VIA CRUCIS DEI GIOVANI DELLA XVI PREFETTURA DELLA DIOCESI DI ROMA Meditazioni Parrocchia di N.S. di Czestochowa – Roma

 

VIA CRUCIS DEI GIOVANI DELLA XVI PREFETTURA DELLA DIOCESI DI ROMA

Meditazioni

Parrocchia di N.S. di Czestochowa – Roma

Giovedì 22 febbraio 2018

 

PRIMA STAZIONE

Gesù è condannato a morte da Pilato

 

Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò perché fosse crocifisso. (Giovanni 19,13-16)

 

Dove sei, giovane, in questa sera della tua vita? “Dove sei?” è la domanda che più ricorre quando telefoniamo a qualcuno. Con il nostro smartphone o il nostro iphone sempre appresso, sempre connessi, non ci si domanda più “Come stai?” ma “Dove sei?” Dove sei? Stasera fisicamente sei qui, in questo ritrovo quaresimale, intorno o dietro ad una croce. Ma, in realtà, dove sei? Giovane di queste zone, dell’Alessandrino o di Torre Spaccata, ragazzo della Rustica o di Tor Sapienza o di Torre Maura. Dove sta la tua vita di oggi? Io credo che sei lì dove ti senti carico di speranze, di attese, di sogni, propri della tua giovinezza. Sei lì in cerca di Vita, quella vera, quella che ti riempie il cuore, anche se sperimenti a volte una condanna, uno scoraggiamento, un vuoto. Il tuo telefono si riempie di messaggi, di foto, di video, di faccine, di contatti… Non so a che ora del mattino ti è arrivato il primo whatsapp e quando l’ultimo nella notte. Eppure… ne attendi ancora uno, non ti accontenti mai, perché fa parte della nostra vita desiderare il “di più”. Hai uno struggente bisogno di sentirti amato, cercato, voluto. Oggi ti chiedo di fermarti, di fidarti. Di affidarti. E di fissare lo sguardo su Colui che è condannato ingiustamente, come tanti condannati di ieri e di oggi. E che sembra incapace di difendersi. Sconnesso dal mondo. Senza più un messaggio di sostegno, di bene. Uno sconfitto.

Ti invito a fissare il suo sguardo e vedere che, nel silenzio di questo momento, Lui così ti ama. Condannato alla morte ci dice che per amore si può dare la vita. Lo ha fatto per te, perché ti ama da morire. Perché se ti senti un fallito, uno “sfigato”, un perdente, Lui è qui proprio per te, perché questo non è venuto per i giusti, per i perfetti, per i santi, ma per i peccatori, per te.

 

SECONDA STAZIONE

Gesù è caricato della croce

 

Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. (Marco 15,16-20)

 

Ci sono croci troppo pesanti da portare. La mia famiglia divisa, mamma e papà che litigano sempre, a volte per causa mia. Le aspettative degli altri, la scuola, lo studio, il lavoro, il futuro. Con tanti pesi nel cuore a volte preferisco estraniarmi, mettermi sotto una cuffia, perdermi nel suono della musica che mi estrania dal mondo, o che parla del mio mondo toccando le corde più fragili della mia esistenza.

Anche gli amici oggi ci stanno e domani sembrano fregarsene di me. La croce, pesante, a volte è la mia stessa vita che si trascina.

Oggi ho incontrato un ragazzo straniero, venuto chissà da che parte dell’Africa, forse un po’ più grande di me. L’ho visto all’incrocio della strada, mentre, con un grande sorriso, abbracciava un bambino, forse il suo fratellino. Nella semplicità di quel gesto ho avuto invidia di quella apparente miseria. Mi hanno raccontato che tanti ragazzi fanno viaggi cosiddetti della speranza per venire qui da noi, per poi ritrovarsi anche qui un ambiente chiuso, egoista, incapace di accogliere.

Gesù che prende la croce è segno di tanti che prendono schiaffi, insulti, chiusure, perché non sono dei nostri. Quante volte nei nostri quartieri sperimentiamo razzismi, bullismi, chiusure, indifferenza bestiale.

Gesù che prende la croce lo vedo ogni giorno, ed io neanche me ne accorgo.

Penso alle partite della prossima giornata, forse mi perdo in qualche scommessa, penso alla festa cui sono invitata o al calcetto che mi aspetta domani.

Ma forse stasera, in questo cammino, posso aprire di nuovo il mio sguardo, tendere la mano al fratello, ridare il sorriso che ci meritiamo. Perché il mondo ha bisogno di noi giovani, per tornare ad essere umano.

 

TERZA STAZIONE

Gesù cade sotto il peso della Croce

 

Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Isaia 53,4-5).

 

Gesù cade, schiacciato dalle nostre cadute. Si accascia, è isolato, è perduto,

in mezzo a due fiumi di gente che grida. Che corre… senza vedere una meta,

che vuole la morte di Dio. Gesù che agonizza lo vedo tra altre cadute: quell’anziano, forse rimasto solo, quel giovane incapace di serenità, quel bambino rimasto senza madre.

Cadono gli uomini, per colpa della vita, per colpa degli altri, per colpa di se stessi. Ho visto troppi giovani caduti nell’uso eccessivo dell’alcool, da rovinarsi il fegato; o persi nell’inganno delle scommesse, o dipendenti da tante nuove droghe di oggi. Si cade perché si è insoddisfatti, o si vuole qualcosa di diverso, uno sballo, un’ebbrezza di vita che porta alla morte. Quante volte sono caduto io interiormente e mi ha fatto molto più male anche della brutta caduta dal motorino che ho fatto in una di queste strade.

Si cade perché si è fondamentalmente da soli. Le persone sembrano come un insieme di isole senza traghetti né ponti. Per comunicare abbiamo di tutto: telefoni, video, perfino orologi da polso… Eppure non c’è relazione, nessuno è capace di dire se stesso ad un altro. È questa è la caduta più grave tra tutte: non esser disposti a guardarsi negli occhi, a dirsi davvero: “Io ti voglio bene!”. Gesù cade, schiacciato dal legno, e si alza. E insegna ad alzarci, a credere che non c’è mai nulla di finito, di perduto, di disperso. E se anche avessi preso una strada che credevo giusta e si rivela sbagliata, io posso trovare qualcuno che mi riporta a casa.

Se sono tra questi che sono caduti, anche solo un momento, non voglio disperare. Dio mi sostiene. In questi incroci di strade dei nostri quartieri Lui viene. Nelle nostre comunità parrocchiali, nei miei sacerdoti, nei miei animatori, Lui mi tende la mano, mi invita a rialzarmi di nuovo. E a ritrovare speranza

 

QUARTA STAZIONE

Gesù incontra Sua Madre

 

Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione anche e te una spada trafiggerà l’anima – affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». (Luca 2,34-35)

 

Di giorno le strade dei nostri quartieri si affollano di macchine, motorini, persone. I mezzi di trasporto, i bus, i trenini, i tram, ci schiacciano addosso uomini e donne che non conosciamo.

Possiamo pensare che tutti, almeno una volta al giorno, pensino alla propria mamma. Di tutti sappiamo che hanno una madre, una mamma. Anche per noi, in mezzo alla folla dei nostri contatti, quando dallo schermo appare il nome “mamma” che sta chiamando, ci sono reazioni diverse. “Mi attende, vuole saper dove sono, o come è andato l’esame o perché non sono passato dai nonni o quando rientro stasera”. Pesante a volte, mia madre. Si “accolla” troppo… Eppure è mia madre. Mi ha generato. Se sono qui è perché mi ha dato la vita… e soffre, nel vedermi soffrire. E gioisce quando mi vede felice. Come Maria che incrocia lo sguardo del figlio e vuole soffrire al suo posto.

Ma se anche una madre abbandonasse il suo bambino – e forse qualcuno di noi lo ha sperimentato – io non ti abbandonerò mai, dice il Signore.

Le nostre comunità, riunite stasera, sono per noi giovani, come una madre. Nelle nostre parrocchie possiamo trovarci, possiamo incontrarci, troviamo qualcuno che si mette in ascolto. Le nostre parrocchie sono come una madre, che a volte ci sembra pesare, ma che sempre ci accolgono perché possiamo star bene.

Aiutaci, Signore, guardando tua madre, a vedere queste comunità che ci vengono incontro e che incrociano le nostre strade, anche impolverate dalla nostra confusione. E fa’ che possiamo anche noi, nei confronti degli altri, essere madri accoglienti che danno rifugio e conforto, in ogni momento.

 

QUINTA STAZIONE

Gesù è aiutato da Simone di Cirene

 

Costrinsero a portare la sua croce una tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio». (Marco 15,21-22)

 

Un padre, che tornava dal suo lavoro nei campi, viene costretto a portare la croce. Poteva essere mio padre, che ogni giorno lavora facendo chilometri di macchina per portare qualcosa a casa. Mio padre che amo, che rispetto, mio padre che a volte mi fa un po’ arrabbiare. Mio padre che si è allontanato, che è assente, che vedo in qualche fine settimana. Mio padre che cerca lavoro, mio padre che sembra più ragazzino di me, e a volte mi fa vergognare.

In questo momento voglio pregare per tutti i padri, vicini o lontani. Per un momento non voglio esprimere giudizi, prendere la loro parte o accusarli.

Un padre, torna dai campi. Mio padre porta la croce. Costretto, o forse spontaneamente, è lì, a viver la vita. Mio padre che è stato ragazzo come me, che forse vuole il mio ascolto, il mio affetto, soprattutto in questo tempo in cui io voglio liberarmi dal peso dei miei genitori.

Voglio pregare per lui, per le croci che porta, per i suoi atti d’amore, anche nascosti. Voglio pregare perché io, un giorno, possa essere padre – o madre – capace di portare le croci degli altri, con generoso servizio.

Posso iniziare da ora, in questo momento, da questa serata serena. Guardarmi intorno e vedere che qualcuno ha bisogno di aiuto, di ascolto, di amore.

Sono giovane, ma posso essere anch’io Cireneo, posso portare la croce di un altro. E scoprire di essere ricco di tante risorse, come un padre che genera vita, pur con le sue debolezze. Che bella sarebbe la vita se ogni giorno potessi concluderlo dicendo: oggi ho fatto del bene ad un povero, ad un anziano, ad un malato.

Ho guardato intorno e ho visto qualcuno che ha avuto bisogno di aiuto, di ascolto, di amore.

 

SESTA STAZIONE

Gesù incontra la Veronica

 

È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. (Isaia 53,2-3)

 

Quante immagini riempiono il mio smartphone! A volte mi metto a guardarle, alcune le cestino, altre le invio ai contatti che tengo. Immagini che sono ricordi, giornate indimenticabili o momenti banali, selfie di amici che non sanno che fare.

Una donna si muove tra la folla, sfida i soldati, va verso il Signore. Ha un coraggio da far paura, non teme le spinte, gli insulti, ma ferma si muove. E con un telo bagnato asciuga il Suo volto, quello di Cristo. Un gesto d’amore, un atto gratuito di bene.

Ed ecco, su quel velo polveroso, un’immagine si imprime. Lo sguardo di Cristo, un uomo che soffre, un volto segnato dal dolore, che mai metteremmo nelle nostre cartelle virtuali, o incorniciato nelle nostre camere a casa.

Eppure è il volto di Dio, che tocca il volto dell’uomo, il mio volto. Quando io sento di essere abbandonato, Lui mi raggiunge, mi ama, mi chiama.

Proviamo adesso, a girare lo sguardo. A vedere negli occhi un amico, un amica, che adesso mi è accanto. Oppure guardare ragazzi di altre parrocchie che conosco stasera. E vedere che in quegli occhi, in quegli sguardi, si nascondono storie uguali e diverse dalla mia. Ma che in tutti c’è Cristo.

Gesù non ha avuto bisogno di selfie, di specchi, di foto. Lui ha bisogno di noi, di te, di me, in questo momento, per essere riflesso nel mondo del suo volto d’amore.

Grazie, Signore, perché hai bisogno di me, per sorridere al mondo, anche attraverso il dolore.

 

SETTIMA STAZIONE

Gesù è spogliato delle sue vesti

 

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta dun pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così. (Giovanni 19,23-24)

 

Gesù è spogliato. Umiliato fino a quel punto, spettacolo infame in pasto alla derisione di tutti.

La nudità, che incuriosisce ed eccita, soprattutto nel tempo della giovinezza, illudendo di essere prova di amore, è spesso segno di svilimento della persona, di banale volgarità. Non ci si può spogliare così, davanti a tutti. Non puoi dare il tuo corpo per essere posseduto facilmente. Eppure se non fai così sei fuori, non sei al passo…

Gesù è spogliato e mostra, con quel corpo ferito, colpito, stremato, che solo così si ama sul serio. Non mostrando la propria nudità per attirare il piacere, ma spogliandosi di se stesso per essere dono per l’altro. Se si è disposti a morire per l’altro. Se siamo capaci di dare l’anima insieme al corpo. Se siamo fedeli fino al punto di essere incompresi o addirittura traditi.

Gesù è spogliato della sua grandezza, si mostra vulnerabile, si dona, mostrando un amore sconosciuto ai nostri occhi, un amore disposto a donarsi senza chiedere nulla in cambio.

Non ci sentiamo ancora capaci di tale amore, di tale dono. Ma possiamo, da questa sera, sentirci più pronti a donarci, a spogliarci di ciò che ci pesa, per regalare vita.

 

OTTAVA STAZIONE

Gesù muore in Croce

 

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. (Marco 15,33-39)

 

Per chi muori, Gesù, per chi doni la vita?

Tu doni la vita per i giovani che offrono la vita agli altri, nel servizio incondizionato a Te, per quanti ti hanno offerto la vita nel sacerdozio e nella consacrazione; per chi sogna la famiglia per santificare il matrimonio nella donazione reciproca e verso i figli; per i giovani che soffrono nel corpo e nello spirito, offrendo tutto a Te; per coloro che muoiono uniti a Te; per coloro che sanno trasformare in lode di Dio il lavoro di tutti i giorni.

Per chi muori, Gesù, per chi doni la vita?

Tu doni la vita per coloro che bestemmiano il tuo nome, per coloro che bullizzano gli altri, per coloro che uccidono, rapinano, violentano; per chi ruba, e finge di essere onesto; per chi abusa del potere; per chi crede che la mafia sia la salvezza; per chi si dice cristiano per i propri interessi o per farsi vedere; per chi con la ricchezza è insulto al povero; per chi vive per soddisfare i desideri sfrenati; per chi si crede migliore degli altri; per chi disprezza gli altri; per chi fa violenza sui piccoli; per chi tradisce e umilia gli innocenti; per chi si approfitta dei poveri e dei disperati; per chi falsa la verità; per chi sparla e chiacchiera solo per ferire gli altri; per chi tradisce la fedeltà dell’amore; per chi sopprime una vita; per chi disprezza e abbandona i genitori; per chi spaccia e per chi si droga; per chi fa prostituire i corpi; per chi rifiuta o per chi sfrutta l’immigrato; per chi è asservito al potere; per chi tortura e opprime; per chi è senza speranza e impreca; per chi muore senza speranza; per chi si uccide.

Per chi muori, Signore, per chi doni la vita?

Per tutti coloro che io disprezzo; per coloro che mi hanno offeso e fatto soffrire. Per tutti coloro che io ho offeso e fatto soffrire.

Per chi muori, Signore, per chi doni la vita?

Tu doni la vita per me.