Leggere questo tempo alla luce della Parola,
dal diluvio universale al nostro Battesimo (III PARTE)
DALL’ARCA ALL’ARCO
Dio benedice Noè e i suoi figli, stabilendo una “berit”, un’alleanza, in cui promette che il diluvio non devasterà più la terra. Segno di questa alleanza è l’arco posto tra le nubi – l’arcobaleno – che, nella sua poetica simbologia, nasconde un significato molto più intenso e forte. Quell’arco infatti sarebbe uno strumento da guerra che Dio poteva usare contro di noi, lanciando fulmini e frecce verso l’umanità e che invece ora è “appeso al chiodo” o, meglio, rivolto contro il cielo, se dovesse Dio (!) non essere fedele al patto stipulato con Noè. Dio “si mette in gioco” dicendoci che la sua fedeltà è per sempre. E ne avremo prova quando manderà suo Figlio che offrirà se stesso, nella nuova ed eterna alleanza nel suo Corpo donato per noi e nel suo Sangue versato nel sacrificio della croce. Con l’arcobaleno Dio promette che mai più verrà gettato un diluvio sulla terra. Come a dire che quella devastazione è stata responsabilità sua, le tragedie successive saranno responsabilità nostre (5).
TORNARE A “FARE EUCARISTIA”
Nel capitolo 17 di Luca, si trova il riferimento ai giorni di Noè (cfr. Lc 17,20-37), per mettere in guardia l’umanità a riconoscere i giorni del Figlio dell’uomo (che non sono semplicemente un richiamo alla fine del mondo, ma un invito a trovare oggi, sempre, nella storia, la presenza di Gesù, altrimenti la morte arriverà senza aver incontrato la Luce della grazia…). Questo discorso, pronunciato dal Signore dopo la domanda dei farisei, sul “quando” verrà il regno di Dio, segue uno dei miracoli più particolari di Gesù: la guarigione di dieci lebbrosi (cfr. Lc 17,11-19).
Nel concludere questa mia riflessione sul racconto del diluvio, come una possibile chiave per leggere quanto sta accadendo oggi, “faccio un salto” passando a questo brano di vangelo, a quei dieci malati chiamati a stare a distanza – per evitare contagi fisici e cultuali – che gridano al Signore, chiamandolo per nome: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!” (6).
Tutti e dieci sono invitati a mettersi in cammino e tutti saranno purificati. Ma uno solo, vedendosi guarito, tornerà a rendere grazie, trovandosi poi non solo purificato, ma salvato. La fede di quell’uomo lo salva, perché è stato capace di ringraziare. La gratitudine non serve a Dio, non accresce la sua grandezza, ma serve a noi, ci ottiene la grazia che ci salva, perché riconosciamo, come il giusto Noè che costruisce un altare e offre un sacrificio, di essere creature, bisognose del Creatore e del Salvatore, non di un semplice “guaritore”.
Se crediamo di bastare a noi stessi, capiterà come a quegli uomini che mangiano, bevono, si sposano, senza un fine della vita… e si ritrovano nella morte.
Quel lebbroso guarito no… sente che deve “fare eucaristia” e che la sua vita diventi lode al Signore. Non può più essere a distanza, neanche di un metro, deve avvicinarsi e prostrarsi ai piedi di Gesù. E quest’uomo è un Samaritano, ossia qualcuno che, per vari motivi, veniva tenuto comunque lontano, anche se non fosse stato malato, immagine di una schiera di esclusi e di scartati di oggi.
Proprio qualcuno che non ci aspetteremmo mai, un Samaritano di ieri e di oggi, tornerà a rendere grazie; come sarà un Samaritano ad avere compassione dell’uomo lasciato mezzo morto lungo la strada (cfr. Lc 10,29-37) che ci ricorderà che dall’Eucaristia occorre partire per andare a servire i piccoli e i poveri, gli ammalati e gli esclusi.
Ci ricorderà che la comunità è chiamata a stare vicina sempre agli ammalati, nel corpo e nello spirito – come ci insegna la testimonianza di tanti cappellani di ospedale – e a prendersi cura di loro, per la loro salute e per la loro salvezza.
Ci ricorderà che siamo chiamati a stare vicino con tenerezza alle famiglie nel lutto, per dare il conforto della fede e annunciare la vittoria di Cristo sulla morte, con la certezza che ci ritroveremo tutti nella Vita senza fine.
UNO SU DIECI…
Forse, finita questa quarantena del mondo – in cui molti “lontani” si sono ritrovati credenti e molti “credenti” si sono ritrovati lontani – sarà uno su dieci che tornerà a “fare eucaristia”. Ma sarà un Samaritano, più convinto, più assetato, più desideroso non solo di “fare la comunione”, ma di “costruire comunione”. Egli, toccato dall’amore di Gesù e della Chiesa, ci aiuterà a metterci in cerca degli altri nove guariti perché scoprano, facendo eucaristia, che ha molto più valore essere salvati.
E starà a noi, sacerdoti e membri della comunità cristiana, offrirgli il Signore, la sua Parola, la sua Grazia.
Il segno del “sacrificio” di tanti sacerdoti italiani morti per coronavirus, testimoniando fino in fondo la grazia del ministero, anche con atti d’amore enormi, ci è di testimonianza grande in questo momento. Allo stesso modo siamo chiamati a presentare una comunità più viva e vivace, stretta intorno a Cristo, capace di farsi “squilibrare” dallo Spirito Santo e di scendere dall’arca, per abitare con il cuore la città. La beatitudine della povertà di spirito potrà essere la via migliore per affrontare un tempo di crisi che durerà a lungo, che sta mettendo in difficoltà tante persone, a livello economico, psicologico e relazionale. La comunità umana, resa più povera, potrà essere sostenuta dalla comunità cristiana che accoglie la povertà di spirito come via di salvezza.
E allora sarà l’occasione per ringraziare Dio Padre per quel “piccolo diluvio” che è stato il nostro battesimo, quando l’acqua sulla nostra testa (o in cui siamo stati immersi) e l’olio profumato sul nostro capo, ci hanno resi figli amati e
…come figli fiduciosi ci rivolgiamo al Padre. Lo facciamo tutti i giorni, più volte al giorno; ma in questo momento vogliamo implorare misericordia per l’umanità duramente provata dalla pandemia di coronavirus… (a questa pandemia) vogliamo rispondere con la universalità della preghiera, della compassione, della tenerezza (Papa Francesco).
Vogliamo rispondere dicendo ancora che siamo gioiosi di essere suoi figli, cristiani – unti e uniti a Cristo e ai fratelli – a tal punto da desiderare di essere contagiosi perché il desiderato e ritrovato abbraccio, sia quello del Padre misericordioso per il mondo intero.
Maria, stella del mattino, preghi per noi,
ora e nell’ora della nostra morte.
+ Paolo Ricciardi
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NOTE
(5) In un discorso alla curia romana, papa Benedetto XVI racconta commosso del suo pellegrinaggio ad Auschwitz dicendo: Nei miei spostamenti in Polonia non poteva mancare la visita ad Auschwitz-Birkenau nel luogo della barbarie più crudele – del tentativo di cancellare il popolo di Israele, di vanificare così anche l’elezione da parte di Dio, di bandire Dio stesso dalla storia. Fu per me motivo di grande conforto veder comparire nel cielo in quel momento l’arcobaleno, mentre io davanti all’orrore di quel luogo, nell’atteggiamento di Giobbe gridavo verso Dio, scosso dallo spavento della sua apparente assenza e, al contempo, sorretto dalla certezza che Egli anche nel suo silenzio non cessa di essere e di rimanere con noi. L’arcobaleno era come una risposta. Sì, io ci sono, e le parole della promessa, dell’Alleanza, che ho pronunciato dopo il diluvio, sono valide anche oggi [cf Gn 9, 12-17] (Benedetto XVI, 22 dicembre 2006).
(6) Solamente in altre due occasioni il Signore verrà invocato con il suo nome, nel vangelo di Luca: dal cieco di Gerico (cfr. Lc 18,38) e dal malfattore crocifisso accanto a lui sulla croce (Lc 23,42)