Papa Wojtyla e i preti disabili

Il Signore disse ancora a Mosè: «Parla ad Aronne e digli: Nelle generazioni future nessun uomo della tua stirpe, che abbia qualche deformità, potrà accostarsi ad offrire il pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né il cieco, né lo zoppo, né chi abbia il viso deforme per difetto o per eccesso, né chi abbia una frattura al piede o alla mano, né un gobbo, né un nano…». Quelle prescrizioni bibliche (Levitico) pesarono per millenni sui disabili. I quali non potevano dir messa se portavano addosso il marchio (fosse l’amputazione di un dito o la cecità dell’occhio sinistro) di un handicap. E nonostante esempi immensi come San Francesco («Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; E il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia») l’idea che un corpo malato fosse frutto di una punizione divina per qualche peccato restò a lungo opprimente. «Un’anima sana non albergherà mai in un corpo malato». Lo confermò nel 1566 il Catechismo del Concilio Tridentino: «Non devono essere promossi agli ordini i deformi per qualche grave vizio corporale e gli storpi. La deformità ha qualcosa di ripugnante e questa menomazione può ostacolare l’amministrazione dei sacramenti». Lo ribadì perfino nel 1917 il Codice di diritto canonico di Benedetto XV, che ricordava tra gli «irregolari per difetto (…) coloro che sono colpiti da menomazioni fisiche e che a causa della loro deformità non siano in grado di adempiere al ministero dell’altare in modo valido». Perché fosse rimossa quella maledizione millenaria che aveva impedito a chissà quanti uomini di grande cuore, grande intelligenza, grande fede l’accesso a una vocazione piena occorrerà aspettare addirittura il 25 gennaio 1983. Quando uscì il Nuovo Codice di Diritto Canonico. Che tra gli «irregolari a ricevere gli ordini» lasciò solo (né avrebbe potuto fare diversamente) «chi è affetto da qualche forma di pazzia o altra infermità psichica, per la quale, consultati i periti, viene giudicato inabile a svolgere nel modo appropriato il ministero». Ma a tutti gli altri, finalmente, spalancò le porte. Ecco, tra i grandi passi di Giovanni Paolo II, in questi giorni di celebrazioni, sarebbe un peccato dimenticare questo.