Non sono mai più uscite da lì dentro, la residenza sanitaria assistenziale della Fondazione Don Gnocchi a Roma che quando Orietta aveva nove anni si chiamava Cottolengo, e raggruppava un tale concentrato di dolore di fronte al quale Maria Pia Romani non è rimasta inerte.
Accudiva la sua piccola Orietta, bisognosa di tutto, ma Maria Pia espandeva il suo amore anche alle compagne di sventura di sua figlia.
Non ha mai smesso di occuparsi di quelle giovani che in quarantasette anni hanno raggiunto l’ età delle nonne insieme a lei, ma che alla residenza di Don Gnocchi le assistenti chiamano ancora «ragazze», un vezzo gioioso in un posto dove l’ impegno di Maria Pia getta ogni giorno raggi luminosi.
«Facciamo la maglia, l’ uncinetto, il bricolage, alcune ragazze sono in grado di realizzarli questi lavoretti, con un po’ di assistenza. Altre no, e allora glieli facciamo vedere da vicino i lavoretti, glieli facciamo toccare, le teniamo impegnate anche con le chiacchiere».
E la chiacchiera non fa certo difetto a Maria Pia, che bisogna vederla per capire, ottanta anni portati con la leggiadria di un’ adolescente, a dispetto di quella maledetta croce che sulla sua prima figlia è piombata quando era piccola piccola.
«Orietta era una bimba bella e sana», racconta Maria Pia e la sensazione è che questa volta stia inghiottendo qualche lacrima, quando racconta la causa del malessere della figlia. «Un incidente brutto con un vaccino del vaiolo, e Orietta è stata colpita da un’ encefalite invalidante».
Adesso ha cinquantasei anni la bimba cresciuta tra Cottolengo e Fondazione Don Gnocchi. «Purtroppo – dice – da qualche giorno le hanno dovuto inserire anche la peg, il sondino parenterale per mangiare, lei da sola non ce la fa più».
Adesso che arriva il Natale Maria Pia si rimbocca le maniche, pronta a sfornare lavori e lavoretti per i mercatini della solidarietà, e chissà se non sarebbe una buona idea nominare Maria Pia Romani come ambasciatrice della giornata internazionale della disabilità, quella che in tutto il mondo si celebra proprio oggi, il 3 dicembre.
«Per rimanere più tempo dentro la Fondazione Don Gnocchi, ho rinunciato anche al mio lavoro», racconta ancora Maria Pia, e le brillano gli occhi quando pensa a quanti lavori con la maglia, e con il cucito, e con l’ uncinetto potrà fare in queste settimane.
Dice: «Lavorare a maglia è da sempre una mia passione.
Aver potuto metterla a disposizione di persone meno fortunate è stata per me una gioia doppia».
Anche alle «ragazze» brillano gli occhi quando Maria Pia apre i suoi canestri «magici» e tira fuori gli strumenti del mestiere, gomitoli dai colori sgargianti, ferri di qualsiasi dimensione, una batteria di uncinetti colorati.
Brillano gli occhi di Cinzia, e di Gianna, e di Concetta che con Maria Pia sono davvero cresciute, imparando l’ arte della maglia.
Da un po’ di tempo alla Fondazione Don Gnocchi ad assistere le «ragazze» è arrivato anche Francesco Marzo, il marito di Maria Pia che di nuovo sorride, e dice: «Diciamo che lui con la maglia non è proprio ferrato, però da quando è andato in pensione se vuole trovare la sua famiglia è qui che deve venire».