Imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza

San Giuseppe: Padre nella tenerezza
Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli
uomini» (Lc 2,52). Come il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare,
tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava
su di lui per dargli da mangiare” (cfr Os 11,3-4).
Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe: «Come è tenero un padre verso i figli, così il
Signore è tenero verso quelli che lo temono» (Sal 103,13).
Giuseppe avrà sentito certamente riecheggiare nella sinagoga, durante la preghiera dei Salmi, che
il Dio d’Israele è un Dio di tenerezza,[11] che è buono verso tutti e «la sua tenerezza si espande
su tutte le creature» (Sal 145,9).
La storia della salvezza si compie «nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18) attraverso le
nostre debolezze. Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e
vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e
nonostante la nostra debolezza. È questo che fa dire a San Paolo: «Affinché io non monti in
superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io
non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da
me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella
debolezza”» (2 Cor 12,7-9).


Se questa è la prospettiva dell’economia della salvezza, dobbiamo imparare ad accogliere la
nostra debolezza con profonda tenerezza.[12]
Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce
con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito
puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di
accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità. Solo la tenerezza ci
salverà dall’opera dell’Accusatore (cfr Ap 12,10). Per questo è importante incontrare la
Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e
tenerezza. Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità, ma, se lo fa, è per condannarci.
Noi sappiamo però che la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia,
ci sostiene, ci perdona. La Verità si presenta a noi sempre come il Padre misericordioso della
parabola (cfr Lc 15,11-32): ci viene incontro, ci ridona la dignità, ci rimette in piedi, fa festa per noi,
con la motivazione che «questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato
ritrovato» (v. 24).
Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto.
Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare
anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in
mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca.
A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande.