17 maggio 2020
Omelia di S.E. mons. Paolo Ricciardi
Non vi lascerò orfani: una parola colma di tenerezza, in questa domenica di Pasqua, ci conquista facilmente il cuore.
Essere orfani è un’esperienza che, in forme diverse, conosciamo tutti. Pensiamo a quanti, a causa della pandemia, sono rimasti tali. Ma l’orfano non è solo chi tra noi ha perso un genitore, un dolore che è un taglio netto con le nostre radici, con la nostra storia… Ti senti orfano se hai perso un amico, un sacerdote, un maestro, un personaggio a cui eri legato, o se hai visto fallire un ideale, insomma qualcosa o qualcuno che rappresenta una ragione di vita.
Questo periodo è stato un tempo di “orfanezza” per tutti, in cui in molti abbiamo creduto a momenti di essere rimasti anche senza Dio. Sì, a volte, questa è la nostra impressione: Dio ci lascia.
Come i discepoli alla vigilia della passione, avvertiamo la paura di una separazione. E quando il senso dell’abbandono diventa forte, è facile scegliere la via della fuga: dalle amicizie, dalla vita con gli altri, perfino da se stessi.
Per questo la promessa di Gesù, trova in noi, oggi, un’attenzione particolare, che ci fa uscire da una condizione di assenza e di vuoto. Gesù non ci lascia, ma ci promette il dono dello Spirito, il “Paraclito”, che vuol dire il “consolatore”, il “protettore”; il termine greco significa anche “avvocato che non abbandona il suo cliente”.
Il Paraclito per eccellenza, il nostro avvocato presso il Padre è Gesù. La missione dello Spirito si affianca quindi a quella di Gesù, morto per i nostri peccati per ricondurci a Dio.
Ci piace pensare che il Suo compito sia soprattutto quello di intercedere per noi a partire dalla nostra condizione. Lo Spirito conosce le sofferenze delle famiglie in questo momento, dei malati, dei poveri. Egli vede se soffri operando il bene, se sei solo, se sei gravemente malato o se hai perduto qualsiasi ragione vitale e non trovi nulla che valga a riempire il vuoto.
Vede il piccolo particolare: la mano che tendi, la parola che dici, il sorriso con cui accogli.
Lo Spirito ti sostiene e, davanti al Padre, un giorno sarà lui ad alleggerire le tue responsabilità dicendo: “Ha sbagliato, nella sua vita, ma ha anche tanto sofferto”. È e sarà il tuo difensore, perché ti farà stare accanto Cristo.
Agli apostoli, smarriti per la perdita fisica di Gesù, lo Spirito ha dato consolazione con parole di conforto, ma cancellando la separazione stessa, assicurando, con la sua presenza, quella di Cristo e del Padre.
A noi che non avvertiamo la presenza fisica di Gesù, dice che Egli c’è. Unendo la sua umanità in Dio (nel mistero dell’ascensione) Cristo ha inserito la mia umanità in Dio, facendomi immergere nell’onda d’amore tra lui e il Padre. E se in questo tempo ci manca tanto un abbraccio, l’abbraccio di fuoco di Dio, che è lo Spirito, non mi ha lasciato mai solo, perché grazie allo Spirito, sono figlio in Gesù, il Figlio. Gesù non va cercato lontano, rimpianto come una presenza perduta, ma vissuto e annunciato nella gioia.
Pensiamo al diacono Filippo. Abitato dallo Spirito è abilitato a parlare di Cristo. La sua parola fa corpo con la vita, perché chi è innamorato di Cristo, è fecondo. Chi ama vive. E amando, rende possibile all’umanità di conoscere la vera gioia, perché là dove arriva il Vangelo, fiorisce la vita; come un terreno arido che, irrigato dalla pioggia, subito rinverdisce.
Un cristianesimo senza gioia non appassiona nessuno, ancor meno i giovani che si innamorano di Cristo solo se avvertono una testimonianza vivace e gioiosa; e si inseriscono in comunità dove non si sentono orfani, ma dove avvertono l’aria di una famiglia, dove ci sono sacerdoti che, come padri, generano vita; e dove trovano una chiesa-madre, che dà fecondità.
Siate “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. E poiché la speranza del cristiano è Cristo, raccontiamo quanto per noi ha fatto, gridando il Vangelo con la vita, con dolcezza e rispetto.
Uscire dall’isolamento di questi giorni sia un’immagine forte di una Chiesa che rende visibile l’Invisibile; Chiesa in uscita veramente, che non si perde in parole disincarnate, perché il mondo è assetato della Parola incarnata, carica di tutto il dolore e di tutta la speranza di quest’ora.
Maria, che sa cosa significa essere ricolmati di Spirito Santo, ci aiuti.
Da domani, finalmente, potremo, con le dovute precauzioni, tornare nelle nostre chiese per le celebrazioni, di cui abbiamo tutti desiderio e nostalgia.
Con l’intercessione di Giovanni Paolo II, spalanchiamo con gioia le nostre porte a Cristo e all’uomo, per non chiuderle mai, non solo per far entrare, ma anche perché possiamo uscire a portare il Vangelo a tutti.
Affinché il mondo non sia mai orfano di Dio.