22 Ottobre San Giovanni Paolo II

Carissimi medici, colgo volentieri questa circostanza per riaffermare anche a voi, come già ho fatto in altre occasioni, la benevolenza, la stima e la speranza che la Chiesa ripone in voi e nella vostra esperienza in una missione tanto alta e generosa, quale è quella del servizio ai fratelli sofferenti.

Mi piace, a questo proposito, far mie le parole, che il mio venerato predecessore Pio XII rivolse ad un gruppo di Chirurghi nel 1945: “Come è elevato, come è degno di ogni onore il carattere della vostra professione! Il medico è stato designato da Dio per venire incontro ai bisogni dell’umanità sofferente. Egli, che ha creato questo essere, consumato dalla febbre o lacerato, che qui vedete fra le vostre mani – Egli che lo ama di un amore eterno, vi ha affidato il compito nobilitante di restituirgli la sanità. Voi recate nella camera dell’infermo e sopra la tavola di operazione qualche cosa della carità di Dio, dell’amore e della tenerezza di Cristo, il grande Medico dell’anima e del corpo. Questa carità non è un sentimento superficiale, che manchi di fermezza… Essa è infatti amore che abbraccia tutto l’uomo, un essere che è fratello nell’umanità, e il cui corpo ammalato è ancora vivificato da un’anima immortale, che tutti i diritti della creazione e della redenzione uniscono alla volontà del suo Maestro Divino” (Pio XII Discorsi e Radiomessaggi, VI [1945] 304).

Ho voluto riportare questo stupendo passaggio del discorso di Pio XII, perché mette in evidenza la missione dei medici e la solidarietà umana e cristiana che essi devono dimostrare insieme con la loro dottrina e con i progressi della sperimentazione. Anche voi, sotto la severa indagine scientifica, sempre necessaria per una diagnosi precisa, sappiate avere un afflato umano ed una profonda simpatia verso coloro che ricorrono al vostro aiuto. Siate sempre ministri della vita; non mai, non mai strumenti di morte! Fate tutto con amore, per amore di Cristo, il quale non lascerà senza ricompensa tutto quanto fate per i più piccoli fra i suoi: perché in ciascuno di essi Egli ha voluto identificarsi: “Quamdiu fecistis uni de his fratribus meis minimis, mihi fecistis” (Mt 25,40).
Questo motivo ideale vi sorregga nella vostra professione: sia esso il palpito segreto che nobilita i vostri sforzi; sia esso l’impegno sacro che vi fa scorgere nei sofferenti, soprattutto nei più abbandonati, il volto dolorante del Cristo e il suo sguardo pieno di riconoscenza. Lasciatevi guidare da questi sentimenti nella cura dei vostri ammalati e “Il Dio dell’amore e della pace sarà con voi” (2Cor 13,11).

E a voi, cari ammalati, presenti a questa riunione o dislocati nelle corsie di questo Ospedale, che cosa dirò? Vi rinnovo ancora una volta il saluto e la mia particolare affezione. E poi vi dirò che mi siete cari: non solo per la carità che tutti ci dobbiamo a vicenda ma anche per il titolo particolare che vi fa partecipare più degli altri al mistero della Croce e della Redenzione; mi siete cari perché il dolore vi conferisce una dignità che merita preferenza di affetto; mi siete cari perché vedo in voi i tesori della Chiesa, la quale è continuamente arricchita col dono delle vostre sofferenze; mi siete cari perché pellegrini verso il Cielo, seguendo un sentiero erto ed aspro e passando attraverso la porta stretta; mi siete cari perché a voi appartiene la beatitudine riservata dal Cristo a coloro che soffrono. Siate quindi benedetti!

A voi tutti provati dalla sofferenza, che mi ascoltate c’è forse bisogno di ricordare che il vostro dolore vi unisce sempre più all’Agnello di Dio, il quale mediante la sua Passione ha “cancellato il peccato del mondo”? (Gv 1,29). E che quindi anche voi, associati a Lui nella Passione, potete essere corredentori dell’umanità? Voi conoscete queste luminose verità. Non stancatevi mai di offrire le vostre pene per la Chiesa, perché tutti i suoi figli siano coerenti con la loro fede, perseveranti nella preghiera e ferventi nella speranza.