Lunlunedì | Marmartedì | Mermercoledì | Giogiovedì | Venvenerdì | Sabsabato | Domdomenica |
---|---|---|---|---|---|---|
22 Aprile 2024 |
23 Aprile 2024-: Chiara Maria Bruno, Testimone (1991-2016)-: Chiara Maria Bruno, Testimone (1991-2016)23 Aprile 2024 - Chiara Maria Bruno Il cammino di Chiara Maria: dall’ospedale al Paradiso Chiara Maria Bruno una ragazza solare, con tanta voglia di vivere e piena di interessi: lo studio, la pallavolo, la sua comunità parrocchiale. Era sempre circondata da tanti amici; amava la vita e la malattia non l’ha cambiata. Nel 2010, all’età di 19 anni, appaiono sul suo corpo le prime macchie cutanee. Passano cinque lunghi anni di visite mediche, controlli ed esami clinici in cui queste manifestazioni cutanee venivano trattate, all’inizio, come fossero causate da stress e poi come forme allergiche. Nel luglio del 2015 la diagnosi: linfoma di Hodgkin di tipo T cutaneo, una rara malattia che colpisce, soprattutto, uomini adulti. Col progredire della malattia le macchie si trasformano in vere proprie lesioni cutanee che le provocano molto dolore. Dopo un primo momento di sgomento, Chiara non si diede per vinta e affrontò tutto con coraggio e determinazione; seguita da medici onco-ematologi, seguì un percorso di cura che partì da terapie più lievi fino ad arrivare alla chemioterapia. Tanti cicli che non le impedirono di continuare a studiare all’Università nella Facoltà di Chimica e Tecnologia farmaceutica, a frequentare con assiduità la sua “comunità”, senza mai dimenticare ed aiutare chi era in difficoltà. In un primo momento sembrò che le cure avessero effetto, anche se, Chiara, era perfettamente cosciente della gravità della malattia, ma non si chiese, mai, il perché Dio le avesse dato questa sofferenza, entrando nella Sua volontà senza riserve. La sua bellezza non sfiorì mai, sul suo volto c’era sempre il sorriso, anche quando perse tutti i suoi meravigliosi capelli. Si accese la speranza di un trapianto di midollo osseo, avendo la sorella una compatibilità completa con il suo, ma solo con la remissione completa della sua malattia. Chiara Maria voleva formare una famiglia con il sua amato fidanzato Stefano e quando seppe che il trapianto l’avrebbe resa sterile, con l’aiuto dei medici, conservò quella che sarebbe stata la fonte di vita. La situazione precipita il 5 marzo 2016, una crisi comiziale la portò in ospedale dove le venne comunicato che il tumore era arrivato al cervello e i giorni che seguirono, il Policlinico di Tor Vergata, il reparto di Ematologia Oncologica, diventò la strada della Passione che conduce a Gesù. I giorni che seguirono furono terribili ma nello stesso tempo, quel reparto, o meglio la piccola sala d’aspetto di quel reparto, divenne il centro del mondo dove la Shekhinah di Dio scese su tutti coloro che erano attirati irrimediabilmente lì. Nei corridoi, nella Cappellina, nel cortile dell’ospedale non si fermava la preghiera incessante che tutti insieme rivolgevamo a Dio. Persone conosciute per caso, amici, fratelli di comunità, parenti, tutti arrivavano lì per dare conforto, ma ne ricevevano molto di più senza, nemmeno, poterla incontrare. Chiara da quel letto di ospedale era diventata una luce che illuminava tutti si è compiuta la parola: “quando sarò innalzato, attirerò tutti a me”. Stefano, il suo fidanzato, era guidato dalla Grazia, le portava conforto con il sorriso e la forza. Una Grazia, che gli ha permesso di starle accanto fino alla fine e fino al punto di volerla sposare. Chiara voleva ricevere l’Eucarestia ogni giorno. Era un grande sostegno per lei. Il sacerdote passava per darle la Comunione, anche se, delle volte, poteva deglutire solo una piccola parte dell’ostia ma il suo sguardo era colmo di gratitudine e felicità! Era vicina la Pasqua 2016 ed il presbitero della sua comunità le chiese di scrivere delle riflessioni sulle letture della Veglia Pasquale, alla quale lei, quell’anno, non avrebbe potuto partecipare, anche se lo desiderava ardentemente. Queste riflessioni, ora, sono raccolte in un libro che un suo amico volle scrivere immediatamente dopo la sua morte, per testimoniare gli avvenimenti di quei giorni, in cui Morte e Vita si sono congiunti in maniera straordinaria. Chiara Maria muore il 23 aprile 2016 all’età di 25 anni. Chiara Maria scrive in un diario: “Quando ti ammali di una malattia seria, è invitabile che il pensiero vada anche alla morte. Una delle mie più grandi paure, non è tanto quella di morire, ma è quella di morire lontana da Cristo”. “perchè perdiamo tanto tempo dietro a cose che non ci danno la vita, anzi, forse ce la tolgono anche, e non ci rendiamo conto delle cose che contano davvero e non capiamo che Dio ci ama per quello che siamo” “perciò prego Dio che mi doni la costanza nella preghiera quotidiana, che mi doni la fede ogni giorno, e che mi doni la forza di combattere la malattia sempre rispettando la Sua volontà”. E’ questa la straordinaria testimonianza che ci ha lasciati Chiara Maria, che è morta dicendo che avrebbe fatto la volontà di Dio, qualunque essa fosse: “Quello che vuole Dio, io lo faccio”. Così facendo – sostenendo dal letto del suo dolore i parenti e gli amici con quella grazia che le è stata donata dal Cielo – ci ha dimostrato in maniera tangibile che è possibile stare sulla croce e non bestemmiare Dio. E’ stato possibile a lei assieme alla sua comunità ed è possibile – se Dio ce lo chiederà e ci darà la forza – anche a noi.
Pensieri
“Sono riuscita – scrive Chiara a padre Domìnik – a mettermi a scrutare e a riflettere su queste splendide letture della Veglia di Pasqua, alla quale non potrò partecipare! […] I pensieri su ciò che ho letto e scrutato mi stanno accompagnando tanto in questi giorni un po’ difficili. […] Prega per me!! Buona Santa Pasqua!!!!!” (p. 99). Commentando la lettera ai Romani, Chiara Maria scrive: “Una delle mie più grandi paure, non è tanto quella di morire, ma è quella di morire lontana da Cristo”.
|
24 Aprile 2024-: San Benedetto Menni (1841-1914)-: San Benedetto Menni (1841-1914)24 Aprile 2024 - San Benedetto Menni L'11 marzo del 1841 Angelo Ercole Menni nacque a Milano dal matrimonio di Luigi e Luisa Figini. Quinto di 15 fratelli, Il padre gestiva un modesto negozio, e grazie alle entrate di quest'attività la famiglia aveva il necessario per sfuggire alla miseria pur senza scialare; famiglia di cristiani all’antica, nella quale si recitava il Rosario ogni sera, si aiutava i poveri e si frequentava i sacramenti. A 17 anni dopo un breve periodo di lavoro in banca, matura la decisione di donare la sua vita a Dio nell’esercizio della carità. Diventa barelliere per trasportare i feriti che arrivano dal fronte di Magenta a Milano in treni speciali, dozzine di corpi straziati di combattenti, sono trasportati dalla stazione ferroviaria all’ospedale dei Fatebenefratelli. La conoscenza dei Fatebenefratelli è decisiva nella sua vita, arriva, infatti, il momento di chiedere l'ingresso al noviziato. Il 1° maggio 1860 entra nel noviziato dell'ospedale di Santa Maria d’Araceli a Milano, qualche giorno dopo riceve l'abito e cambia il suo nome in Benedetto, dopo un anno emette i voti semplici e dopo tre emette la professione solenne. Frequenta gli studi filosofici e teologici prima nel Seminario di Lodi e poi nel Collegio Romano (Pontificia Università Gregoriana di Roma), è ordinato sacerdote nel 1866. Il Generale dei Fatebenefratelli, P. Giovanni Maria Alfieri, si rese subito conto che aveva a portata di mano la persona che gli occorreva per un'impresa quanto mai impegnativa: restaurare in Spagna l'Ordine dei Fatebenefratelli. Il 14 gennaio 1867 il giovane frate a 26 anni è ricevuto in udienza dal Papa Pio IX, che lo invia in Spagna per la restaurazione dell'Ordine dei Fatebenefratelli. Partì due giorni dopo. All'inizio non fu certo facile, oltre alla difficile situazione politica, in Spagna erano stati soppressi tutti gli ordini religiosi, Benedetto trovò degli ostacoli anche all'interno della chiesa, primo fra tutti il vescovo di Barcellona, ma non si scoraggiò ed iniziò la sua attività cercando risorse per costruire un ospedale pediatrico, che dopo qualche mese fu benedetto proprio dal vescovo che lo aveva ostacolato. Benedetto continuò la sua opera non senza rischi per la propria vita, fu espulso più volte dalla Spagna, ma puntualmente vi faceva ritorno da clandestino, una volta rientrando da Gibilterra dopo essere stato anche in Marocco. Fu infaticabile infermiere insieme ai suoi confratelli durante la guerra civile. Benedetto Menni fu nominato Provinciale della provincia della Spagna e rimase in carica per ben 19 anni consecutivi. Nel 1903, quando cessò il suo incarico da Provinciale, l'Ordine contava in Spagna, Portogallo e Messico complessivamente quindici case fondate da lui: quattro ospedali ortopedici per bambini; sei ospedali psichiatrici per uomini; una colonia agricola per l’ergoterapia dei malati mentali dell’ospedale di Ciempozuelos; un ospedale per epilettici; un gerontocomio; una residenza funzionante come casa di riposo per sacerdoti e come scuola per bambini poveri; e un collegio per orfani poveri. Alla restaurazione dell'Ordine in Spagna seguì anche, alla fine del secolo XIX la restaurazione dello stesso Ordine in Portogallo e, all'inizio del XX secolo, in Messico. Il 31 maggio del 1881 fondò la Congregazione delle Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, Istituto Religioso femminile specializzato nell'assistenza psichiatrica. Nel 1905 partecipa a Roma, ad un Capitolo Generale dell’Ordine. Ritornato in Spagna, è richiamato dalla Santa Sede che lo nomina Visitatore Apostolico dei Fatebenefratelli (1909): iniziano viaggi, lettere e visite personali alle diverse Province, nella delicata missione di ravvivare lo spirito e l’osservanza religiosa. Finito questo compito, il Papa San Pio X nel 1911 lo nomina Generale dell’Ordine. Accusato e accerchiato, all’interno dell’Ordine, da un piccolo gruppo di avversari, influenti ed intriganti, ancora una volta non volle difendersi, ma preferì presentare le dimissioni da Superiore Generale, dopo poco più di un anno dalla nomina: era il 20 giugno 1912. Era a Parigi quando soffrì un attacco di paresi; non ricuperato perfettamente, il 19 aprile 1913 si trasferì a Dinan, una casa dell’Ordine nel nord della Francia, dove muore la mattina del 24 aprile 1914. I suoi resti riposano nella Casa Madre di Ciempozuelos.
Omelia di Giovanni Paolo II per la canonizzazione
"Vieni, benedetto da mio Padre; eredita il Regno preparato per te dalla creazione del mondo, ... perché ero malato e mi hai visitato" (Mt 25, 34.36). Queste parole del Vangelo proclamate oggi saranno senza dubbio familiari a Benito Menni, sacerdote dell'Ordine di San Giovanni di Dio. La sua dedizione ai malati, vissuta secondo il carisma dell'ospedale, ha guidato la sua esistenza. La sua spiritualità nasce dalla sua esperienza dell'amore che Dio ha per lui. Il grande devoto del Cuore di Gesù, re del cielo e della terra, e della Vergine Maria, trova in loro la forza della sua dedica caritatevole agli altri, specialmente a coloro che soffrono: gli anziani, i bambini scrofolosi e polio e i malati di mente. Il suo servizio all'Ordine e alla società ha svolto con umiltà l'ospitalità, con un'integrità impeccabile che lo rende un modello per molti. Promosse varie iniziative guidando alcune giovani donne che avrebbero formato il primo nucleo del nuovo istituto religioso, fondando a Ciempozuelos (Madrid) le Suore dell'Ospedale del Sacro Cuore di Gesù. Il suo spirito di preghiera lo ha portato ad approfondire il mistero pasquale di Cristo, una fonte di comprensione della sofferenza umana e un percorso verso la risurrezione. In questo giorno di Cristo Re, San Benedetto Menni illumina con l'esempio della sua vita coloro che vogliono seguire le orme del Maestro lungo i sentieri dell'accoglienza e dell'ospitalità.
|
25 Aprile 2024-: Suore Poverelle, Serve di Dio (Nascita al cielo 1995)-: Suore Poverelle, Serve di Dio (Nascita al cielo 1995)25 Aprile 2024 - Sei “Poverelle” uccise dal virus Ebola A ridosso della Pasqua del 1995, tutti gli operatori sanitari, che nell’Ospedale generale di Kikwit avevano partecipato ad un intervento chirurgico su di un malato grave, morirono entro due settimane. Anche le Suore delle Poverelle ebbero una prima vittima: Suor Floralba Rondi, morta il 25 aprile. Era una delle prime cinque Suore inviate in Congo. Il 6 maggio successivo morì un’altra Religiosa, Suor Clarangela Ghilardi. Si trovava a Kikwit dal 1993, ma aveva iniziato la sua esperienza missionaria lì, nel 1959, rimanendovi per circa 11 anni; in seguito era stata a Tumikia e a Mosango. Due giorni dopo la sua morte arrivò la diagnosi definitiva: entrambe le Suore, ma anche gli altri medici e infermieri, erano morti a causa del virus Ebola. Era quindi in atto una vera e propria epidemia. Nel primo pomeriggio dell’11 maggio morì Suor Danielangela Sorti: aveva vegliato Suor Floralba sostituendosi a Suor Costanzina Franceschina, una consorella anziana anziana che pure era disponibile a partire da Tumikia verso Mosango. Contrasse il virus tagliandosi con una fialetta, mentre praticava un’iniezione alla consorella malata; in più, aveva lavato ininterrottamente le bende inzuppate di sangue a motivo delle continue emorragie, per risparmiare alle consorelle il lavoro nel giorno successivo. Anche Suor Dinarosa Belleri, forte dell’esperienza maturata in trent’anni di missione, fedele al carisma del Fondatore, scelse di dedicarsi totalmente ai malati in quell’epidemia. Ebbe i primi sintomi del contagio all’inizio del mese di maggio e morì il 14, tre giorni dopo Suor Danielangela. Suor Annelvira Ossoli, Superiora provinciale residente in Kinshasa, aveva affrontato un viaggio di oltre 500 chilometri pur di giungere a Kikwit e stare accanto a Suor Floralba. Con la stessa sollecitudine fu vicina alle altre consorelle, con dedizione continua e coraggiosa, finché non fu contagiata anche lei. La sua morte avvenne il 23 maggio, il giorno successivo alla memoria liturgica del loro Fondatore, il Beato Luigi Palazzolo, celebrata ogni anno il 22 maggio. L’ultima a morire, il 28 maggio, fu Suor Vitarosa Zorza: convinta che fosse solo una “diarrea rossa”, aveva riempito due valigie di medicinali, lasciato la missione di Kingasani cantando, per rispondere “sì” al Signore che la chiamava a Kikwit, e raggiungere ad ogni costo Suor Annelvira, collaborando nell’assistenza alle consorelle e ai contagiati.
Messaggi sconcertanti di morte e di speranza In quei dolorosi e terribili 33 giorni le Suore cercavano di far arrivare in Italia dallo Zaire le notizie su quanto accadeva. Da Kikwit a Kinshasa, l’unico mezzo di comunicazione era la “phonie”, una sorta di ricetrasmittente. I messaggi venivano poi trascritti a Kinshasa e inviati, via telefax, a Bergamo, in Casa Madre. Madre Gesuelda Paltenghi, in quel periodo Superiora generale della Congregazione, seguiva con apprensione quanto le consorelle comunicavano. Alle 10.20 del 25 aprile 1995 così riferirono circa la morte di Suor Floralba: «Restiamo unite nella sofferenza, nella preghiera e nell’offerta. Suor Floralba ci ha lasciate per il cielo proprio in questo momento. Il Padre, la Madonna e il Palazzolo l’avranno già abbracciata. Ci proteggerà dal cielo». Mentre l’epidemia avanzava e, alla distanza di pochi giorni tra loro, entro il 28 maggio seguiva incalzante la morte di altre cinque Sorelle, dai messaggi via fax traspariva sempre più frequente la richiesta di un miracolo al Fondatore, anche per ottenere la sua canonizzazione. Quella pur legittima richiesta, alla fine si trasformò in un’accettazione piena, anche se sofferta, della morte delle sei Sorelle. Quando morì Suor Vitarosa, le Sorelle dallo Zaire comunicavano: «“Tutto è compiuto!”. Il Signore si è portato con Sé nella gloria dei beati anche Suor Rosa, alle ore 2 di stanotte... Il mistero è grande, ci avvolge, e in uno sforzo supremo diciamo: “Padre, nelle tue mani mettiamo le loro e le nostre vite. Abbi pietà di noi”».
Le sei Cause per la beatificazione La vicenda delle sei Suore circolò immediatamente tramite la stampa e la televisione e, col passare del tempo, non fu dimenticata né dentro né fuori l’Istituto. La Congregazione delle “Poverelle”, dopo ponderata riflessione, chiese l’avvio della Causa di beatificazione per le sei Suore al Vescovo di Kikwit. Questi, ottenuto nel 2013 il Nulla osta da parte della Santa Sede, aprì le singole Inchieste per l’accertamento delle virtù eroiche delle sei Suore che avevano generosamente dato la vita durante l’epidemia di Ebola. L’apertura delle Inchieste diocesane è avvenuta nella Cattedrale di Kikwit domenica 28 aprile 2013; l’8 giugno 2013 sono seguite le rispettive Inchieste rogatoriali nella Diocesi di Bergamo, dove le Suore avevano vissuto parte della loro vita, concludendosi entro il gennaio 2014. La chiusura delle Inchieste diocesane è avvenuta a Kikwit il 23 febbraio 2014. Le Cause proseguono ora nella fase romana.
Le schede biografiche di ciascuna Suora
Suor Floralba (Rosina) Rondi † Mosango, Repubblica Democratica del Congo, 25 aprile 1995 Suor Clarangela (Alessandra) Ghilardi † Kikwit, Repubblica Democratica del Congo, 6 maggio 1995 Suor Danielangela (Anna) Sorti † Kikwit, Repubblica Democratica del Congo, 11 maggio 1995 Suor Dinarosa (Teresina) Belleri † Kikwit, Repubblica Democratica del Congo, 14 maggio 1995 Suor Annelvira (Celeste) Ossoli † Kikwit, Repubblica Democratica del Congo, 23 maggio 1995 Suor Vitarosa (Maria Rosa) Zorza † Kikwit, Repubblica Democratica del Congo, 28 maggio 1995
|
26 Aprile 2024 | 27 Aprile 2024 | 28 Aprile 2024 |