? Benissimo: lei ha finito con i peccati degli altri. Adesso incominci a dire i suoi”. Dire i propri peccati!

Dopo la confessione del peccato, supplichiamo la Beata Vergine Maria, gli Angeli e i Santi di pregare il Signore per noi. Anche in questo è preziosa la comunione dei Santi: cioè, l’intercessione di questi «amici e modelli di vita» (Prefazio del 1° novembre) ci sostiene nel cammino verso la piena comunione con Dio, quando il peccato sarà definitivamente annientato.

Oltre al “Confesso”, si può fare l’atto penitenziale con altre formule, ad esempio: «Pietà di noi, Signore / Contro di te abbiamo peccato. / Mostraci, Signore, la tua misericordia. / E donaci la tua salvezza» (cfr Sal 123,3; 85,8; Ger 14,20). Specialmente la domenica si può compiere la benedizione e l’aspersione dell’acqua in memoria del Battesimo (cfr OGMR, 51), che cancella tutti i peccati. È anche possibile, come parte dell’atto penitenziale, cantare il Kyrie eléison: con antica espressione greca, acclamiamo il Signore – Kyrios – e imploriamo la sua misericordia (ibid., 52).

La Sacra Scrittura ci offre luminosi esempi di figure “penitenti” che, rientrando in sé stessi dopo aver commesso il peccato, trovano il coraggio di togliere la maschera e aprirsi alla grazia che rinnova il cuore. Pensiamo al re Davide e alle parole a lui attribuite nel Salmo: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità» (51,3). Pensiamo al figlio prodigo che ritorna dal padre; o all’invocazione del pubblicano: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore» (Lc 18,13). Pensiamo anche a san Pietro, a Zaccheo, alla donna samaritana. Misurarsi con la fragilità dell’argilla di cui siamo impastati è un’esperienza che ci fortifica: mentre ci fa fare i conti con la nostra debolezza, ci apre il cuore a invocare la misericordia divina che trasforma e converte. E questo è quello che facciamo nell’atto penitenziale all’inizio della Messa.

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