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1 Febbraio 2021 |
2 Febbraio 2021-: Servo di Dio Giancarlo Rastelli, cardiochirurgo (1933-1970)-: Servo di Dio Giancarlo Rastelli, cardiochirurgo (1933-1970)2 Febbraio 2021 - Servo di Dio Giancarlo Rastelli, cardiochirurgo II dott. Giancarlo Rastelli è nato a Pescara il 25-6-33 da Vito Rastelli giornalista e da Bianchi Luisa, maestra elementare, entrambi parmensi. Dopo una breve permanenza a Reggio Emilia, a Roma e a Sondrìo, si trasferì a Parma con i genitori e la sorella minore Rosangela nel 1945. Ha frequentato il Liceo classico Romagnosi di Parma, conseguendo la maturità nel 1951. parte dei residenti chirurgi che lo considerarono altamente come chirurgo, artista creativo, maestro ed amico". Fu sepolto ad honorem nella cappella universitaria del cimitero di Parma accanto a Pietro Giordani. Sulla lapide sta scritto "Vita mutatur, non tollitur". Nell'Ottanta un gruppo di cardiologi, di persone della Mayo clinic e tutti i bambini di Parma e di altre città operati alla Mayo (Gian ne ospitò fraternamente nella sua modesta casa parecchi) con i loro genitori si riunirono sulle colline di Parma nella casa del dott. Antonino Maniscalco che ebbe il figlio salvato da Gian (diagnosi infauste da parte di tutti gli altri luminari del mondo) e regalarono ai famigliari di Giancarlo un manifesto, simbolo di Lui, con la scritta: "Amatevi l'un l'altro - L'amore vince" accanto a due bambini che si abbracciano. Tutti da Lui avevano imparato questo, oltre la malattia, oltre la morte.
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3 Febbraio 2021-: San Biagio († ca. 316)-: San Biagio († ca. 316)3 Febbraio 2021 - San Biagio † Sebaste, Armenia, ca. 316 Il martire Biagio è ritenuto dalla tradizione vescovo della comunità di Sebaste in Armenia al tempo della "pax" costantiniana. Il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è perciò spiegato dagli storici con una persecuzione locale dovuta ai contrasti tra l'occidentale Costantino e l'orientale Licinio. Nell'VIII secolo alcuni armeni portarono le reliquie a Maratea (Potenza), di cui è patrono e dove è sorta una basilica sul Monte San Biagio. Il suo nome è frequente nella toponomastica italiana - in provincia di Latina, Imperia, Treviso, Agrigento, Frosinone e Chieti - e di molte nazioni, a conferma della diffusione del culto. Avendo guarito miracolosamente un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola, è invocato come protettore per i mali di quella parte del corpo. A quell'atto risale il rito della "benedizione della gola", compiuto con due candele incrociate. (Avvenire) Patronato: Malattie della gola |
4 Febbraio 2021 | 5 Febbraio 2021 |
6 Febbraio 2021-: San Francesco Spinelli (1853-1913)-: San Francesco Spinelli (1853-1913)6 Febbraio 2021 - San Francesco Spinelli L’infanzia A causa delle insurrezioni popolari dovute al ritorno del dominio austriaco su Milano, i genitori pensarono di mandare Francesco a Verdello, perché potesse crescere al sicuro. Per i successivi tre anni fu quindi allevato da Giovanna, una zia della madre, cominciando a sviluppare un carattere riflessivo e un’attenta capacità di osservazione. In particolare, si sentiva attratto dalle celebrazioni in chiesa e dai gesti del sacerdote all’altare. Tornato dai genitori, che si erano trasferiti insieme ai marchesi Stanga a Vergo, nei pressi di Besana Brianza, Cecchino ricevette da loro un’educazione improntata ai principi religiosi. In particolare, seguiva la madre nelle sue visite ai poveri e ai malati.
La guarigione miracolosa e la vocazione sacerdotale A causa di una caduta dal letto, durante gli anni del ginnasio, Francesco subì una lesione della colonna vertebrale. Fu quindi accolto in casa dello zio don Pietro, ma per le vacanze tornò a Vergo, munito di stampelle. Un giorno, mentre, come suo solito, pregava davanti alla statua della Madonna de La Salette, esposta nella parrocchiale di Vergo, si sentì spinto a lasciar cadere i suoi sostegni: sotto gli occhi dei presenti, ricominciò a camminare. Da allora cominciò a pensare ancora più seriamente a come ringraziare Dio e la Madonna per il dono ricevuto. L’ordinazione sacerdotale si svolse il 17 ottobre 1875 nella chiesa di Gavarno Vescovado, dove monsignor Pierluigi Speranza, vescovo di Bergamo, era temporaneamente a riposo. L’ispirazione del 1875 Nei giorni delle feste natalizie del 1875, si recò a Roma per il Giubileo. Visitò gran parte delle chiese della città, ormai capitale d’Italia, e sostò a lungo nella basilica di Santa Maria Maggiore, dov’è venerata la “Sacra Culla”, ovvero un reliquiario dove si ritiene siano custoditi i resti della mangiatoia di Gesù bambino. Quello che gli accadde durante una delle sue meditazioni fu da lui stesso accennato in questi termini: “Mi sono inginocchiato, piansi, pregai e, giovane sacerdote allora, sognai uno stuolo di vergini che avrebbero adorato Gesù in Sacramento”. Tornato a Bergamo, fu incaricato di continuare a collaborare con don Palazzolo e con lo zio, diventando poi anche insegnante nel Collegio Sant’Alessandro. Intanto, però, non dimenticava l’ispirazione che sentiva di aver ricevuto. Divenne anche molto richiesto come predicatore di ritiri, confessore e direttore spirituale.
Proprio durante una sua predicazione presso le Suore di Maria Bambina a Bergamo, il suo fervore colpì particolarmente una giovane cameriera, Caterina Comensoli. Si era già consacrata a Dio nella Compagnia di Sant’Angela Merici, ma desiderava fondare una congregazione dedita all’Adorazione Eucaristica perpetua. Nell’inverno 1882, don Francesco si trovava a Capriate San Gervasio, in occasione delle Quarantore. Caterina lo rivide e chiese di potergli parlare. Andò anche a trovarlo in parrocchia, in quanto aveva accompagnato a Bergamo la sua padrona, la contessa Ippolita Fé d’Ostiani-Vitali, in visita alla sorella Barbara. Nel corso dei loro colloqui, capirono di avere un progetto comune, che esposero prontamente al successore di monsignor Speranza, monsignor Camillo Guindani. Se da una parte il vescovo era favorevole, visto che a Bergamo non esistevano istituti dediti all’Adorazione perpetua, dall’altra i conti Fé d’Ostiani non volevano privarsi di Caterina. Aiutata da don Francesco, lei ribatté tranquillamente a tutte le accuse. La nascita delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento Don Francesco, dal canto suo, andava delineando il fine specifico del nuovo istituto religioso: «Adorare perpetuamente il SS. Sacramento, fonte di forze per queste opere ed in riparazione delle offese che a Dio si fanno in questi tempi», ma anche «raccogliere tutti quelli che non sono accettati negli altri ospedali e case di salute, specialmente i poveri».
Due congregazioni da un’unica ispirazione Il 4 marzo 1889, don Francesco arrivò a Rivolta d’Adda. Le suore l’accolsero subito e ascoltarono ciò che aveva loro da dire: «Sono qui per continuare l’opera con le figlie decise a seguirmi. Volete unirvi alla Madre di Bergamo? Siete libere: andate, figlie, io vi benedirò; andate e fate del bene. Se però qualcuna vuole restare con me, l’accolgo con tutto il cuore... Sono povero, poverissimo, ma lavoreremo, faremo sacrifici...». Solo una suora si trasferì in casa madre. Intanto, anche madre Geltrude e le consorelle furono travolte dal fallimento. Anche loro dovettero lasciare Bergamo: furono accolte dal vescovo di Lodi, monsignor Giovanni Battista Rota. L’8 settembre 1891, con decreto vescovile, furono erette le Suore Sacramentine. Madre Geltrude professò i voti perpetui il 26 febbraio 1892 e, dopo un mese, poté ristabilire la congregazione nella casa madre di Bergamo, riottenuta grazie ad alcune donazioni. Don Francesco chiese e ottenne di essere incardinato nella diocesi di Cremona nel marzo 1889. Poté quindi ripartire insieme alle sue figlie, che nel 1897 furono a loro volta erette in congregazione autonoma, mantenendo il nome originario di Suore Adoratrici del SS Sacramento. Lo stile di don Francesco Don Francesco riusciva a unire la contemplazione del Mistero eucaristico alla carità verso i poveri e i disabili. A sua volta indicò alle suore quale dovesse essere il motore delle loro azioni: «Adorate con l’amore più ardente l’Augustissimo Sacramento e attingete da esso la carità a sollievo del prossimo». Se c’era una predilezione, da parte sua, era per i malati più ripugnanti: li andava a cercare per le strade, li ripuliva e baciava le loro piaghe. Un giorno fu portata da lui una donna colpita da epilessia, con i segni evidenti della malattia: in particolare, aveva la bava alla bocca. Don Francesco, tranquillamente, prese il proprio fazzoletto di tasca e l’asciugò. Accanto a lui c’era una suora, alla quale spiegò: «Negli infelici dobbiamo vedere Gesù Cristo. Saresti contenta se nel giorno del giudizio Egli ti dicesse: Hai avuto schifo di me?». Mentre la congregazione aveva un nuovo sviluppo, don Francesco continuava a essere invitato in altre parrocchie per predicazioni speciali. Diede poi alle stampe un libro, «Conversazioni eucaristiche», nel quale riportava le sue riflessioni davanti al Santissimo Sacramento.
Gli ultimi anni Consapevole di essere sul finire della vita, il 9 maggio 1910 firmò il proprio testamento, nel quale, tra l’altro, rinnovò il perdono a quanti gli avevano fatto del male: «Rendo pure grazie ai Sacerdoti che mi hanno con zelo e sacrificio coadiuvato. Protesto di amare tutti e di non avere il minimo rancore con alcuno, e a quelli che volontariamente o no hanno concorso a recarmi dispiaceri o danni, prego il Buon Signore renda loro altrettanto di bene e più di quello che mi hanno fatto di male». La causa di beatificazione fino al riconoscimento delle virtù eroiche Così, il 3 marzo 1990, il Papa san Giovanni Paolo II autorizzò la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto con cui don Francesco Spinelli veniva dichiarato Venerabile. La beatificazione San Giovanni Paolo II lo beatificò il 21 giugno 1992, domenica del Corpus Domini, presso il santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio, fissando la sua memoria liturgica al 6 febbraio, il giorno della sua nascita al Cielo. La canonizzazione Il miracolo esaminato per ottenere la canonizzazione riguardava un bambino, Ambrozo Maria Diaz, nato il 25 aprile 2007 nel centro di maternità gestito dalle Suore Adoratrici a Kinshasa, in Congo. Mentre la madre s’incamminava verso casa, con lui al collo, rischiò d’inciampare. Per la paura, strinse a sé il bambino, causandogli una forte emorragia. I tentativi di procurare delle trasfusioni risultavano difficili per lo stato di estrema sofferenza del piccolo, così una delle religiose, suor Adeline, si sentì condotta a chiedere l’intercessione del suo fondatore: accese una lampada di fronte alla sua immagine esposta in cappella e mise un santino sotto il lenzuolo del bambino. Dopo oltre un’ora, i medici riuscirono a trovare una vena, grande come quella di un adulto: la trasfusione funzionò e il bambino si riprese. In segno di gratitudine, i genitori gli cambiarono nome in Francesco Maria Spinelli Diaz, ma all’anagrafe “Spinelli” fu scritto erroneamente come “Spinto”. Il 6 marzo 2018, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la guarigione inspiegabile del bambino era da attribuire all’intercessione del Beato Francesco Spinelli. La sua canonizzazione, insieme a quella di altri sei Beati, è stata celebrata da papa Francesco domenica 14 ottobre 2018. Le Suore Sacramentine di Bergamo e le Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento di Rivolta d’Adda proseguono autonomamente i loro cammini. Le une hanno scuole, asili d’infanzia e opere educative, mentre le altre, alle stesse opere, uniscono un’attenzione particolare per disabili e malati. Hanno ricevuto il Decreto di lode l’11 dicembre 1926, mentre l’approvazione pontificia definitiva rimonta al 27 febbraio 1932. Alle comunità delle Suore Adoratrici, sparse in Italia, Africa e America Latina, si affianca la Fraternità Eucaristica per laici, che condivide l’insegnamento del fondatore: «Siate sempre là dove c’è un essere umano che soffre».
Preghiera
Dio Creatore e Salvatore, Tu domini con l'affetto le creature e le guidi alla salvezza. Noi ti preghiamo: risana le ferite di questo nostro caro ammalato, allevia il suo dolore e concedigli la salute del corpo. Perdona i suoi peccati e liberalo dall'angoscia della malattia.
Noi abbiamo fiducia in Te: Tu hai guarito tanti ammalati, hai liberato dal carcere i tuoi apostoli Pietro e Paolo, e hai comandato ai tuoi sacerdoti di assistere gl infermi. Signore, fa che questo nostro caro malato sia liberato dal carcere della malattia e che possa ringraziarti nella tua Chiesa. Così sia.
-: Venerabile Martha Robin (1902-1981)-: Venerabile Martha Robin (1902-1981)6 Febbraio 2021 - Venerabile Martha Robin Marthe Robin nacque a Châteauneuf-de-Galaure (Drôme), nel sud-est della Francia, il 13 marzo 1902, era sestogenita di Joseph Robin e Amélie-Célestine Chosson, modesti contadini, che la fecero battezzare il 5 aprile a Saint-Bonnet-de-Galaure. La sua vita, fino ai 16 anni, scorre serena nella campagna. Ma, nel mese di novembre del 1918, mentre erano in atto i festeggiamenti per l'armistizio tra Francia e Germania, Marthe cadde a terra e non riuscì più ad alzarsi: fu l'inizio della sua misteriosa patologia, che venne diagnosticata come encefalite letargica, ma alcuni la definiranno «coma mistico». Il coma durò fino al marzo-aprile del 1921, poi Marthe tornò lentamente a camminare, a lavorare all'uncinetto e, con l'aiuto del bastone, a sorvegliare gli animali della fattoria. Dopo qualche mese, tornò a peggiorare, perdendo la deambulazione, accusando forti dolori alla schiena e avendo pesanti problemi alla vista. Dal 3 ottobre del 1926 si aggrava: ha continue emorragie e non ritiene più nulla nello stomaco. Riceve l’estrema unzione. Ma, proprio quando le speranze sembravano ormai finite, Marthe riceve l'apparizione di santa Teresina di Lisieux che le rivela di non essere giunta alla fine della sua vita, ma di dover assumere una precisa missione nel mondo. Il 2 febbraio 1929 perse anche l’uso delle mani e dovette imparare a scrivere servendosi della bocca. Su di lei il filosofo cattolico Jean Guitton, accademico di Francia, scrisse il suo ultimo libro, Ritratto di Marthe Robin. Una mistica del nostro tempo (Paoline). Nell'Introduzione del libro di Jean-Jacques Antier (San Paolo) Guitton scrive: «Rassomigliava a una bambina, perfino nella voce. Era gaia più che gioiosa, la sua voce esile e bassa, il suo canto quello di un uccello. I suoi modi esprimevano l'essenza indefinibile della poesia». Inoltre: «Non aveva nessun talento, salvo, nella sua giovinezza, quello del ricamo. Al di là di qualsiasi cultura, al di là della povertà, si nutriva dell'aria, del tempo e dell'eternità. Perfino al di là del dolore. E tuttavia, subito presente a tutto e a tutti». «Mia moglie diceva: ''Altrove non ci sono che problemi, ma da lei non ci sono che soluzioni, perché si mette allo stesso tempo al centro del cielo e al centro della terra». Nel 1930 Marthe vide Cristo, che le chiese: «Vuoi essere come me? ». Ed ella rispose: «Il mio io sei tu. La mia vita sia la riproduzione perfetta e incessante della tua vita». Il 1° ottobre, festa di santa Teresina di Lisieux, fu come una preparazione della passione in un vero tormento di sofferenze, di cui lascerà questa testimonianza: «Quanto mi avete fatto male. mio Dio! Vi amo! Abbiate pietà di me! ho male nell'anima, nel cuore, nel corpo; la mia povera testa sembra rotta. Non so più niente, se non soffrire. Sento in me una tale stanchezza; il dolore grida così forte. E non c'è nessuno, nessuno per aiutarmi! Sono all'estremo delle mie forze. Non finirà dunque mai il dolore quaggiù? Quando ha straziato il corpo e il cuore, strazia l'anima. Oh, mio Amore crocifisso! Voi m'insegnate giorno per giorno a dimenticarmi. Mio Dio, vi amo; abbiate pietà di me! Quando verrò, Dio mio, nella terra dei viventi? Gesù, sostenetemi! Non è un peso, ma piuttosto un altare. Niente è più bello davanti a Dio che l'oblazione di se stessi quando si soffre. Con tutta la mia anima dolente, con tutto il mio cuore straziato, il mio corpo torturato dalle sofferenze, gli occhi accecati dalle lacrime, bacio amorosamente la vostra mano, mio Dio». Sempre nell’ottobre del 1930 Marthe riceve una nuova visione, questa volta di Cristo crocifisso. Egli prende le sue braccia paralizzate e gliele apre. Poi lei sente di nuovo: «Marthe, vuoi essere come me?». «Allora sentii un fuoco bruciante, talora esteriore, ma soprattutto interiore. Era un fuoco che usciva da Gesù. Esteriormente, lo vedevo come una luce che mi bruciava. Gesù mi chiese prima di tutto di offrire le mie mani. Mi sembrò che un dardo uscisse dal suo cuore e si dividesse in due raggi per trapassare uno la mano destra e l'altro la sinistra. Ma, nello stesso tempo, le mie mani erano trapassate, per così dire, dall'interno. Gesù m'invitò ancora a offrire i miei piedi. Lo feci all'istante, come, come per le mani, mettendo le gambe come Gesù sulla croce. Restarono in parte piegate, come quelle di Gesù. Come per le mani, un dardo, che partiva dal cuore di Gesù, dardo di fuoco dello stesso colore che per le mani, si divise in due a una certa distanza dal cuore di Gesù, pur restando unico nello sprigionarsi dal cuore. Quindi questo dardo era unico verso il cuore di Gesù e si divideva per colpire e attraversare nello stesso tempo i due piedi. La durata non si può precisare. Questo si verificò senza interruzioni ». In seguito riceverà anche le ferite della corona di spine. Da quel giorno Marthe rivivrà ogni venerdì la passione di Gesù. Il Signore promise di inviarle un sacerdote illuminato per aiutarla a realizzare la missione alla quale era destinata: creare dei luoghi di preghiera e carità destinati a diffondersi in tutto il mondo. Venne, tra gli altri, a visitarla il giovane abate Finet, che Marthe riconosce per averlo visto nelle sue visioni. Insieme a lui realizzerà i Foyers de charité, tutt’oggi presenti in tutto il mondo. Marthe aveva il dono del consiglio e quello di leggere nei cuori, grazie ai quali aiutò molte persone, laici e religiosi, a risolvere difficili questioni spirituali. Diede importanti consigli al Presidente de Gaulle, a cardinali, vescovi, filosofi e scienziati. Marthe riuscì a curare, attraverso l’intercessione della Madonna, molte persone. Quando ricevette le stigmate la gente iniziò ad arrivare numerosa da ogni parte della Francia per vederla. Talvolta incontrava più di 60 persone al giorno e nonostante le sue sofferenze manteneva la sua abituale giovialità e il suo sorriso mentre ascoltava, rasserenava, convertiva. Riceveva lettere da tutto il mondo, erano tutte richieste di aiuto da parte di persone di ogni età. Nel 1940, dopo un’offerta fatta al Signore, autorizzata da Padre Finet, sopraggiunse una quasi totale cecità, unita a una ipersensibilità alla luce che obbligava Marthe a vivere al buio. «Gesù mi ha chiesto gli occhi», diceva la mistica. Il filosofo Jean Guitton andò da lei ben quaranta volte. Rimase colpito da questa umile contadina che malgrado non fosse mai uscita dalla sua fattoria sapeva illuminare e aiutare gente semplice e dotti uomini di cultura e di scienza. Marthe aveva il dono della veggenza, conosceva le cose lontane e quelle future, aveva una infinita capacità di donare amore e prendere su di sé i mali altrui. La morte la colse, completamente sola, il 6 febbraio 1981, il primo venerdì del mese. Venne trovata sdraiata per terra, in mezzo a tanti oggetti sparsi. Dopo sette anni dalla sua morte iniziò il suo processo di beatificazione, conclusosi a livello diocesano nel 1996. Papa Francesco ha promulgato il decreto sulle virtù eroiche in data 7 novembre 2014, dichiarando Marthe Robin "Venerabile".
Preghiera
Possa Dio prendere la mia memoria e tutto ciò che essa ricorda, prendere il mio cuore e tutti i suoi affetti, prendere la mia intelligenza e tutti i suoi poteri; possano essi servire solo alla tua maggior gloria. Prendi completamente la mia volontà, perché sempre io la riversi nella tua. Non più ciò che io voglio, o mio dolcissimo Gesù, ma sempre ciò che tu vuoi! Prendimi… accoglimi… istruiscimi. Guidami! Mi affido e mi abbandono a te! Affido me stessa a te come piccolo sacrificio d’Amore, di Lode e di Gratitudine, per la Gloria del tuo Santo Nome, per la gioia del tuo Amore, trionfo del tuo Sacro Cuore, e per la realizzazione perfetta dei tuoi Progetti in me e intorno a me
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7 Febbraio 2021 |
8 Febbraio 2021 | 9 Febbraio 2021 | 10 Febbraio 2021 | 11 Febbraio 2021 | 12 Febbraio 2021 |
13 Febbraio 2021-: Incontro diretta Facebook per Equipe pastorali, rivolto a tutti. In ascolto dei Malati-: Incontro diretta Facebook per Equipe pastorali, rivolto a tutti. In ascolto dei Malati13 Febbraio 2021 - |
14 Febbraio 2021-: Santa Messa con i Volontari al Santuario Divino Amore, ore 16-: Santa Messa con i Volontari al Santuario Divino Amore, ore 1614 Febbraio 2021 - |
15 Febbraio 2021 | 16 Febbraio 2021 | 17 Febbraio 2021 | 18 Febbraio 2021 | 19 Febbraio 2021 | 20 Febbraio 2021 | 21 Febbraio 2021 |
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23 Febbraio 2021-: Beata Giovannina Franchi (1807-1872)-: Beata Giovannina Franchi (1807-1872)23 Febbraio 2021 - Beata Giovannina Franchi La Beata Giovannina Franchi nacque a Como il 24 giugno 1807, secondogenita di 7 figli (5 sorelle e due fratelli) dei coniugi Giuseppe, magistrato del Tribunale cittadino e Giuseppina Mazza di famiglia nobile, benestanti e molto religiosi. Battezzata il giorno dopo la nascita, ricevette il Sacramento della Cresima soltanto all'età di 11 anni, come usava a quei tempi. Passò l'infanzia tra le pareti domestiche (1807-1814) e l'adolescenza nell'educandato del monastero di S. Carlo delle Visitandine di Como per 10 anni (1814-1824). Rientrata in famiglia si dedicò alla cura dei genitori, all'insegnamento del catechismo in parrocchia e partecipò ad associazioni cattoliche. Dopo una breve esperienza di fidanzamento, conclusasi con la morte del fidanzato nel 1840 quando Giovannina aveva 33 anni, decise di consacrarsi totalmente al Signore. Dal 1846 si pose sotto la direzione spirituale del pio e dotto canonico penitenziere della Cattedrale di Como don G. Abbondio Crotti, il quale svolgeva apostolato anche tra gli ammalati e i carcerati. Sopraggiunta anche la morte dei genitori, la madre nel 1849, il padre nel 1852, la Serva di Dio intensificò l'assistenza dei malati a domicilio. Nell'estate del 1871, mentre a Como il vaiolo nero (secondo alcuni il colera) seminava morte, la Serva di Dio si prodigava nell'assistenza a persone colpite dal male. Contagiata dal vaiolo (o dal colera) si avviò rapidamente verso la conclusione della sua vita morì alle ore 5,30 del 23 febbraio 1872, 4 mesi prima di compiere 65 anni di età in concetto di santità. I funerali si svolsero la mattina del 24 febbraio ma furono umili e silenziosi, cioè senza concorso di popolo per precauzione a causa della temuta diffusione dell'epidemia in atto. Il 27 settembre 1994 mons. Alessandro Maggiolini, Vescovo di Como, aprì il processo diocesano, conclusosi il 27 settembre 1995. Il 20 dicembre 2012 il Santo Padre Benedetto XVI ha riconosciuto l'eroicità della sue virtù, dichiarandola Venerabile. Il 19 Settembre 2014 è stata dichiarata Beata da Papa Francesco. |
24 Febbraio 2021 | 25 Febbraio 2021 | 26 Febbraio 2021 | 27 Febbraio 2021 |
28 Febbraio 2021-: Beato Carlo Gnocchi (1902-1956)-: Beato Carlo Gnocchi (1902-1956)28 Febbraio 2021 - Beato Carlo Gnocchi Era nato il 25 ottobre 1902 a San Colombano al Lambro (Milano) da umile famiglia. Presto il dolore lo visitò con la morte del padre in giovane età, del fratello Mario, ancora ragazzo, e dell’altro fratello, Andrea, a soli 20 anni. Un grande educatore Con notevoli sacrifici, la mamma sostenne Carlo nella sua ascesa al sacerdozio, fino alla sua Ordinazione il 5 giugno 1925. A soli 23 anni, celebrata la Prima Messa, Don Carlo Gnocchi è una figura esile, ma entro il suo velo di carne vibra un’anima ardente, un vero innamorato di Gesù e, per suo amore, traboccante di carità per i ragazzi e per i poveri. Ha la passione che tutti vivano di Gesù, fino alla sua pienezza, nella sua vita divina della grazia santificante. Per i primi anni, svolge il suo ministero a Cernusco sul Naviglio, poi a San Pietro in Sala, a Milano, seguendo soprattutto i ragazzi nella loro crescita. È confessore, “padre spirituale” appassionato della salvezza delle anime, predicatore e conferenziere, già scrittore, per arrivare a molti, il più possibile, con la luce del Vangelo. Nel 1935, è chiamato a 33 anni a diventare direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga di Milano, per la formazione della gioventù. Studia, legge, prega molto, affidandosi soprattutto alla Madonna, perché sa che soltanto un vero alter Christus potrà far crescere Gesù nelle anime. Affida ogni ragazzo alla Madonna, affinché sia Lei a modellarlo a immagine di Gesù. I suoi ragazzi sono affascinati da Lui, dalla sua opera. Li guida e li dirige in confessionale, nei colloqui con i singoli, in incontri e dibattiti, nelle numerose lettere che scrive, mediante gli articoli e i libri che pubblica e diffonde. È trasparenza di Dio. Nello strazio della Guerra Il 10 giugno 1940, l’Italia entra in guerra. Don Carlo vede i suoi giovani partire per diversi fronti d’Europa, dove le follìe dei potenti li scaraventano con mani omicide. Chiede di essere arruolato come cappellano militare per essere vicino ai suoi ragazzi. Con il suo altarino da campo, su cui offre ogni giorno il Sacrificio di Gesù nella Santa Messa, con il suo cuore sacerdotale, sarà presente accanto ai suoi alpini in Albania, in Grecia, in Croazia. Un’esperienza lacerante, ma perché tutto quel dolore, perché la morte di tanti innocenti? Solo lui, sacerdote di Cristo, alla luce della fede, sa rispondere, consolare, incoraggiare. Nel 1942, viene la terribile compagna in Russia: Don Carlo è ancora là con i suoi soldati a condividere tanto strazio, la tragedia immane. A lui, prima di chiudere gli occhi, dilaniati dalle armi, i soldati morenti, affidano gli ultimi ricordi per le loro mamme, le spose, i figli. Quando Don Carlo ritorna in Italia, riprende il cammino per adempiere “le commissioni” lasciategli dai suoi alpini caduti sui fronti di guerra. Si rende conto con i suoi occhi che anche i bambini “hanno fatto” la guerra, soffrendo l’indicibile: feriti, affamati, ammalati, non curati, orfani. Sì, certamente, non l’ha voluto Iddio, sono stati i prepotenti a causare la tragedia, ma perché tanto dolore, perché il dolore degli innocenti? Don Carlo ha una lunga lista di indirizzi con cui risale le valli del Tagliamento, la Val d’Intelvi, la Valtellina... presso le famiglie dei suoi caduti; incontra e consola le mamme, le spose rimaste vedove, i bambini orfani. Ma che cosa può fare per i piccoli? Per gli orfani e i mutilatini Con l’aiuto della Provvidenza di Dio, ad Arosio (Como), presso la Casa dei grandi Invalidi, offre ospitalità a un certo numero di orfani. Presto avrebbe dato vita a una casa tutta per loro. Pubblica un libro: Restaurazione della persona umana (Edizioni La scuola, Brescia), il cui titolo dice tutto. Lui, d’ora in poi, sarebbe vissuto per restaurare nei piccoli, tanto più se sofferenti, la dignità della persona umana «alla statura di Cristo» (cf. Ef 4,13). In quell’istante, si vede circondato da una folla di bambini, senza mani, senza gambe, ciechi, sordi, sfigurati, bisognosi di tutto, soprattutto di amore... e lui avrebbe provveduto come un papà e una mamma insieme. Quanto sangue innocente! In giro per l’Italia, Don Carlo stende la mano. Nel 1948, fonda la “Pro infanzia mutilata”, la Federazione dei piccoli mutilati, per assistere le innocenti vittime della guerra, con una prima modesta sede a Milano, e l’altra a Roma, poi in altre città. In quei suoi istituti – vere famiglie – i mutilatini non devono essere commiserati, perché «essi sono l’aristocrazia del dolore, sono dei privilegiati: Dio ha scelto loro, come già ha scelto il Figlio suo Gesù, per la redenzione dell’umanità». L’Italia si mobilita per la sua opera. L’11 febbraio 1953, nasce l’opera grandiosa “Pro Juventute”, con 8 efficienti Istituti, tra cui quello di Parma per le cure e la riabilitazione dei mutilati. Don Carlo è segnato dentro da quel mondo di sofferenza: quanto dolore innocente! Lacrime come perle Tutta quella sofferenza vissuta senza senso – Don Carlo lo sa – è un tesoro preziosissimo che va perduto. Tocca a lui dare senso e letizia a quell’umano dolore innocente. Per questo insegna ai suoi mutilatini a soffrire e a offrire in unione con Gesù che soffre sulla croce e ripresenta il suo Sacrificio nella Santa Messa, ogni giorno, in espiazione dei peccati del mondo e per la salvezza degli uomini. Un giorno, lo spiega a chiare lettere ai suoi bambini che piangono: «Queste vostre lacrime devono diventare perle, angeli miei!». «Ma com’è possibile?». «Prepareremo una cassettina e in essa lasceremo cadere delle perle vere, preziose. Quando uno di voi deve, per il suo bene, subire nella clinica di Parma un’operazione chirurgica, lasciarsi ingessare un arto, farselo tirare in trazione, soffre. Ebbene questa sofferenza fisica non deve andare perduta: bisogna offrirla al Signore, senza piangere, senza gridare. Quando uno di voi sarà riuscito con coraggio, pensando a Gesù in croce, che ha sofferto più di qualsiasi altro sulla terra, a sopportare senza lamenti la sua operazione, avrà diritto a mettere nella cassettina una perla vera». «E poi, e poi?», chiedono quegli innocenti in croce. «Tra un anno, conteremo le perle, le porteremo a un orefice che le userà per formare il nostro distintivo, poi lo doneremo al Papa come segno della nostra sofferenza accolta, con amore, con Gesù sulla croce». I piccoli gli promettono che l’avrebbero fatto. Un giorno d’estate del 1950, tutti i mutilatini di Don Gnocchi si recano in udienza dal Santo Padre Pio XII. Il dono più bello che gli portano è la spilla preziosa che rappresenta il monogramma di Cristo, il “Chi-Ro”, in cui la “X” è fatta da due stampelline incrociate e allacciate da una corona nobiliare, a indicare che «la sofferenza innestata su Cristo forma una cosa sola con Lui, il Cristo mistico, e soltanto in questo modo può ricevere la corona del merito e del premio». Il simbolo era stato fatto interamente con le perle della sofferenza, del coraggio, e dell’offerta dimostrati dai bambini. Don Carlo spiega al santo Pontefice Pio XII il significato del gioiello, come è nato, e conclude: «I miei piccoli hanno offerto il loro dolore per Lei, Santo Padre, per la Chiesa, per la salvezza di tutte le anime». Negli occhi di Pio XII brillano delle grosse lacrime di tenerezza e di riconoscenza, che tutti vedono. Nella sala delle udienze si sente singhiozzare: la sala ora è come un altare. Anche Pio XII, percorso da un fremito, piange.
Il Crocifisso è il significato
Quando tornano nei loro istituti, i piccoli si sentono davvero dei privilegiati. Dio li ha scelti perché portino nelle loro carni la sofferenza redentrice: come Gesù ha tanto sofferto sulla croce fino a morire affinché gli uomini siano liberi dal peccato e ricchi della Vita divina della grazia santificante, così anch’essi stanno soffrendo affinché la Redenzione di Gesù raggiunga ogni uomo. È il grande significato del dolore innocente: occorre spiegarlo a tutti. Don Carlo matura l’idea di una Federazione europea dei giovani mutilati di guerra. Il 27 agosto 1953, Pio XII riceve in udienza 120 mutilatini di Europa, guidati da Don Carlo. Un ragazzo francese offre al Papa una targa con lo stemma della Pro Juventute, il monogramma di Cristo, con inciso il motto: “Cum reciditur, coronatur” (Quando si è immolati, si è incoronati). E gli dice: «Questo significa che noi vogliamo unire i nostri sacrifici a quello di Gesù sulla croce, affinché essi possano servire a un mondo migliore e ricevere così la corona che il Vangelo ha promesso a coloro che soffrono per Gesù». Pio XII gli risponde: «La vostra sofferenza unita a quella di Gesù, vi condurrà tutti al più grande amore per Lui e a una tenera carità per i vostri fratelli». Ora Don Carlo pensa alle cure e alla riabilitazione dei ragazzi colpiti dalla poliomielite. Il 12 settembre 1955 a Milano viene posta la prima pietra del centro-pilota per i fanciulli poliomielitici. Ma ormai Don Carlo è stremato dalla fatica e dal cancro che lo rode allo stomaco. Viene a fargli visita mons. Montini, Arcivescovo di Milano, il suo Arcivescovo, che a vederlo piange. Don Carlo, morente, commenta: «Piange perché sono uno che muore». Il 28 febbraio 1956, va incontro a Dio. Ora per le sue virtù cristiane e sacerdotali eroiche, Don Carlo è stato beatificato dalla Chiesa, e la sua memoria è al 25 ottobre. Proprio il giorno del funerale esce un piccolo libro che lui ha scritto con le sue ultime forze, come il suo testamento, che condensa tutta la sua vita e il suo sacerdozio, la sua opera in mezzo alla gioventù nelle parrocchie, all’Istituto Gonzaga, di cappellano militare, soprattutto in mezzo al dolore dei piccoli e dei più giovani, per dare a ogni lacrima, a ogni goccia di sangue sparsa, il significato e il valore più alto. Il libro si intitola Pedagogia del dolore innocente (Edizioni La scuola, Brescia 1956), ed è la risposta, in Gesù Crocifisso, al grande perché del dolore, così come il beato Don Carlo ha fatto e noi abbiamo narrato. Risposta che spazza via in un soffio il cosiddetto “testamento biologico”. Ogni cristiano, prima di pronunciarsi sul dolore della vita e della morte, dovrebbe riflettere sull’infinito valore della sofferenza unita alla Croce di Cristo e fidarsi di Lui che nelle ore più dolorose gli sarà accanto come medico, medicina e Salvatore. La risposta non è mai la morte, ma la vita in Cristo.
Preghiera O Dio, che sei Padre, e in Gesù Cristo ci rendi fratelli, ti ringraziamo per il dono di don Carlo Gnocchi che la Chiesa venera come Beato. ... Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen. Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. |