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Beata Liduina Angela Meneguzzi
4 Ottobre 2019 @ 0:00
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nacque, il 12 settembre 1901, ad Abano Terme, in località Giarre, provincia di Padova, secondogenita degli otto figli di Giuseppe Meneguzzi e Antonia Norbiato. La sua era una famiglia molto modesta di contadini, ma ricca di onestà e di fede, valori che la bambina assimilò ben presto. Al Battesimo, il 24 settembre, ricevette i nomi di Angela ed Elisa, e fu chiamata poi Angelina.
Angelina trascorse l’infanzia nell’ambito familiare e frequentò la scuola locale. Terminata la scuola all’età di 14 anni, per andare incontro alle esigenze economiche della famiglia, iniziò a prestare servizio presso famiglie benestanti. In particolare Angelina comincia a “far la serva” per usare il brutale ma realistico gergo popolare, presso i signori Sette, di cui i Meneguzzi sono fittavoli. I Sette abitavano a Padova in via Sperone Speroni, ma avevano una casa pure in prossimità della stazione ferroviaria di Abano, sulla strada che va da Giarre al centro termale. Si trattava di una famiglia molto in vista, che poteva contare su una fitta rete di rapporti, sia con il mondo civile che con quello ecclesiastico. Presso la famiglia Sette, Angela si ferma sino al termine della prima guerra mondiale. Vi tornerà saltuariamente per sostituire qualcuno. Durante uno di questi “rientri” sono ospiti a pranzo l’arciprete di Abano e Don Giuseppe Danese, un tempo compagno nei giochi infantili e ora sacerdote. In questi anni è al servizio anche nella casa dei cappellani di Abano che, durante l’estate, si trasforma in un piccolo seminario, dal momento che ci vivono anche i cinque seminaristi originari del paese. Angelina considera un privilegio la possibilità di essere utile ai suoi preti e ai giovani aspiranti al sacerdozio.
A 25 anni desiderosa di consacrare tutta la vita al Signore, entra nell’Istituto delle Suore di S. Francesco di Sales a Padova dove prende il nome di Suor Maria Liduina. Qui continua il suo intenso cammino spirituale diffondendo intorno a sé la sua bontà, vivendo ogni suo momento nella semplicità, nell’umiltà e soprattutto nell’amore verso Dio e i fratelli. Destinata nel Collegio S. Croce, tra le ragazze, opera per 11 anni come guardarobiera, infermiera, accompagnatrice, educatrice, ed esse scoprono in lei un’amica capace di ascoltarle, di aiutarle nei loro piccoli problemi e di dare qualche consiglio. In tutte lascia una traccia incancellabile di tenerezza, di serenità e pazienza a tutta prova.
Un desiderio segreto l’accompagna: andare in Missione. Quante volta diceva: “Oh, se potessi andare in Africa!”. Nel febbraio 1937 il suo sogno si realizza. I Padri cappuccini presenti in Etiopia chiedono alla Madre Generale l’aiuto di alcune suore. Partono in 16 e tra queste viene scelta anche Suor Liduina.
Dai Superiori è inviata come missionaria in Etiopia, a Dire Dawa, una città cosmopolita per la presenza di gente dalle origini, costumi e religioni diverse. E qui, in tale mosaico di razze e di religioni, l’umile suora si dedica con fervore alla sua azione missionaria. Non ha grande cultura teologica, ma una forte carica interiore, alimentata dal contatto profondo con Dio. A Dire Dawa suor Liduina seguì in un primo tempo i bambini e le loro mamme, ma ben presto venne chiamata a svolgere servizio infermieristico all’Ospedale Civile Parini che, una volta scoppiata la guerra, divenne ospedale militare, dove convergevano i soldati feriti, verso i quali Liduina è veramente “angelo di carità”. Con tenerezza e dedizione instancabile, curava i mali fisici, vedendo in ogni fratello che soffre l’immagine di Cristo.
Ben presto, il suo nome risuona sulle labbra di tutti, e la cercano, la invocano come una benedizione. Gli indigeni la chiamano “Sorella Gudda” (Grande).
Quando i bombardamenti infuriano sulle città e sull’ospedale, da tutte le bocche esce un unico grido: “Aiuto, Sorella Liduina!”. E lei, incurante del pericolo, trasporta i feriti nel rifugio e corre subito in aiuto di altri. Si curva sopra i morenti per suggerire un atto di contrizione e con l’inseparabile ampolla dell’acqua battezza i bimbi spiranti.
Il suo dono non si limita agli italiani, ai cristiani, ma con vero spirito ecumenico, si volge a bianchi e neri, a cattolici e copti, a musulmani e pagani. Gli indigeni, quasi tutti musulmani, ne restano affascinati e provano una simpatia nuova per la religione cattolica.
Le viene attribuito l’appellativo di “fiamma ecumenica”, perché molto prima del Concilio Vaticano II attua uno degli aspetti più raccomandati dell’ecumenismo. Le anime di Dio precorrono i tempi: sono come fari luminosi che additano la direzione da seguire anche nel buio più fitto.
Le sue cure si estesero anche ai morti che purtroppo aumentarono sempre di numero. Alla fine di giornate faticose si recava al cimitero per pregare e deporre fiori sulle tombe, sostituendosi così alle mamme e alle spose lontane, forse ignare della sorte dei loro cari. Liduina, stremata dalle fatiche, dal torrido clima africano, soprattutto da varie malattie (malaria, tifo addominale, piaghe tropicali, grave tumore) giunge al capolinea del suo viaggio terreno, viaggio piuttosto breve, ma intenso e carico di bene. Venne sottoposta ad un intervento chirurgico, che sembrava ben riuscito, ma delle complicazioni ed una paralisi intestinale stroncano la sua vita a 40 anni, il 2 dicembre 1941, e, cristiani e musulmani la piangono come una mamma.
Suor Liduina muore dunque santamente, a 40 anni, pienamente abbandonata alla volontà di Dio, offrendo la sua esistenza per la pace del mondo. Per desiderio dei soldati che la piangono come una di famiglia, viene sepolta nel cimitero di Dire Dawa, nella parte a loro riservata.
Dopo vent’anni, nel luglio 1961, le spoglie di Suor Liduina sono trasportate a Padova in una Cappella della Casa Madre, dove amici e devoti vengono a salutarla e a invocare la sua intercessione presso Dio. Il 20 ottobre 2002, Liduina Angela Meneguzzi è stata proclamata Beata da Papa Giovanni Paolo II. Suor Liduina ripete a tutti, anche oggi, che l’ecumenismo, quello autentico, si costruisce solo e sempre sulla solida base dell’amore.
PREGHIERA
Padre
ti lodiamo per averci donato
sorella Gudda, Liduina,
perché con la sua vita
ci ha insegnato che “nostro”
non è un aggettivo possessivo
ma è l’esplosione della tua misericordia;
le sue opere gridano che la sofferenza
conosce un unico Padre di tante sorelle
e altrettanti fratelli!
Per sua intercessione ti offriamo
i versi di una poesia palestinese
di una donna anonima del secolo scorso
che parafrasando il libro più santo di tutto l’Antico Testamento
testimonia che nel lutto e nel dolore
solo tu sei la Via, la Verità e la Vita!
Eccoli:
Mio amato / con la pace ho deposto i fiori dell’amore / davanti a te/
con la pace ho cancellato i mari di sangue, per te
Lascia la rabbia / Lascia il dolore / Lascia le armi e vieni
Vieni e viviamo o mio amato e la nostra coperta sarà la pace
Voglio che canti, dolce luce dei miei occhi, e il tuo canto sarà per la pace
Fai sentire al mondo, cuore mio, e di’ a questo mondo:
Lascia la rabbia
Lascia il dolore
Lascia le armi,
Lascia le armi e vieni
a vivere la pace.