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Beato Luc, Monaco (1914-1996)
4 Maggio 2020 @ 0:00
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Beato Luc, Monaco
Paul Dochier nacque a Bourg-de-Péage, nella regione francese della Drôme, il 31 gennaio 1914. A diciassette anni perse il fratello maggiore, André, malato di tubercolosi. Fu probabilmente questo a condurlo alla scelta di diventare medico. Iniziò la pratica ospedaliera nel 1934 e, quattro anni dopo, l’internato presso la facoltà di Medicina nell’università di Lione. Grazie a un collega, cominciò a frequentare l’abbazia trappista di Aiguebelle. Nel 1937, durante un soggiorno in quel luogo, si sentì profondamente sconvolto nel suo intimo: da allora, cominciò ad alternare le proprie giornate tra l’ospedale e l’abbazia. L’abate gli chiese di terminare gli studi, prima di entrare definitivamente.
A confermarlo nella vocazione fu l’incontro con Marthe Robin (Venerabile dal 2014). Concluse l’università, ma poté discutere la tesi solo nel 1940, perché intanto aveva iniziato il servizio militare. Fu inviato inizialmente a Casablanca, ma chiese di essere trasferito a Goulimine, un importante centro carovaniero nel sud del Marocco. Rimase lì per due anni, anche dopo aver ottenuto la licenza di esercitare la medicina, tanto era rimasto colpito dalla povertà delle popolazioni del luogo. Poco dopo la morte della madre, il 7 dicembre 1941, Paul entrò nell’abbazia di Aiguebelle. Scelse volutamente di essere fratello converso, ossia lo stato di vita monastica che poteva permettergli un servizio più umile.
In onore di san Luca, l’evangelista che la tradizione vuole fosse anche medico, assunse il nome di fratel Luc. Cominciò quindi il suo cammino ordinario, tra la lavanderia e la cucina dell’abbazia. Non molto tempo dopo, però, venne a sapere che un suo ex collega, padre di quattro figli, era prigioniero di guerra a Wupperthal, nell’Alta Renania tedesca. Nell’aprile 1943, quindi, partì per sostituirlo. Lo scambio fu accettato: da allora, fratel Luc cominciò a curare i feriti del campo di prigionia, specie quelli di nazionalità russa, i più abbandonati di tutti. Tornò ad Aiguebelle solo dopo la fine della guerra, nel 1945. Emise la professione semplice l’anno dopo, nella festa dell’Assunzione.
Quindi partì per il monastero di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine, in Algeria, insieme ad altri cinque monaci. Il 15 agosto 1949 professò i voti perpetui, primo tra i fratelli conversi. Sin dal suo arrivo, fratel Luc fu incaricato del dispensario collegato al monastero. Quando iniziò la guerra per l’indipendenza dell’Algeria, ebbe il permesso di curare i malati sia nel dispensario, sia a domicilio, dato che le comunicazioni con la città erano diventate difficili per la gente di montagna. Il suo servizio gli valse il rispetto di tutti gli abitanti, che, secondo le categorie di pensiero musulmane, lo consideravano un uomo di Dio. Di fatto, anche in mezzo alle visite e alle incombenze, restava in atteggiamento orante.
Nel luglio 1959, nel pieno della guerra, fratel Luc e un altro monaco furono rapiti dai nazionalisti armati. Vennero rilasciati dopo dieci giorni, solo perché uno dei rapitori riconobbe il primo come il medico che aveva curato alcuni suoi vicini. Fratel Luc ne uscì gravemente compromesso in salute. Venne quindi mandato in Francia per un periodo di riposo, nel monastero di Nostra Signora delle Nevi nell’Ardèche, proprio mentre la comunità di Tibhirine rischiava la chiusura. Nella nuova destinazione fu aperto un ambulatorio apposta per lui, ma desiderava ugualmente tornare in Algeria. L’appello venne accolto: nel 1965 fratel Luc poté rientrare a Tibhirine. Ricominciò i suoi compiti umili, a cominciare da quello di cuciniere-capo. Continuò anche a curare i malati, senza preoccuparsi di ciò che, apparentemente, li rendeva diversi da lui. Per loro mendicava sussidi e aiuti spirituali, curandosi poco di se stesso.
La vita di preghiera dei monaci venne turbata quando le notizie di aggressioni e uccisioni cominciarono a moltiplicarsi. Il 14 dicembre 1993, a Tamesguida, vennero sgozzati dodici croati cristiani. I monaci li conoscevano perché venivano da loro a celebrare la Pasqua. L’accaduto seguiva di due settimane l’ultimatum lanciato dal Gruppo Islamico Armato (GIA), che aveva preso il potere: tutti gli stranieri dovevano lasciare l’Algeria, pena la morte.
La notte del 24 dicembre 1993, alcuni uomini armati si presentarono alla porta del monastero e domandarono di vedere il superiore. Fratel Paul Favre-Mirille, che aveva aperto, andò a cercare padre Christian, il quale parlò col capo del gruppetto, Sayah Attiyah. Le condizioni da lui poste, ovvero che i monaci dessero loro dei soldi, che il loro medico, ovvero fratel Luc, venisse a curare i loro malati e che dessero anche delle medicine, non vennero accettate tutte dal priore, che comunque riferì che avrebbero potuto venire al dispensario del monastero. Fece poi notare all’uomo che stavano per celebrare la nascita del Principe della Pace, ovvero il Natale di Gesù. Gli armati si allontanarono, dopo aver chiesto una parola d’ordine e aver minacciato di tornare. I monaci erano salvi, ma non al sicuro. Si sentivano come presi tra due fuochi: da una parte quelli che chiamavano “fratelli della montagna”, ovvero gli islamisti, e i “fratelli della pianura”, ovvero i militari e le forze di sicurezza dell’esercito algerino.
Fratel Luc non si sottrasse a curare i “fratelli della montagna” come gli era stato richiesto, gratuitamente come sempre. Anche lui, come gli altri confratelli, partecipò al lungo discernimento che si concluse con la scelta di restare, per non abbandonare il popolo algerino. Intensificò la propria preparazione alla morte, ma senza paura. Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, fratel Luc venne rapito insieme a sei monaci. Dopo un mese, un comunicato del Gruppo Islamico Armato (GIA) riferì che i rapiti erano ancora vivi, ma conteneva la minaccia di sgozzarli se non fossero stati liberati alcuni terroristi detenuti. Un ulteriore comunicato, il numero 44, datato 21 maggio, riferì che ai monaci era stata tagliata la gola. Il 30 maggio le loro spoglie vennero ritrovate sul ciglio della strada per Médéa. Si trattava, però, solo delle teste: i corpi rimasero introvabili. Il 26 gennaio 2018 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto relativo al martirio dei religiosi. La memoria liturgica di tutto il gruppo cade l’8 maggio.
Pensieri
«Col suo saper fare, il cuciniere contribuisce a mantenere un buon clima nella vita comune».
«Io sono come un viaggiatore che, con le mani vuote, attende il treno sulla banchina»; così si definiva
«Credo che, nel contesto di un monastero posto al centro di una popolazione talmente povera, il gesto di occuparsi di chi è malato, di chi ha fame, di chi è senza vestiti sia un gesto evangelico ed ecclesiale che si inscrive nella tradizione monastica».
«Poiché è l’incontro con Dio, la morte non può essere oggetto di terrore. La morte è Dio»
«Bisogna risolutamente, e probabilmente ancora a lungo, non indietreggiare davanti allo sforzo eroico di un amore perseverante, disinteressato e soprannaturale»
“Che cosa ci potrà mai capitare? Di andare verso il Signore e di immergersi nella sua tenerezza. Dio è misericordioso, è Colui che perdona. Non c’è vero amore a Dio senza accogliere senza riserve la morte… la morte è Dio!”
Preghiera
Signore, nostro Padre, noi ti lodiamo per la passione, la morte e la risurrezione di tuo Figlio Gesù, lui, il martire per eccellenza da cui viene la nostra salvezza. Tu hai voluto far condividere il suo martirio ai nostri fratelli e sorelle della Chiesa Algerina: Henri e Paul-Helene, Caridad e Esther, Jean, Charles, Alain e Christian, Angele-Marie e Bibiane, Odette, Christian Luc, Christophe, Michel, Bruno, Celestin e Paul, e al tuo vescovo Pierre. Noi ti preghiamo Padre, perché per loro intercessione, si rafforzi il dialogo, il rispetto e l’amore tra i tuoi figli cristiani e musulmani. Benedici l’Algeria e il suo popolo E noi ti renderemo grazie nella pace. Padre, noi invochiamo i nostri fratelli martiri per… (esprimere la grazia richiesta) E tu Maria, che tutti loro hanno amato e che sei venerata nell’Islam, ascolta la nostra preghiera e intercedi per noi presso tuo Figlio Gesù Cristo nostro Signore, che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen