6 Maggio 2025

«Vi affido tutti i piccoli e i poveri di questa città, soprattutto i giovani»: la lettera del vicario ai monasteri di clausura

Nella «domenica della samaritana», in «piena emergenza coronavirus», il cardinale vicario Angelo De Donatis scrive ai monasteri di clausura, per dire «il grazie che tutta la comunità diocesana sente il bisogno di manifestarvi». Il porporato, accompagnato dal vicario episcopale per la vita consacrata don Antonio Panfili, me ha visitati 28 (26 femminili e 2 maschili) che si trovano sul territorio diocesano: «pozzi di acqua viva», li definisce, dove «tutta la città si reca fisicamente e ora sempre più anche virtualmente, per avere di “quell’acqua” che solo Gesù può dare».

«E anche in questa circostanza dolorosa e unica della pandemia, in cui tutti siamo costretti a vivere “in clausura” nelle nostre case – scrive ancora il cardinale De Donatis –, voi monache e monaci che avete scelto il chiostro e le grate come stile liberante e santificante, diventate l’esempio di come il “luogo in cui bisogna adorare” è l’intimità del cuore e della famiglia!»

Ancora: «Vi affido tutti i piccoli e i poveri di questa città, soprattutto i giovani. In questa società senza fonti pure e zampillanti, malata di acque stagnanti e piene di virus, possano scoprire di avere in sé una fonte nascosta che li chiama alla vita piena di felicità».

Leggi i ltesto integrale della lettera

18 marzo 2020

«Un vero artista e un uomo amabile»: il vescovo Libanori ricorda l’amico Ennio Morricone

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Aveva chiesto un «funerale in forma privata» nel necrologio scritto di suo pugno, il maestro Ennio Morricone. E così è stato: le esequie si sono tenute lunedì 6 luglio nella cappella del Campus Bio Medico di Roma, dove il compositore Premio Oscar era ricoverato a seguito di una caduta che gli aveva causato la rottura del femore, e dove si è spento nella notte tra domenica e lunedì. Presenti solo i familiari più stretti: la moglie Maria, i figli, i nipoti. Qualche amico, come il regista Giuseppe Tornatore e l’avvocato Giorgio Assumma, ma nessun altro. «Non voglio disturbare», aveva scritto il maestro. E così è stato. A celebrare il funerale, il vescovo ausiliare del settore Centro della diocesi padre Daniele Libanori.

Amico lui stesso di Morricone, che conobbe quando era ancora rettore della Chiesa del Gesù e il compositore abitava poco lontano. «Ogni mattina presto usciva di casa, andava a comprare il giornale e poi veniva in chiesa a pregare – racconta il vescovo –; partecipava anche alla Messa con la signora Maria. Poi, per i duecento anni della ricostituzione della Compagnia di Gesù, io lo avvicinai, una mattina d’estate, e gli chiesi se fosse disposto a scrivere una Messa; aggiunsi subito che non avrei mai potuto dargli un compenso e lui, con la generosità che gli era propria, rispose di sì». Immediatamente, ricorda monsignor Libanori, «cominciò a pensare a un’orchestra, a un coro, come se ci stesse pensando da chissà quanto tempo. Ma poi – prosegue – di lì a una settimana mi chiamò e mi disse di andarlo a trovare, e una volta giunto a casa sua, dove c’era anche la signora Maria, e mi chiese di scioglierlo dall’impegno, perché proprio non riusciva nell’intento. Io lo tranquillizzai, dicendo che l’ispirazione quando viene viene… E sta di fatto che di lì a due mesi avevamo la Messa».

Da allora tra il gesuita e il compositore iniziò una frequentazione assidua. «Lo andavo a trovare spesso, era un uomo molto piacevole – rievoca il presule –. Era una sorta di divo antidivo, è rimasto se stesso nonostante fosse un uomo di fama mondiale, con la sua semplicità e immediatezza. Aveva un carattere sanguigno ma anche una affettuosità grande». In poche parole, «un vero artista», come monsignor Libanori ha sottolineato anche durante il funerale. «L’ho detto nell’omelia: gli artisti muoiono ma lasciano in mezzo a noi la loro anima, perché lasciano la loro musica», dice il vescovo.

Commosso, ricorda i momenti passati insieme. «Era una persona che non amava farsi condizionare; quando accettava una committenza voleva sempre metterci del suo. È sempre stato estremamente riservato riguardo la sua fede, ma la sua è stata una fede semplice e schietta, era uomo dai sentimenti profondi. Ha sempre vissuto in maniera molto discreta. Se da una parte calcava i palcoscenici più famosi del mondo, quando rientrava a Roma viveva geloso della sua intimità, con la compagnia dei figli e dei nipoti». All’insegna della riservatezza decise di celebrare anche il sessantesimo anniversario di matrimonio con l’amata Maria. A presiedere la cerimonia c’era, anche allora, l’amico “padre Daniele”. «Quello fu davvero un momento molto bello per tutti noi. Ha vissuto con grande intensità e grande sobrietà. Il mio è il ricordo di un uomo al quale ho voluto bene».

Giulia Rocchi

8 luglio 2020

«Ulteriore, lieve miglioramento» per Papa Francesco

«Le condizioni cliniche del Santo Padre nelle ultime 24 ore hanno mostrato un ulteriore, lieve miglioramento. La lieve insufficienza renale riscontrata nei giorni scorsi è rientrata». Lo dichiara la nota della Sala Stampa della Santa Sede inviata nel tardo pomeriggio di oggi (mercoledì 26 febbraio 2025).

«La TAC torace, eseguita ieri sera (il 25 febbraio, ndr), ha evidenziato una normale evoluzione del quadro flogistico polmonare – si legge ancora –. Gli esami ematochimici ed emacrocitometrici della giornata odierna hanno confermato il miglioramento di ieri. Il Santo Padre continua l’ossigenoterapia ad alti flussi; anche oggi non ha presentato crisi respiratorie asmatiformi. Continua la fisioterapia respiratoria. Pur registrando un lieve miglioramento, la prognosi rimane riservata».

La nota informa anche che «nel corso della mattina il Santo Padre ha ricevuto l’Eucarestia. Il pomeriggio è stato dedicato alle attività lavorative».

26 febbraio 2025

«Tutto è già andato bene perché Cristo è risorto»: la conclusione del pellegrinaggio a Lourdes

«Questo è un luogo in cui impariamo a benedire, perché siamo benedetti e a consolare, perché siamo consolati. Quante preghiere, quante lacrime, quante fatiche del corpo e del cuore sono passate davanti a questa grotta, anche in questi giorni. Noi benediciamo Dio, perché lui ci ha consolati attraverso Maria». Si conclude il tradizionale pellegrinaggio diocesano di fine agosto, organizzato dall’Opera romana pellegrinaggi, che in questo 2020 segnato dalla pandemia di coronavirus ha portato a Lourdes 184 pellegrini romani, tra cui 40 sacerdoti. A guidare il gruppo il cardinale vicario Angelo De Donatis, che ha celebrato la Messa conclusiva.

Un pellegrinaggio segnato dall’emergenza sanitaria: la tradizionale processione aux flambeaux e quella eucaristica sono state sostituite dalla recita del Rosario e dell’adorazione, con i pellegrini ben distanziati. Mascherine sui volti anche all’aperto, negli spazi del Santuario mariano, per garantire la massima sicurezza. «Nel culmine della pandemia – ha detto il cardinale nell’omelia – la sofferenza più grande dei ricoverati è stata quella di essere soli. Ho saputo di testimonianze di infermieri che sono stati accanto, al di là della loro professione, come fossero familiari, per permettere ai malati di soffrire e di morire sentendo qualcuno vicino, che li consolava, tendendo la mano, un segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà, all’amore. In questi mesi di sconforto e smarrimento, quante mani tese abbiamo potuto vedere! La mano del medico, dell’infermiera e dell’infermiere, del farmacista, del volontario. E altre mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione».

«Abbiamo detto, scritto e sentito tante volte che “Tutto andrà bene” – ha sottolineato il porporato, colpito in prima persona dal virus, ricoverato al policlinico Gemelli e poi guarito –, ma questo augurio bellissimo rimane ancora una speranza solo umana. La speranza di Gesù è diversa. Immette nel cuore la certezza che tutto è già andato bene e che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita. Maria ti consola, ti sostiene, ti abbraccia».

Il pensiero è non solo per i pellegrini presenti, ma per tutti i fedeli romani, che hanno potuto seguire questo pellegrinaggio grazie a numerose dirette televisive e sui social media, tramite una rete che ha coinvolto Tv2000, i canali Rai, Telepace, Nsl, il gruppo Ewtn e i media della diocesi di Roma e dell’Opera romana pellegrinaggi. «Mi rivolgo a voi presenti ma penso ai tanti che sono a casa e ci seguono in televisione o attraverso i social – ha continuato il vicario –. Penso a chi è malato, a chi è nel lutto, a chi è solo. Voglio ripeterlo per voi: tutto è andato bene perché Gesù è risorto e Maria ve lo ricorda: Ella, pur condividendo il vostro dolore, vi riempie della luce della gioia pasquale. Prendiamoci un impegno, in questo giorno di ritorno. Chiediamo a Maria di aiutare le nostre comunità parrocchiali o religiose ad essere veramente una madre dal cuore aperto, capaci di consolare, di accogliere, di sostenere».

L’amministratore delegato dell’Orp monsignor Remo Chiavarini, intanto, dà appuntamento al prossimo anno: «Partiamo – ha detto – sapendo che i giorni che ci aspettano non saranno semplici, perché molti saranno presi da paure e difficoltà riguardo al loro futuro. Ma sappiamo che i nostri pastori non mancheranno nello spirito di protezione e maternità di Maria che li aiuterà a dare conforto alle nostre comunità. Un grazie a tutti e un arrivederci al prossimo anno».

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27 agosto 2020

«Teologia di popolo», cresce il numero delle sedi

Sono 11 le parrocchie che dal prossimo ottobre si aggiungeranno alle 10 che nei diversi settori della diocesi già dallo scorso anno si sono messe a disposizione per l’attuazione del corso “Teologia di popolo”, promosso dal Centro diocesano di teologia per laici, afferente dal 2006 all’Istituto Ecclesia Mater (Pontificia Università Lateranense).

Per il settore Centro si tratta della basilica di San Lorenzo in Damaso e di quella di Santa Croce in Gerusalemme; nel settore Nord, invece, le parrocchie interessate sono quelle di Sant’Angela Merici, sulla Nomentana, e di Sant’Alberto Magno, in zona Porta di Roma. Nei settori Est e Ovest le comunità parrocchiali raggiunte dall’iniziativa sono: Santa Barbara, in zona Capannelle, e quella del Santissimo Sacramento, sulla Prenestina; quella di Santa Lucia, a piazzale Clodio, e quella di Santa Maria della Provvidenza, a Monte Verde. Per il settore Sud, ancora, in zona Laurentina-Cecchignola la parrocchia di San Giuseppe da Copertino, ad Acilia, quella di San Leonardo da Porto Maurizio e infine, nel quartiere Ardeatino, la parrocchia di Santa Francesca Romana.

«In queste nuove sedi – illustra don Paolo Scarafoni, teologo e coordinatore del Centro –, si inizia con il primo anno del percorso triennale e cioè dalle verità centrali della rivelazione cristiana, dalla preghiera che Cristo ci ha insegnato e dai sacramenti» mentre «nelle attuali 10 sedi già attive, i 280 studenti totali sempre da ottobre prossimo continueranno il loro percorso con lo studio della Sacra Scrittura e dell’antropologia cristiana».

Per aderire alla proposta formativa il coordinatore del Centro – affidato anche a don Enzo Pacelli e a don Pino Pulcinelli – fa sapere che «non sono necessari specifici requisiti o titoli accademici ma ci vuole unicamente l’impegno di affrontare seriamente lo studio» laddove lo scopo primario è quello di «diffondere sul territorio la formazione teologica dei laici, facendo emergere il loro carisma di partecipazione nella Chiesa», spiega ancora il sacerdote, sottolineando come «il corso risponde a delle esigenze e richieste concrete delle comunità parrocchiali e i parroci stessi promuovono e appoggiano la proposta come occasione di formazione per i laici».

Le iscrizioni saranno aperte e possibili on-line accedendo dal 1° luglio al 31 ottobre al sito dell’Ecclesia Mater e selezionando la relativa sezione “Teologia di popolo”; il costo del corso annuale è di 150 euro cui andrà aggiunto il costo di 10 euro per ogni esame che verrà sostenuto. In tutte le sedi le lezioni si svolgeranno in orario serale, dalle 19.30 alle 21.30, una volta a settimana, da ottobre a dicembre e da febbraio a maggio.

 

Teologia di popolo

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«Solo chi è pieno di Dio è felice, anche in mezzo alle prove del mondo»: si conclude il pellegrinaggio diocesano a Fatima

«Siamo arrivati smarriti, affaticati, preoccupati e poi, dopo tre giorni, eccoci ritrovati, sollevati, ricolmi di speranza. Siamo pronti a ‘occuparci delle cose del Padre’. E torniamo a casa, nella nostra dimensione quotidiana, certi che senza Gesù non possiamo fare nulla. Con Gesù al centro la nostra storia si volge sempre al bene». Lo ha detto il cardinale vicario Angelo De Donatis, nell’omelia della Messa che ha celebrato stamani a Fatima, in conclusione del pellegrinaggio diocesano.

Ricordando il 13 maggio di quaranta anni fa, quando Papa Giovanni Paolo II fu vittima dell’attentato in piazza San Pietro, il cardinale ha osservato che «forse abbiamo creduto che il Male volesse prendersi la rivincita, che il dono che ci era stato fatto con il Santo Padre potesse esserci stato tolto». «Anche la terza parte del segreto di Fatima può sembrarci ad una prima lettura la fine disastrosa di una storia sempre dominata dal Male. Ma non è così. Maria dice a Lucia: Il Mio cuore immacolato trionferà». Nelle parole del cardinale la consapevolezza che «la fede e la preghiera sono potenze che possono influire nella storia». «La preghiera è più forte dei proiettili, la fede è più potente delle divisioni».

Il cardinale De Donatis ha poi rivolto il pensiero a questo tempo di pandemia, a ciò che succede in Afghanistan, in Libano e in tante parti del mondo, ai morti e alle rovine dell’ultimo terremoto ad Haiti. «Il cuore si stringe e crediamo che tutto sia sottomesso al Male. Così succede anche nella vita di ciascuno di noi. A volte siamo tentati di vedere solo le cose che non vanno, di credere che non c’è via di scampo e di salvezza. Eppure, il Cuore immacolato trionferà». Un trionfo che corrisponde a un «cuore che sa vedere». «Ripartiamo da Fatima non solo con il desiderio di tornarci, ma con l’impegno di portare nella nostra quotidianità quanto abbiamo riscoperto: solo chi è pieno di Dio è felice, anche in mezzo alle prove del mondo e della propria storia».

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31 agosto 2021

«Solo attraverso la preghiera potremo percepire la voce sottile dello Spirito Santo»: il mandato di preghiera per il cammino sinodale

Foto di Cristian Gennari

«Oggi siamo qui perché crediamo che il cammino sinodale, iniziato da qualche mese, non può andare avanti se non si parte dalla preghiera. Abbiamo bisogno di rivolgerci a Dio e di ascoltarlo, per poi essere pronti ad ascoltare il prossimo, rivolgendoci verso di lui. Il cammino insieme verso l’altro non può procedere se non si parte dall’Alto». Il cardinale vicario Angelo De Donatis ha presieduto ieri, domenica 9 gennaio, la liturgia della Parola durante la quale ha consegnato il mandato di preghiera per il cammino sinodale. I rappresentanti di realtà ecclesiali, gruppi, associazioni, movimenti, che affollavano la basilica di San Giovanni in Laterano, lo hanno ricevuto idealmente in rappresentanza di tutta la comunità diocesana di Roma.

«Voi rappresentate diverse realtà della nostra diocesi che sono state invitate ad intercedere, come anche a proporre momenti comunitari di preghiera – ha detto loro il cardinale vicario –. È bello sapere che a Roma sono già tante le comunità monastiche, religiose, parrocchiali che aprono le porte delle loro chiese o cappelle perché ci si ritrovi insieme in varie forme di preghiera, nell’ascolto della Parola, nell’adorazione dell’eucaristia, nella lectio divina o nella recita comune della liturgia delle ore o del santo rosario. Da oggi questa vostra vocazione diventa ancor più una missione. Solo attraverso la preghiera potremo percepire la voce sottile dello Spirito Santo che ci suggerisce quali percorsi seguire, quali scelte fare, per il bene della chiesa di Roma e di questa nostra città».

La solenne celebrazione, animata dal coro della diocesi di Roma diretto da monsignor Marco Frisina, ha previsto una prima parte, che ha avuto luogo all’ingresso della cattedrale, con l’accoglienza da parte del cardinale dell’acqua attinta dal Battistero lateranense e la preghiera di invocazione del dono dello Spirito, il rinnovo delle promesse battesimali e la preghiera di lode sull’acqua, proprio nel giorno in cui la Chiesa faceva memoria del Battesimo del Signore. A seguire, accompagnata dal canto delle litanie dei santi, la processione lungo la navata centrale con l’aspersione dell’assemblea, in ricordo del sacramento dell’iniziazione cristiana.

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10 gennaio 2022

«Smetto di mangiare»: i genitori e le adolescenti anoressiche

La notizia è dei giorni scorsi: la Polizia postale italiana ha oscurato un blog in cui le adolescenti erano spinte verso l’anoressia. La proprietaria del sito è stata denunciata per istigazione al suicidio. Non si tratta di un caso isolato. È, in realtà, un fenomeno noto da diversi anni (i blog di questo tipo sono diffusi in tutto il mondo e sono conosciuti come Pro-Ana).

Molti giornali hanno riportato una parte dei contenuti del blog incriminato. In primo luogo, ciò che colpisce sono i consigli che venivano dati alle ragazze – il disturbo riguarda in gran parte la popolazione femminile – che si collegavano al sito («essere magri è più importante che essere sani», «non sarai mai troppo magra», ecc.); ma sono soprattutto dolorosamente istruttivi i commenti che le adolescenti stesse facevano sul blog. Una scrive: «In questi giorni mi sono sentita come un maiale all’ingrasso…ed è stata una sensazione orribile… mi è mancata ana… mi sono mancati i morsi della fame», un’altra: «Non potete immaginare quanto mi conforti sapere che ci sono così tante ragazze che cercano la perfezione, mi aiutate a non sentirmi sola!».

Certamente, queste e decine di altre frasi che si trovavano nel blog sarebbero interessanti punti di partenza per una discussione clinica sul tema dei disturbi alimentari. Chiunque, per esempio, leggendole, noterà che certi contenuti paradossali che normalmente giacciono riposti in qualche angolo segreto del nostro animo, qui emergono tranquillamente in superficie: chi mangia è un maiale; oppure, dimagrire, lasciando letteralmente solo la pelle sopra le ossa, costituisce la perfezione e così via.

Potrà essere, però, molto più utile soffermarsi, qui, su un problema pratico: cosa deve fare (e non fare) un genitore che pensa di avere una figlia anoressica. Anzitutto, occorre evitare di sottovalutare il problema, quando c’è, ma anche di allarmarsi con troppa facilità. In forme blande, il cattivo rapporto con il cibo è così frequente da poter essere considerato un malessere sociale. Non basta che una ragazza avvii una dieta quando non ce n’è alcun bisogno o che si lamenti di continuo della propria forma fisica per considerarla anoressica.

Il disturbo, nelle sue forme più serie, è associato ad alcuni segnali non difficili da notare soprattutto quando si vive nella stessa casa: oltre, ovviamente, al dimagrimento eccessivo, si deve fare attenzione alla presenza di un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche quando è significativamente basso come, per esempio, il procurarsi il vomito dopo aver mangiato oppure l’assumere farmaci anoressizzanti o ancora praticare maniacalmente una attività fisica. Se questi segnali ci sono ed in particolare, se si manifestano tutti insieme, c’è anche il problema e non si può pensare di risolverlo in casa: occorre l’intervento di uno psicoterapeuta combinato con un trattamento medico-nutrizionale.

La prima difficoltà sarà probabilmente quella di convincere l’adolescente a svolgere un colloquio con un professionista. Molto spesso le anoressiche negano di avere un problema alimentare ed è il motivo per cui i blog Pro-Ana funzionano così bene: sono frequentati da persone che hanno un unico modo di vedere le cose. Non di rado, questo delicato passo può essere fatto grazie a una persona, anche esterna alla famiglia, della quale la ragazza si fida, in modo particolare può essere un parente, un amico di famiglia o il medico di base, che potrà peraltro metterla autorevolmente in guardia sui pericoli di certi comportamenti alimentari.

In genere, un genitore tende a fare il suo mestiere: rimprovera la figlia, la obbliga a mangiare oppure, in modo più sottile, imbandisce una tavola piena di prelibatezze per costringerla a cedere. In questo caso, però, i rimproveri e le forme di sfida non funzionano e anzi sono dannosi.

Bisognerà cominciare a riflettere sul fatto che, pur essendo molto varie le ragioni per cui una ragazza inclina verso comportamenti alimentari errati, non di rado i genitori hanno una parte di responsabilità. È, questo, un punto molto delicato, perché di solito un genitore, come verifichiamo continuamente nella nostra esperienza di consultorio, tende ad assumere due atteggiamenti opposti, entrambi poco utili: o va a cercare una colpa generica nel mondo (“le anoressiche sono così perché…”) oppure tende ad assumersi lui stesso colpe che spesso non ha.

Si deve invece considerare che non è affatto strano che un genitore, senza essere colpevole di nulla, avendo anzi messo tutto il suo impegno nella crescita dei figli, sia suo malgrado una delle cause delle loro difficoltà. Anche se non è facile, ci vuole coraggio e la possibilità di accedere ad altre risorse: se il motore del disturbo è dentro la famiglia, come spesso è, molto difficilmente la famiglia stessa, da sola, riuscirà a trovare una soluzione. Di solito, dunque, la soluzione a questi problemi, cui con un po’ di pazienza immancabilmente si arriva, comincia con un genitore che prende atto dei propri limiti e va a cercare aiuto all’esterno. (Tiziana Lania, psicologa e psicoterapeuta)

 

15 dicembre 2017

«Siate come i servi di Cana» (video all’interno)

«Il segno delle nozze di Cana risuona oggi, in questo luogo, come un invito alla gioia del Vangelo. Una gioia sovrabbondante, umanamente al di là delle nostre attese. Gesù ha compiuto il suo primo miracolo per ricordare all’uomo che Dio viene per darci gioia, per donare se stesso. Lui non ci toglie nella, ma ci dà tutto. Lui vuole farci sorridere». Il cardinale Angelo De Donatis comincia così l’omelia della Messa internazionale, celebrata questa mattina – mercoledì 29 agosto – a Lourdes, nel terzo giorno del tradizionale pellegrinaggio diocesano. Riprende il tema del cammino, il vicario del Papa per la diocesi di Roma, che coincide con quello che accompagna le attività di quest’anno nel santuario: “Fate quello che vi dirà”, la frase rivolta da Maria ai servi durante le nozze di Cana.

«Dopo quelle parole sorridenti – prosegue De Donatis – il Vangelo non ci racconta le reazioni dei servi, i loro pensieri. Abituati a servire essi accolgono l’invito di Maria e di Gesù come un comando cui obbedire». Ed è così, aggiunge il porporato, che dobbiamo fare anche noi: «Fate quello che Gesù vi dirà, date spazio alla sua Parola, ogni giorno, e rispondendo con la preghiera – esorta i fedeli –. Fate quello che Gesù vi dirà, cogliendo i piccoli grandi segni del suo passaggio quotidiano, in un gesto di servizio, in un incontro con una persona bisognosa, o nella gioia di condividere il cammino di fede in una comunità parrocchiale. Fate quello che Gesù vi dirà, fuggendo la monotonia del quotidiano certi che chi si fida di Dio sa che Lui trasformerà quell’ordinario nello straordinario dono della sua presenza d’amore».

Leggi l’omelia completa

29 agosto 2018

«Si compia in noi il mistero del Natale»

«In questa notte di Natale si accenda in noi la luce della contemplazione silenziosa e adorante di questo Mistero che si rivela al nostro sguardo: Dio in un bambino. In questa notte, infatti, noi vogliamo, prima ancora che riflettere, entrare nello stupore di chi ammira con occhi nuovi questa scena che il Vangelo di Luca ci annuncia: per noi, per ciascuno di noi nasce un Salvatore, che si nasconde e insieme si rivela nel segno di un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

Il cardinale vicario Angelo De Donatis ha esordito così, nell’omelia pronunciata nella Messa della Notte di Natale, celebrata nella basilica di San Giovanni in Laterano. Il porporato ha ricordato anche «l’ottavo centenario della raffigurazione della Natività, che san Francesco ha realizzato nel primo presepe di Greccio».

Ha invitato tutti i fedeli ad accostarsi al mistero del Natale «facendoci piccoli». «Accostiamoci a questo mistero facendoci piccoli, “come indegni servitorelli, con tutto il rispetto e la riverenza possibili”, ci direbbe Sant’Ignazio. Contempliamo con umiltà l’abbassamento di Dio che viene “vestito da amante” (Tagore), che scende per stare con me senza farmi paura, che mi desidera fino al punto di volersi comunicare completamente alla mia umanità, per farsi vedere, udire e toccare, al punto da rendere anche me annunciatore, come dice Giovanni, affinché sia vero per tutti noi che “ciò che noi abbiamo udito, ciò che
noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo” (1 Gv 1, 1.3). Egli viene a dare se stesso per noi (Tito 2,14) perché noi possiamo appartenergli, viene per stabilire con noi un legame d’amore, che moltiplichi la nostra gioia e aumenti la nostra letizia (cfr. Is 9, 2). Dio viene come un bambino per ricevere da noi l’amore che daremmo a un figlio: Lui viene a chiedere il nostro amore mentre ce lo dona per primo.».

«Si compia il noi il mistero del Natale – ha concluso –: avvenga quello “scambio di doni” tra la nostra povertà e la sua grandezza. Ciò che è nostro sia tutto assunto da Lui e ciò che è Suo divenga veramente nostro. Allora sarà veramente Natale».

Il testo integrale dell’omelia

2 gennaio 2024

«Semplicità evangelica e amore per i poveri»: i funerali di Papa Francesco

Foto: Diocesi/Gennari

La bara di cipresso, sopra il Vangelo aperto. Sono circa 200.000 i fedeli riuniti in piazza San Pietro questa mattina, 26 aprile, per l’ultimo saluto a Papa Francesco. A presiedere il rito è il cardinale decano Giovanni Battista Re e con lui 980 concelebranti, fra cardinali, vescovi e sacerdoti, ci sono poi 200 ministri della comunione e oltre 4 mila presbiteri. La bara del Pontefice è stata portata a spalle dai sediari, dall’altare della Confessione lungo tutta la navata centrale di San Pietro, uscendo sul sagrato dalla porta principale. Quindi, tra gli applausi dei fedeli, è stata adagiata davanti all’altare.

Sul sagrato della Basilica, a destra guardando la facciata, hanno trovato posto le quasi 170 delegazioni in rappresentanza degli Stati di tutto il mondo. Numerose anche, in tutto una quarantina, le delegazioni dei rappresentanti ecumenici e delle altre religioni. Come anche la presenza dei giornalisti, 2.700 quelli accreditati a seguire l’evento, divisi tra le postazioni stampa sul braccio di Carlo Magno e nelle due sale stampa, in via della Conciliazione e in via dell’Ospedale.

«Siamo raccolti in preghiera attorno alle sue spoglie mortali col cuore triste, ma sorretti dalle certezze della fede», ha detto il cardinale Re nella sua omelia, sottolineando come la speranza cristiana apra all’orizzonte della «casa del Padre in una vita di felicità che non conoscerà tramonto». Il porporato ha rievocato l’ultimo gesto pubblico di Papa Francesco, un atto di coraggio e dedizione nonostante le gravi condizioni di salute: «La sua ultima immagine è quella di domenica scorsa, solennità di Pasqua, quando ha voluto impartire la benedizione dal balcone della Basilica di San Pietro e poi è sceso in piazza per salutare la folla dalla papamobile».

Re ha evidenziato come il pontificato di Papa Francesco abbia profondamente influenzato la Chiesa e il mondo: «Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso Pontificato di Papa Francesco abbia toccato le menti e i cuori». Nel ricordare il senso del ministero petrino, il cardinale ha ricordato che «Gesù affidò a Pietro la grande missione: “Pasci le mie pecore”», e ha sottolineato come Papa Francesco abbia compiuto questo mandato «percorrendo la via della donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena», seguendo l’esempio del «buon Pastore che ha amato le sue pecore fino a dare per loro la sua stessa vita».

Il cardinale ha ripercorso anche i tratti salienti del lungo pontificato di Francesco: «La decisione di prendere il nome Francesco apparve subito come la scelta di un programma e di uno stile», ispirato alla semplicità evangelica e all’amore per i poveri. Papa Francesco è stato ricordato come un «Papa in mezzo alla gente, con cuore aperto verso tutti», capace di instaurare «un contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni, desideroso di essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in difficoltà». Non sono mancati i riferimenti alla grande apertura missionaria di Francesco: «Il primato dell’evangelizzazione è stato la guida del suo Pontificato, diffondendo con una chiara impronta missionaria la gioia del Vangelo», così come il suo costante richiamo a «una Chiesa dalle porte sempre aperte», capace di farsi «ospedale da campo» per curare le ferite dell’umanità.

Il cardinale Re ha poi anche ricordato l’impegno di Francesco per i più poveri e gli emarginati: «Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi», a partire dal simbolico viaggio a Lampedusa, fino alle visite a Lesbo e al confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Particolare menzione è stata dedicata al viaggio in Iraq nel 2021, «compìto sfidando ogni rischio», definito un “balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena”, e all’inesauribile impulso al dialogo interreligioso.

«Papa Francesco ha sempre messo al centro il Vangelo della misericordia», ha proseguito il porporato, richiamando il Giubileo Straordinario della Misericordia e la convinzione che «Dio non si stanca di perdonarci». In contrasto con «la cultura dello scarto», Francesco ha promosso «la cultura dell’incontro e della solidarietà», e ha ribadito con forza che «apparteniamo tutti alla medesima famiglia umana». In un’epoca segnata da conflitti e violenze, il Papa non ha mai cessato di levare la sua voce: «La guerra è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole. La guerra lascia sempre il mondo peggiore», ha ricordato il cardinale, citando più volte gli accorati appelli del Pontefice alla pace. “Costruire ponti e non muri” è un’esortazione che egli ha più volte ripetuto e «il servizio di fede come Successore dell’Apostolo Pietro è stato sempre congiunto al servizio dell’uomo in tutte le sue dimensioni».

Al termine dell’omelia, il cardinale Re si è rivolto a Papa Francesco con parole colme di affetto e gratitudine: «Caro Papa Francesco, ora chiediamo a Te di pregare per noi e che dal cielo Tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero», evocando l’ultimo abbraccio ideale che il Pontefice ha offerto domenica scorsa, benedicendo il popolo di Dio e l’intera umanità.

Al termine della Messa esequiale, si è svolto il rito dell’ultima commendatio (ultima raccomandazione) e la valedictio (commiato). È il momento in cui si affida definitivamente l’anima del Pontefice a Dio Padre, invocando lo Spirito Santo affinché lo accolga nella pace eterna e lo risusciti nell’ultimo giorno. Dopo l’invocazione delle Litanie dei Santi, il cardinale vicario per la diocesi di Roma, Baldassare Reina, ha guidato la supplica della Chiesa di Roma con queste parole: «O Dio, che dai la giusta ricompensa agli operai del Vangelo, accogli nel tuo regno il tuo servo e nostro Vescovo, il Papa Francesco, che hai costituito successore di Pietro e Pastore della tua Chiesa, e donagli la gioia di contemplare in eterno i misteri della grazia e della misericordia che sulla terra ha fedelmente dispensato al tuo popolo».

Dopo la cerimonia, il feretro è stato traslato fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore, salutato da circa 150.000 fedeli, dove Papa Francesco ha scelto di essere sepolto, accanto all’icona della Madonna Salus Populi Romani, simbolo della sua devozione mariana e del suo amore per il popolo romano.

26 aprile 2025

«Roma città dei ponti»: quel monito di Francesco

15 aprile 2014: Papa Francesco visita la parrocchia di San Paolo della Croce, a Corviale (foto Diocesi di Roma / Gennari)

Il 13 marzo 2013, quando Jorge Mario Bergoglio si affacciò dalla loggia delle Benedizioni della basilica di San Pietro come successore di Benedetto XVI, nel suo primo discorso si presentò come vescovo di Roma e non come Papa o pontefice. Fu un segnale del suo modo di intendere il ministero petrino. E in effetti il legame di Francesco con la sua diocesi è stato sempre molto profondo. A cominciare dalle visite pastorali nelle parrocchie.

Non molte, in verità, una ventina, ma tutte o quasi nelle zone periferiche della città. A partire dalla prima, il 26 maggio 2013, ai Santi Elisabetta e Zaccaria a Labaro-Prima Porta, fino a quella del 7 aprile 2019 a San Giulio Papa. Poi, tra pandemia e problemi di salute legati alla deambulazione, le visite si sono interrotte. Ma il Santo Padre ha continuato a incontrare i sacerdoti, non solo nella tradizionale occasione della Quaresima.

A partire dal settembre 2023, si è recato in cinque parrocchie periferiche per dialogare con i gruppi di sacerdoti delle diverse prefetture nei settori della diocesi. Poi, a dimostrazione della sua attenzione per il clero romano, ha tenuto altri due incontri, con sacerdoti che avevano 40 anni di ministero e quelli a 10 anni dall’ordinazione. Come pure segno di attenzione è la costituzione apostolica “In Ecclesiarum Communione” con cui ha riformato il Vicariato di Roma, che ha stabilito una maggiore presenza del Papa, vescovo di Roma, nella gestione della diocesi e la successiva riduzione a quattro dei settori, con l’abolizione del Centro. E ancora, un momento di grande rilievo è stata l’assemblea diocesana del 25 ottobre 2024 nella basilica di San Giovanni in Laterano.

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