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Beato Luigi Novarese (1914-!984)

8 Giugno 2020 @ 0:00

Beato Luigi Novarese
Luigi, cui la morte porta via il papà per polmonite quando ha appena nove mesi e che da piccolo è delicato e fragile come tre dei suoi otto fratelli, che sono morti in tenera età. Storia ordinaria di famiglia numerosa, che si ammazza di fatica e forse si trascura anche un po’. Per sua fortuna ha una mamma energica e forte, che non risparmia fatica e sacrifici per crescere i sei figli, facendo loro anche da papà, ma se le cose, economicamente parlando, cominciano a scricchiolare subito, costringendola a vendere pian piano i terreni della cascina, finiscono poi con il naufragare miseramente per colpa della malattia di Luigi, colpito a nove anni da una grave forma di tubercolosi ossea, complicata da ascessi purulenti che provocano una sofferenza ai limiti della sopportazione. La santa donna, malgrado il parere dei medici che ormai lo danno per spacciato e sfidando l’ira degli altri figli, mette in vendita anche la cascina e i rimanenti terreni per pagare le costosissime cure dell’epoca, al termine delle quali al giovanotto, ormai sui 17 anni, pronosticano appena un paio di mesi di vita. È a questo punto che nella vita di Luigi fa la sua comparsa don Filippo Rinaldi, pure lui monferrino e terzo successore di don Bosco, che lo invita a fare una novena a Maria Ausiliatrice, per ottenere una guarigione per la quale la scienza medica si è dichiarata impotente. Non una ma ben tre novene sono necessarie (oh, potenza della costanza!) per ottenere una guarigione improvvisa, completa e duratura, ottenuta la quale, oltre a portar le stampelle nella basilica di Torino come ex voto, non resta al giovanotto che mantenere la promessa, fatta durante la novena, di dedicare la sua vita ai malati. Sembrerebbe orientato a fare il medico, ma poi l’improvvisa morte di mamma gli scombina i piani e decide di entrare in seminario. Ovviamente senza un soldo, per cui il suo vescovo gli procura una borsa di studio presso l’Almo Collegio Capranica. Viene ordinato sacerdote il 17 dicembre 1938, consegue poi la licenza in Teologia, la laurea in Diritto canonico e il diploma di avvocato rotale, sempre portandosi dietro, come indelebile ricordo dei terribili anni della malattia, una gamba più corta dell’altra di 15cm, per cui deve far uso di una scarpa ortopedica. Questa sua disabilità non impedisce a Mons. Montini di chiamarlo a lavorare nella Segreteria di Stato, con lo specifico incarico di evadere la corrispondenza che arriva al Papa per i soldati al fronte. Don Luigi scopre così un’altra forma di sofferenza, quella provocata dalla guerra e dalla mancanza di cibo, e per far arrivare gli aiuti pontifici non ha davvero che l’imbarazzo della scelta. Non dimentica però i malati, e con stile innovativo rispetto al suo tempo, lotta contro l’emarginazione dei disabili. Dialoga, senza complessi, con la medicina dimostrando l’efficacia terapeutica della motivazione spirituale nella cura del malato. Fonda case di cura, centri di assistenza, corsi professionali per disabili e infermi, insegnando loro a pensare e vivere in modo nuovo la malattia. Fa maturare una nuova comprensione spirituale e pastorale del malato, che non vuole solo oggetto di carità, ma soggetto di azione nell’opera di evangelizzazione e i suoi “esercizi spirituali dei malati” diventano una grande novità nella Chiesa. Nel 1943 dà vita alla “Lega Sacerdotale Mariana”; quattro anni dopo, insieme a sorella Elvira Myriam Psorulla, crea i “Volontari della Sofferenza”; nel 1950 nascono i Silenziosi Operai della Croce, cui seguono, nel 1952, i Fratelli e le Sorelle degli Ammalati. Muore il 20 luglio 1984 e la Chiesa, dopo aver riconosciuto l’eroicità delle sue virtù e approvato un miracolo attribuito alla sua intercessione, proclamerà beato Mons. Luigi Novarese l’11 maggio 2013.

Luigi, cui la morte porta via il papà per polmonite quando ha appena nove mesi e che da piccolo è delicato e fragile come tre dei suoi otto fratelli, che sono morti in tenera età. Storia ordinaria di famiglia numerosa, che si ammazza di fatica e forse si trascura anche un po’. Per sua fortuna ha una mamma energica e forte, che non risparmia fatica e sacrifici per crescere i sei figli, facendo loro anche da papà, ma se le cose, economicamente parlando, cominciano a scricchiolare subito, costringendola a vendere pian piano i terreni della cascina, finiscono poi con il naufragare miseramente per colpa della malattia di Luigi, colpito a nove anni da una grave forma di tubercolosi ossea, complicata da ascessi purulenti che provocano una sofferenza ai limiti della sopportazione. La santa donna, malgrado il parere dei medici che ormai lo danno per spacciato e sfidando l’ira degli altri figli, mette in vendita anche la cascina e i rimanenti terreni per pagare le costosissime cure dell’epoca, al termine delle quali al giovanotto, ormai sui 17 anni, pronosticano appena un paio di mesi di vita. È a questo punto che nella vita di Luigi fa la sua comparsa don Filippo Rinaldi, pure lui monferrino e terzo successore di don Bosco, che lo invita a fare una novena a Maria Ausiliatrice, per ottenere una guarigione per la quale la scienza medica si è dichiarata impotente. Non una ma ben tre novene sono necessarie (oh, potenza della costanza!) per ottenere una guarigione improvvisa, completa e duratura, ottenuta la quale, oltre a portar le stampelle nella basilica di Torino come ex voto, non resta al giovanotto che mantenere la promessa, fatta durante la novena, di dedicare la sua vita ai malati. Sembrerebbe orientato a fare il medico, ma poi l’improvvisa morte di mamma gli scombina i piani e decide di entrare in seminario. Ovviamente senza un soldo, per cui il suo vescovo gli procura una borsa di studio presso l’Almo Collegio Capranica. Viene ordinato sacerdote il 17 dicembre 1938, consegue poi la licenza in Teologia, la laurea in Diritto canonico e il diploma di avvocato rotale, sempre portandosi dietro, come indelebile ricordo dei terribili anni della malattia, una gamba più corta dell’altra di 15cm, per cui deve far uso di una scarpa ortopedica. Questa sua disabilità non impedisce a Mons. Montini di chiamarlo a lavorare nella Segreteria di Stato, con lo specifico incarico di evadere la corrispondenza che arriva al Papa per i soldati al fronte. Don Luigi scopre così un’altra forma di sofferenza, quella provocata dalla guerra e dalla mancanza di cibo, e per far arrivare gli aiuti pontifici non ha davvero che l’imbarazzo della scelta. Non dimentica però i malati, e con stile innovativo rispetto al suo tempo, lotta contro l’emarginazione dei disabili. Dialoga, senza complessi, con la medicina dimostrando l’efficacia terapeutica della motivazione spirituale nella cura del malato. Fonda case di cura, centri di assistenza, corsi professionali per disabili e infermi, insegnando loro a pensare e vivere in modo nuovo la malattia. Fa maturare una nuova comprensione spirituale e pastorale del malato, che non vuole solo oggetto di carità, ma soggetto di azione nell’opera di evangelizzazione e i suoi “esercizi spirituali dei malati” diventano una grande novità nella Chiesa. Nel 1943 dà vita alla “Lega Sacerdotale Mariana”; quattro anni dopo, insieme a sorella Elvira Myriam Psorulla, crea i “Volontari della Sofferenza”; nel 1950 nascono i Silenziosi Operai della Croce, cui seguono, nel 1952, i Fratelli e le Sorelle degli Ammalati. Muore il 20 luglio 1984 e la Chiesa, dopo aver riconosciuto l’eroicità delle sue virtù e approvato un miracolo attribuito alla sua intercessione, proclamerà beato Mons. Luigi Novarese l’11 maggio 2013.

 

PERCHÉ LA SOFFERENZA?

Si può far buon uso della salute e della malattia, come si può abusare dell’una e dell’altra.
La salute si raccomanda da sé stessa, e non è necessario dire che essa favorisce la preghiera e lo svolgimento della propria attività nell’ambiente in cui il Signore ci ha posti; non così invece la sofferenza. Per tutti, sani e ammalati, unico è il fine: la propria santificazione. Per tutti ancora uguale è il precetto: «Ama il Signore Dio tuo con tutte le tue forze ed il prossimo tuo come te stesso». Gli stessi nemici nostri non possono ignorare Dio; essi lo combattono, quindi, implicitamente, lo riconoscono. La domanda che di solito si pone chi soffre è questa: se il Signore ci ama e ci governa, perché mi lascia così ammalato? Se il Signore veramente esistesse, non permetterebbe tanti dolori. Il motivo è semplice e quanto mai profondo. Perché? Perché è necessaria la sofferenza per redimere l’umanità. La creazione e la restituzione dell’armonia, distrutta dal primo peccato dei nostri progenitori, sono frutti dell’amore soave di Dio. Egli ha creato l’umanità senza imperfezione alcuna; tutto è perfetto quello che procede da Dio. L’umanità non soltanto fu creata senza alcuna imperfezione; ma il Signore, nella sua immensa munificenza, le volle aggiungere doni al disopra di quello che potesse esigere la natura umana stessa, come per esempio l’immortalità, la scienza senza la fatica di dover studiare e, quel che più conta, diede ai nostri progenitori il dono della sua amicizia, mediante la quale non soltanto essi erano sue creature, ma ne diventavano anche figli fatti partecipi della divina natura. Dio, però, voleva che l’uomo, amandolo liberamente, lo servisse per amore, per cui Egli lo lasciò libero delle sue azioni, rispettando così la dignità della natura umana, non essendo infatti meritorio tutto ciò che viene fatto per forza.