14 Maggio 2025

«Ogni porta chiusa diventi una porta aperta!» – L’omelia della Messa del cardinale Reina in occasione dell’apertura della Porta Santa a San Giovanni in Laterano

Foto Diocesi di Roma / Gennari

Di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata dal cardinale vicario Baldassare Reina nella Messa di oggi, 29 dicembre 2024, festa della Santa Famiglia di Nazareth, in occasione dell’apertura della Porta Santa nella basilica di San Giovanni in Laterano

Con grande gioia abbiamo vissuto il gesto dell’apertura della Porta Santa nella nostra Cattedrale; con esso abbiamo voluto rinnovare la professione di fede in Cristo, Porta della nostra salvezza, confermando il nostro impegno a essere per ogni fratello e sorella segno concreto di speranza, aprendo la porta del nostro cuore attraverso sentimenti di misericordia, bontà e giustizia.

La nostra celebrazione assume una valenza ancor più significativa poiché si inscrive nella festa della Santa Famiglia di Nazareth, modello di ogni comunità domestica e specchio della comunione trinitaria. L’invito che si leva da questa celebrazione è quello di riconoscerci come famiglia di Dio, chiamata a crescere nell’unità e nella carità reciproca e di sostenere con la preghiera tutte le famiglie, in particolare quelle provate da difficoltà e sofferenze. Il gesto simbolico di alcune famiglie che hanno varcato la Porta Santa accanto ai concelebranti rappresenta un’eloquente testimonianza di questa missione, che avvertiamo particolarmente urgente nel nostro tempo.

La Parola di Dio proclamata ci aiuta a meditare sulla nostra identità di figli nel Figlio, chiamati a vivere come famiglia di Dio. La Porta Santa che abbiamo attraversato evoca quel gesto quotidiano che compiamo varcando la soglia delle nostre abitazioni. Questa porta, ora spalancata, ci ha introdotti non solo nella casa del Signore, ma nell’intimo del suo cuore.

L’apostolo Giovanni, nella seconda lettura, ci consegna un annuncio di straordinaria profondità: «Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (1 Gv 3,1). Essere figli di Dio è una realtà fondativa che ci introduce in una relazione viva e trasformante con il Padre. La fede si configura come un’esperienza profonda di relazione, che ci inserisce nella dinamica della figliolanza divina. Questa verità esige una continua riscoperta, un ritorno incessante alla sorgente dell’amore paterno di Dio, che illumina il senso autentico del nostro essere e del nostro agire. In questa luce, la parabola del Padre misericordioso si offre come uno specchio nel quale siamo invitati a riconoscerci.

Per molto tempo l’interpretazione di questa parabola ha separato e contrapposto i due fratelli non cogliendo come entrambi condividessero la fatica di essere figli sulla base di un errore di valutazione nei confronti del padre. Ricorderete, la scena la prende il figlio minore che chiede la parte dell’eredità che gli spetta e parte, convinto che per sentirsi vivo e artefice della sua vita debba emanciparsi dal padre, abbandonare la casa in cui è cresciuto, il ventre che lo ha generato. Ci troviamo di fronte alla rappresentazione chiara del nostro tempo gravato dal peso di un equivoco: quello secondo cui Dio sarebbe il nemico della nostra libertà, l’ostacolo da rimuovere per sentirci finalmente artefici della nostra esistenza.

 

Tuttavia, anche il figlio maggiore, che potrebbe sembrare il modello di fedeltà e obbedienza, è prigioniero di un malinteso profondo. La sua vera condizione emerge chiaramente nella protesta rivolta al padre, quando il fratello minore fa ritorno: «Io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici» (Lc 15,29). In queste parole, si svela un’obbedienza priva di amore, vissuta come servitù a una volontà percepita come dispotica. Entrambi i figli, dunque, finiscono per interpretare il loro posto nella casa del padre non come quello di figli amati, ma come quello di servi: il maggiore, dichiarando di aver servito e il minore, determinandosi a tornare a casa con l’intenzione di chiedere di essere accolto come uno dei salariati del padre.

La sorpresa, però, risiede nella risposta del padre, che interrompe il discorso del figlio minore e, rivolgendosi ai servitori, proclama: «Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,24). Similmente, al figlio maggiore, che manifesta il suo risentimento, il padre risponde con tenerezza disarmante: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15,31). In queste parole c’è un richiamo profondo alla verità della relazione filiale: essere figli non è una condizione guadagnata o meritata, ma un dono che si fonda sull’amore incondizionato del padre. Questo malinteso sulla paternità ha conseguenze dirette sulla fraternità. L’incapacità di accogliere il padre come fonte di amore genera divisioni tra i fratelli, le cui fratture si manifestano con drammaticità. Il rifiuto di partecipare alla festa del ritorno del fratello minore si traduce in un rifiuto del legame di sangue: «Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso» (Lc 15,30). In queste parole, cariche di amarezza e distacco, risuona una negazione della fraternità, un “tuo figlio” che disconosce ogni vincolo con il fratello. Tuttavia, il padre, con un movimento restauratore, risponde: «Questo tuo fratello» (Lc 15,32), cercando di riportare entrambi i figli alla consapevolezza della comune appartenenza familiare.

C’è un dettaglio di questa parabola che ci invita a contemplare nuovamente l’immagine della porta, quella stessa porta che abbiamo attraversato e continueremo a varcare lungo il corso di questo anno di grazia. Nel momento in cui il figlio si incammina per tornare, san Luca sottolinea con toccante precisione: «mentre era ancora lontano» (Lc 15,20). Qui si rivela un tratto straordinario del cuore paterno: il padre non solo attendeva, ma vegliava con speranza incrollabile e, nel vedere da lontano il figlio, sente in sé fremere le viscere di compassione. Non indugia, ma gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia con infinita tenerezza.

Immaginiamo la corsa di questo padre che non si stanca di amare, lo vediamo avvicinarsi con le braccia aperte. Quelle braccia aperte sono la porta santa. Non importa quanto lontani siamo andati, non è rilevante cosa abbiamo fatto, sprecato o rovinato. Nel momento in cui abbiamo deciso di tornare non troveremo mai una porta chiusa, ma un abbraccio che accoglie e benedice.

La casa che ci attende non è altro che la dimora del Padre, il suo cuore, un luogo dove siamo visti anche quando ancora non riusciamo a scorgere Lui. È un cuore che si muove incontro a noi mentre siamo ancora distanti, perché Lui non si è mai separato da noi.

Vogliamo diventare pellegrini di speranza, di questa speranza, di un amore che non si stanca, di una salvezza ritrovata, di una famiglia ricostituita. Da quelle braccia aperte impariamo a essere chiesa, a divenirne il sacramento, famiglia del Dio che libera la nostra libertà verso il bene.

Non esitiamo a varcare la Porta che conduce al cuore di Dio, immagine viva delle sue braccia spalancate per accoglierci. Entriamo con fiducia, gustiamo e contempliamo quanto è buono il Signore (Sal 34,9); e una volta sperimentata la gioia di questa appartenenza filiale, diventiamo instancabili seminatori di speranza e costruttori di fraternità.

Varcare la Porta Santa significa accogliere questa chiamata e vivere come figli nel Figlio, testimoni del Padre che ci aspetta «mentre siamo ancora lontani» (Lc 15,20). È un invito a rispondere alla grazia di Dio con un cuore aperto, lasciandoci riconciliare dal suo abbraccio che ci restituisce dignità e ci rende capaci di costruire relazioni di fraternità autentica.

Oggi, mentre attraversiamo questa Porta che sono le braccia del Padre, il nostro pensiero si rivolge con particolare compassione a coloro che, come il figlio minore della parabola, si sentono lontani e indegni e a quelli che, come il figlio maggiore, portano nel cuore il peso di amarezze profonde e non si sentono più figli amati. Pensiamo ai malati, ai carcerati, a chi è segnato dal dolore, dalla solitudine, dalla povertà o dal fallimento; a chi si è lasciato cadere le braccia per sconforto o mancanza di senso; a chi ha smesso di cercare le braccia del Padre perché chiuso in se stesso o nella sicurezza delle cose del mondo. In questo mondo lacerato da guerre, discordie e disuguaglianze tendiamo le braccia a tutti; facciamo in modo che attraverso le nostre braccia spalancate arrivi un riflesso dell’amore di Dio. Non ci salveremo da soli ma come famiglia e allora è la fraternità che dobbiamo coltivare fino all’estremo delle nostre forze!

Resi figli nel Figlio, facciamo nostra questa missione e impegniamoci a vivere nella gioia del Vangelo. La nostra testimonianza, come quella di Maria e Giuseppe, sia luminosa e feconda, affinché ogni porta chiusa diventi una porta aperta e ogni cuore lontano trovi la via del ritorno nella casa del Padre. Amen.

29 dicembre 2024

San Vincenzo de’ Paoli (Ostia)

San Vincenzo de’ Paoli (Ostia)

Apertura Porta Santa – San Giovanni in Laterano

Apertura Porta Santa – San Giovanni in Laterano

Ore 10:00 Apertura Porta Santa Basilica di  San Giovanni in Laterano

Ore 10:00 Apertura Porta Santa Basilica di  San Giovanni in Laterano

Per i sacerdoti che desiderano concelebrare sono a disposizione dei biglietti presso l’Ufficio Liturgico (al secondo piano del Palazzo Lateranense) che possono essere ritirati entro venerdì 20 dicembre (mercoledì 18 dalle 14.30 alle 17.00; giovedì 19 e venerdì 20 dalle 8.30 alle 13.00). I fedeli che vorranno partecipare alla celebrazione del 29 dicembre non necessitano di biglietto.

Inaugurata la nuova piazza San Giovanni in Laterano

Foto Diocesi di Roma / Gennari

Fontane a raso con zampilli e nebulizzatori, sanpietrini, strisce di prato. E’ stata inaugurata oggi (sabato 28 dicembre 2024), alle ore 16, la nuova piazza San Giovanni in Laterano, dopo i lavori di risistemazione iniziati ad aprile e durati diversi mesi. La piazza è stata inaugurata alla vigilia dell’apertura della Porta Santa nella basilica di San Giovanni in Laterano, che avverrà domani mattina alle ore 10.

Ad aprirla sarà il cardinale vicario Baldo Reina, che ha partecipato alla cerimonia di inaugurazione di oggi pomeriggio; presenti anche il pro prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione l’arcivescovo Rino Fisichella, il sindaco Roberto Gualtieri, l’assessora ai Lavori pubblici Ornella Segnalini, la soprintendente speciale di Roma Daniela Porro, il presidente del VII Municipio Francesco Laddaga.

L’intervento di piazza San Giovanni interessa una superficie di 18mila metri quadri e ha un costo complessivo di 15 milioni di euro, grazie ai finanziamento dei fondi giubilari. Il progetto è stato realizzato dalla società di architettura OneWorks e prevede una ripavimentazione che richiama i motivi cosmateschi della basilica. Inaugurata anche la nuova illuminazione artistica della facciata della cattedrale, curata da Areti.

Il nuovo volto della piazza antistante alla basilica è «un’immagine che ci stimola – ha affermato il cardinale Reina -. Ricorda il nostro essere Chiesa sulla soglia. Una piazza aperta alla città è un appello al nostro essere Chiesa attenta a tutti coloro che la vivono». Con la nuova pavimentazione la piazza, vista da lontano, sembra aprirsi come due braccia che accolgono. Proprio come la Porta Santa di San Giovanni che è l’immagine «delle braccia aperte di Dio», ha aggiunto il vicario riflettendo sul fatto che il Giubileo si è aperto al termine del percorso sulle (Dis)uguaglianze promosso dalla diocesi di Roma in occasione dei 50 anni del convegno sui “mali di Roma”. «È provvidenziale – ha aggiunto -. È l’invito ad essere attenti alle tante disuguaglianze della nostra città. L’apertura della Porta Santa di San Giovanni non può essere solo un gesto legato alla pietà di ognuno ma un gesto al quale corrispondere con una apertura reale della nostra vita e del nostro cuore».

Per il sindaco Gualtieri: «Ora abbiamo una piazza più adeguata a una basilica storica come San Giovanni in Laterano, una piazza con splendide pavimentazioni in marmo, con l’acqua, con del verde, un intervento che chiuderemo in anticipo sul cronoprogramma nella sua configurazione finale: era previsto per marzo ma chiuderemo a febbraio. Nonostante lo stop per i ritrovamenti archeologici, siamo riusciti ad aprire la piazza per l’apertura della Porta Santa: un risultato altro straordinario che testimonia la validità del metodo Giubileo».

28 dicembre 2024

Santa Messa presso la parrocchia Sant’Andrea Avellino

Santa Messa presso la parrocchia Sant’Andrea Avellino

L’indizione della visita pastorale alla diocesi di Roma – La lettera del cardinale vicario

Foto Diocesi di Roma / Gennari

«Non solo “con voi”, ma “tra voi”». Usa questa formula, il cardinale vicario Baldo Reina per annunciare, in questo tempo di Avvento e in coincidenza con l’avvio del Giubileo della Speranza, la visita pastorale alla diocesi di Roma. Di seguito il testo integrale.

Carissimi,
vi raggiungo con questa lettera animato da un profondo desiderio di comunione e condivisione per essere non solo “per voi” ma “tra voi” (Mc 10,43) che sostanzia la qualità relazionale del servizio che il Maestro ha affidato a ogni comunità di discepoli perché non si ceda mai alla tentazione del potere ma si coltivi il desiderio di comunione per servire la Chiesa.

L’inizio del Giubileo e la scelta del Santo Padre di chiamarmi al delicato servizio di suo vicario per la Diocesi di Roma mi spingono a ricercare un rapporto di maggiore conoscenza con ogni realtà di cui si compone la Diocesi e di tutte le persone che l’arricchiscono, così da poter dare corpo al mistero di comunione che deve poter sempre trasparire dal santo popolo di Dio. La comunione in Cristo la si realizza nel segno del comune battesimo e della partecipazione di tutti in vista della missione per il Regno di Dio. Essere popolo missionario è credere e operare insieme per il Vangelo. Infatti siamo stati costituiti come unico corpo, e questa nostra chiesa si edifica attraverso il servizio alle realtà che in ogni forma esprimono bisogno di salvezza.
In questo momento mi afferra l’evidenza che nulla potrei fare senza i presbiteri e i diaconi, senza le associazioni, i gruppi di volontariato, gli operatori pastorali, i religiosi e le religiose. Tendo ora la mia mano per cercare le vostre dove riverbera quanto il nostro Signore Gesù continua a donare attraverso ciascuno. Il dono di Dio ci precede sempre e anche noi possiamo essere sorpresa del gratuito per chi incontriamo. Le sue parole –“questo è il mio corpo, mangiatelo” – non solo costituiscono la forma della Chiesa, una e in comunione di carismi e ministeri, ma vigilano permanentemente sul come essere chiesa.

Per chi come me inizia un’esperienza nuova è necessario darsi un tempo per conoscere e farsi conoscere. Tra le responsabilità che mi sono affidate c’è quella di custodire e di orientare una visione di chiesa, per cui è necessario elaborare i delicati processi che sostengono le decisioni. Sarebbe insensato pensare questo come una pratica solitaria. Il vescovo come i padri e le madri nella vita familiare hanno compiti che afferiscono alla loro condizione che spesso prevedono l’impossibilità di delega. E come si devono mettere in conto errori e incomprensioni, bisogna accettare anche la solitudine. Ma nell’esperienza pastorale dobbiamo imparare a non presumere di poter fare da soli, specialmente in questo tempo dove la complessità delle situazioni esistenziali deve distoglierci dall’illusione dell’autosufficienza. Così nei diversi territori che caratterizzano la nostra Diocesi dobbiamo essere capaci di riconoscere la dignità e il valore di ogni persona impedendo che le differenze, anche di fede, possano impedire la collaborazione.

Ho voluto scrivervi in questo tempo di Avvento, nell’imminenza di celebrare la nascita di Gesù, segno permanente della prossimità di Dio, per comunicarvi il mio bisogno e la mia attesa di incontrarvi, conoscervi, per dialogare, incoraggiarci, ringraziare, chiedere perdono, correggerci, aiutarsi a ricominciare. Con queste intenzioni desidero farvi sapere che a partire dal prossimo mese di gennaio inizierò la visita pastorale alla nostra Diocesi. È lo strumento che da secoli la Chiesa affida ai pastori affinché dedichino del tempo alla conoscenza delle singole comunità, ne ascoltino le gioie e i dolori, riconoscano i carismi e colgano i segni attraverso cui individuare insieme i passi di crescita da compiere. Unito alle necessarie scelte programmatiche ed organizzative di questa esperienza pastorale vorrei che avvertiste il mio desiderio di abbracciare ognuno fraternamente.

Nei prossimi giorni Vi comunicherò le modalità precise di tale visita; intanto Vi chiedo di accompagnarmi con la preghiera; implorate il Signore perché io possa vivere questo servizio con semplicità e gioia.

Consapevole delle fatiche di ognuno Vi accompagno costantemente con la preghiera affinché, insieme, possiamo edificare una comunità sempre più fedele al Vangelo per essere pellegrini e testimoni di speranza.

Baldo Card. Reina

21 dicembre 2024

“Festa della Riconoscenza”: mattinata di festa con i bambini degli oratori (COR)

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Santa Messa con gli ammalati oncologici – Santa Maria della Consolazione al Foro Romano

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SANTA FAMIGLIA

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San Lorenzo al Verano – Santa Messa con i Diaconi Permanenti della Diocesi

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Francesco ha aperto la Porta Santa anche nel carcere di Rebibbia

Mentre fuori era ancora buio e Roma dormiva, l’attività all’interno del nuovo complesso di Rebibbia era già frenetica alle 6.30 di questa mattina, 26 dicembre. Per la prima volta in un Giubileo ordinario, una Porta Santa è stata aperta all’interno di un carcere. Nel giorno in cui la chiesa ricorda santo Stefano, il primo martire, Papa Francesco ha presieduto il rito nella cappella del carcere romano dedicata al Padre Nostro. Il pontefice, accostandosi alla Porta, ha ricordato: «La prima l’ho aperta a Natale a San Pietro ma ho voluto che la seconda fosse qui, in un carcere perché tutti, chi è dentro e chi è fuori, avessero la possibilità di spalancare le porte del cuore. Sia per tutti un impegno a guardare al nostro avvenire con speranza». Già nella bolla di indizione del Giubileo, “Spes non confundit”, Francesco aveva espresso il desiderio di farsi pellegrino di speranza in un luogo di reclusione.

Bergoglio si è avvicinato alla Porta, ornata con fiori bianchi, e, come prevede il rito, l’ha oltrepassata per primo, seguito dal vescovo Benoni Ambarus, ausiliare di Roma, incaricato per l’ambito della Diaconia della carità, da alcuni detenuti e agenti della polizia penitenziaria. Durante la breve omelia, tenuta completamente a braccio, ha ribadito che «aprire la porta significa aprire il cuore, ed è questo che fa la fratellanza. I cuori chiusi non aiutano a vivere, sono duri come pietre e si dimenticano della tenerezza. La grazia del Giubileo è quella di aprire i cuori alla speranza che non delude mai».

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