11 Maggio 2025

Dacia Maraini alla Galleria dei Miracoli

Dacia Maraini

“Vita Mia. Giappone, 1943. Memorie di una bambina in un campo di prigionia” è l’ultimo libro di Dacia Maraini, in cui la scrittrice racconta la drammatica esperienza che ha segnato la sua infanzia. Il libro verrà presentato nella Galleria dei Miracoli (via del Corso 528), mercoledì 9 ottobre alle ore 18, in un incontro promosso dall’Ufficio Cultura del Vicariato di Roma in collaborazione con la chiesa di Santa Maria dei Miracoli.

I fatti narrati sono ispirati alla vita dell’autrice. Nel 1943, infatti, Dacia Maraini ha sette anni e vive in Giappone con i genitori e le sorelline Toni e Yuki. Suo padre, Fosco, insegna all’università di Kyoto, sua madre, Topazia Alliata, è felicemente integrata nel tessuto della città. II sogno è la pace, si pensa che la guerra finirà presto. Tutto precipita, invece, quando Fosco e Topazia decidono di non giurare fedeltà al governo nazifascista della Repubblica di Salò. La coppia e le figlie vengono portate in un campo di concentramento destinato ai traditori della patria. Per la famiglia Maraini iniziano gli anni più difficili della loro esistenza.

Interverranno padre Ercole Ceriani, rettore di Santa Maria dei Miracoli, che aprirà l’incontro con i saluti ufficiali. Seguirà la riflessione del teologo monsignor Giuseppe Lorizio, direttore dell’Ufficio diocesano. Modererà l’incontro lo scrittore e critico d’arte Daniele Radini Tedeschi. Sarà presente l’autrice e seguirà il dibattito con il pubblico.

7 ottobre 2024

La lettera al Popolo di Dio del Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma

Foto Diocesi di Roma / Gennari

Al Popolo di Dio che è in Roma
Pace e bene! Nell’Ufficio delle letture della Domenica appena trascorsa ci è stato proposto un brano di san Paolo a Timoteo; nel cuore del testo l’apostolo così si esprime: “Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia…” (1 Tm 1, 12-13).

Colgo come provvidenziale questa Parola; sono consapevole che aldilà dei limiti e dei peccati di ciascuno, la grazia ci inonda con ogni dono che Dio elargisce alle nostre vite e così ha voluto fare anche con la mia vita e, per il mio piccolo tramite, alla Sua santa Chiesa. Così mi sento in questo momento, consapevole di aver ricevuto misericordia. Con emozioni contrastanti metto ancora una volta la mia vita nelle mani del Padre e faccio mie le parole del Salmo: “Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia” (131,2).

Arrivando a Roma, poco più di due anni fa, da subito ho iniziato ad amare questa Chiesa che conoscevo ancora troppo poco ma dalla quale mi sono sentito accolto oltre ogni aspettativa. Ho provato a servirla come ho potuto, sentendomi rapito da tanta bellezza e dalle tante potenzialità di bene che sperimentavo, insieme alle fatiche che accompagnano tutti noi esseri umani.

Sono grato al Santo Padre per la fiducia che mi ha dato nominandomi prima Suo Vescovo Ausiliare, poi Vicegerente e adesso Suo Vicario Generale per la Diocesi di Roma. La Sua dedizione alla Chiesa universale e la profezia che ci ha regalato in questi anni di Pontificato mi spingono a lavorare per una Chiesa trasparente e povera, in grado di sprigionare e diffondere il profumo del Vangelo.

Accolgo con trepidazione l’ulteriore responsabilità che mi affida oggi per servire la Sua Diocesi, nella serena certezza che il Signore opererà al di là dei miei limiti. Raccolgo una storia significativa dei Cardinali Vicari che si sono succeduti nel tempo e hanno portato avanti il loro servizio con dedizione, ciascuno con la propria peculiarità. In particolare ringrazio il Card. De Donatis che con gentilezza e attenzione mi ha accolto a suo tempo nel Consiglio Episcopale.

L’unico desiderio che ora sento nel cuore è quello di servire questa Chiesa, consapevole della sua bellezza e della specifica vocazione che le appartiene. Come fratello e padre vorrei condividere i passi di ognuno e di tutto il popolo di Dio che vive a Roma. Il Signore chiamandomi al ministero mi chiede di essere pastore alla Sua maniera, nel quotidiano impegno a dare la vita per tutti.

Ringrazio i tantissimi sacerdoti e diaconi della Diocesi per il servizio generoso e umile che svolgono, per la loro costante presenza e per l’amore che mostrano alla nostra Diocesi. Con molti di loro ho condiviso un breve tratto di strada; adesso avverto ancor di più la necessità e la gioia di mettermi accanto a tutti in un atteggiamento di ascolto, facendo tesoro dell’esperienza maturata da ciascuno negli anni, per capire insieme come comunicare a tutti e far sperimentare l’amore del Padre. Abbiamo la responsabilità di essere segno visibile del Regno per gli ultimi, per i giovani, per le famiglie, per coloro che ancora frequentano le nostre parrocchie e per i tanti che non vivono più la fede accolta con il Battesimo.

Ci attende una missione importante, in un tempo complesso, che va affrontata costruendo ogni giorno legami di fraternità e di comunione. Abbiamo la grazia di servire una Diocesi straordinaria che è stata irrorata dal sangue dei Martiri e fecondata dalla testimonianza gioiosa di moltissimi santi. Il Signore ci aiuti a mettere a frutto i tanti carismi ricevuti per l’utilità comune.

Santa Teresa del Bambin Gesù nella sua autobiografia mentre riflette sulla ricerca della sua vocazione nella Chiesa, commentando l’inno alla carità di San Paolo così si esprime: “La carità mi offrì il cardine della mia vocazione”. È esattamente questo ciò che desidero: che la carità sia il cardine della mia vocazione e della mia risposta. Abbiate pazienza quando i miei limiti emergeranno, ma siate esigenti nel chiedermi carità e benevolenza. Mi affido alla vostra preghiera perché io compia fedelmente la volontà di Dio. La Vergine Santissima, Salus Populi Romani, interceda per noi e ci accompagni in questo cammino.

X Baldassare Reina
Vicario Generale di Sua Santità
per la Diocesi di Roma

 

7 ottobre 2024

La lettera del vescovo Gervasi per i malati cronici

In occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Reumatologiche, che ricorre il 12 ottobre, il vescovo monsignor Dario Gervasi ha scritto, con l’Ufficio per la pastorale degli anziani e dei malati, una lettera indirizzata a coloro che sono affetti da una patologia cronica, intitolata “A te che porti nel tuo corpo la malattia”.

Carissima/o,
desidero scriverti nella speranza di farti arrivare, attraverso queste poche parole, l’affetto e la vicinanza di cui sono certo hai bisogno, soprattutto nei momenti di buio e di sconforto, che la malattia, che segna il tuo corpo, provoca.

Io non posso capire cosa si prova a vivere quello che vivi tu. La malattia che non guarisce e scandisce i ritmi del tuo tempo, la puoi spiegare solo tu. Tu che ti trovi spesso nella solitudine, e che non trovi risposte che possono dare un senso alla tua vita. Io posso solo accostarmi a te in punta di piedi e con profondo rispetto, condividendo i tuoi silenzi, i tuoi sfoghi e magari la tua rabbia insofferente. Certo, posso farlo solo se tu lo desideri. Vorrei essere per te speranza, sostegno, coraggio e forza. Ma tutte queste cose, poi, scopro che le doni tu agli altri. Sei tu che con la tua debolezza, doni forza e sei tu che con il tuo esempio perseverante infondi fiducia a chi ti sta accanto.

Sei la “meraviglia di Dio”, capace di trasformare il dolore in Amore, e diventi tu stesso Amore incarnato. Sei prezioso, e non è vero che tu “non puoi”… la tua preghiera è potente ed arriva al Cuore di Gesù che attraverso di te opera cose incredibili. Io non ho la risposta al “perché proprio a te”. Non ce l’ho e non posso avere la presunzione di averla.

Ma so con certezza che sei strumento prezioso nelle Sue mani, e che Tu sei nel Suo Cuore, condividendo e associando il tuo patire alla Sua Passione. Voglio dirti grazie per il tuo esempio e desidero che tu sappia che oltre queste mie povere parole, Tu sei nelle mie preghiere.

Sei nella Eucarestia che celebro, sei con me davanti al SS.mo durante l’Adorazione. E lo sei maggiormente quando non preghi, quando hai i tuoi momenti di ribellione o di rifiuto, quando ti chiudi. Gesù conosce il tuo cuore e non volgerà mai il Suo sguardo lontano da te. Conosce bene la tua sofferenza, la fatica di ogni giorno e notte, conosce le tue paure. Sa bene cosa significa l’incomprensione degli altri, il giudizio ed il pregiudizio. Sa bene cosa significa essere lasciato solo. Conosce la notte del dolore e del buio. Anche Lui ha vacillato più volte nel Getsemani. Forse anche tu. Ma Lui, illumina continuamente il buio con la Luce della Speranza e dell’Amore. Ecco. Io desidero farti arrivare questo: grazie che ci sei. Grazie davvero. Prega per me, per noi, come io, e la comunità prega per te.
Ti abbraccio. Ti benedico.

Leggi la lettera

 

7 ottobre 2024

“Il presbitero, maestro della parola, ministro dei sacramenti e guida della comunità” – incontro di formazione per i presbiteri dal 1° al 6° anno di ordinazione, guidato da S.E. Mons. Di Tolve, Seminario Romano Maggiore (Uff. form. perm. clero)

“Il presbitero, maestro della parola, ministro dei sacramenti e guida della comunità” – incontro di formazione per i presbiteri dal 1° al 6° anno di ordinazione, guidato da S.E. Mons. Di
Tolve, Seminario Romano Maggiore, ore 10.00-13.00 (Uff. form. perm. clero)

Inizio corso base volontari (Uff. caritas)

Inizio corso base volontari (Uff. caritas)

Papa Francesco ha nominato mons. Reina Vicario generale per la Diocesi di Roma

Monsignor Baldassare Reina, “da oggi vicario generale della diocesi di Roma”, sarà creato cardinale da Papa Francesco il prossimo 8 dicembre. Lo ha annunciato il Santo Padre al termine della preghiera dell’Angelus di domenica 6 ottobre.

La diocesi di Roma esprime la propria gratitudine a Papa Francesco e si unisce in preghiera per accompagnare il nuovo vicario nel suo ministero. 

Monsignor Reina è nato il 26 novembre 1970 a San Giovanni Gemini, in provincia ed arcidiocesi di Agrigento. È entrato nel Seminario arcivescovile nel 1981. Nel 1995 ha conseguito il baccalaureato in Sacra Teologia e nel 1998 la Licenza in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.

È stato ordinato presbitero l’8 settembre 1995. Dal 1998 al 2001 è stato assistente diocesano di Azione Cattolica e vicerettore del Seminario arcivescovile di Agrigento. Dal 2001 al 2003 è stato parroco della Beata Maria Vergine dell’Itria di Favara. Dal 2003 al 2009 è stato prefetto degli studi dello Studio Teologico San Gregorio Agrigentino e dal 2009 al 2013 parroco di San Leone ad Agrigento. Dal 2013 al 2022 è stato Rettore del Seminario Maggiore di Agrigento.

Ha svolto inoltre i seguenti incarichi in diocesi: docente di Sacra Scrittura presso l’Istituto di Scienze Religiose; docente stabile presso lo Studio Teologico San Gregorio Agrigentino; direttore dell’Ufficio Cultura; canonico del Capitolo Cattedrale; membro del Consiglio presbiterale e del Collegio dei Consultori.

Il 27 maggio 2022, è stato nominato Vescovo titolare di Acque di Mauritania e ausiliare di Roma. Il 6 gennaio 2023, Il Santo Padre l’ha nominato Vicegerente della Diocesi di Roma.

 

6 ottobre 2024

 

Pellegrinaggio degli studenti universitari lungo l’Appia Antica (Uff. past. universitaria)

Pellegrinaggio degli studenti universitari lungo l’Appia Antica (Uff. past. universitaria)

Incontri del Vescovo S. E. Mons. Paolo Ricciardi con i cappellani e referenti delle comunità etniche (Uff. Migrantes)

Incontri del Vescovo S. E. Mons. Paolo Ricciardi con i cappellani e referenti delle comunità etniche (Uff. Migrantes)

Incontro di formazione dei responsabili laici dei centri filippini – Basilica di Santa Pudenziana (Uff. Migrantes)

Incontro di formazione dei responsabili laici dei centri filippini – Basilica di Santa Pudenziana ore 17.00 (Uff. Migrantes)

Il 90° di dedicazione di Sant’Ippolito Martire

La parrocchia di Sant’Ippolito Martire, nel cuore del quartiere piazza Bologna a Roma, si appresta a celebrare un traguardo significativo: il 90° anniversario della sua erezione. Per l’occasione, la comunità parrocchiale ha organizzato tre giorni di eventi speciali, aperti a tutti, dal 4 al 6 ottobre.

Venerdì 4 ottobre, in concomitanza con la memoria liturgica di san Francesco d’Assisi, alle ore 19, il cardinale Enrico Feroci presiederà una solenne celebrazione eucaristica. A seguire, un momento di fraterna condivisione e convivialità attende tutti i parrocchiani presso il Salone Tiberiade.

Sabato 5 ottobre, alle ore 19, la comunità si riunirà nuovamente per la Santa Messa, presieduta da padre Ferruccio Bortoluzzi, già viceparroco sin da quando la parrocchia era affidata ai frati cappuccini.

Domenica 6 ottobre, giornata conclusiva dei festeggiamenti, saranno celebrate due Messe solenni: alle ore 12 presiederà il cardinale Angelo De Donatis, penitenziere Maggiore; alle ore 19 monsignor Marco Frisina, celebre compositore di musica sacra, e animata dal Coro della Diocesi di Roma. Al termine della celebrazione, alle ore 20, il Coro si esibirà in un concerto che impreziosirà ulteriormente la giornata.

«L’anniversario della erezione – dichiara il parroco don Manlio Asta – rappresenta un momento di profonda gioia e di ringraziamento per la comunità di Sant’Ippolito Martire. Un’occasione per ricordare il cammino di fede percorso insieme e per guardare al futuro con speranza, nella luce del Vangelo».

3 ottobre 2024

San Martino I Papa, presentazione del libro “Il simbolismo eucaristico nell’Apocalisse”

Mercoledì 16 ottobre, nella Parrocchia di San Martino I Papa (Via Veio, 37), si terrà la presentazione del libro di don Antonio Pompili, parroco della stessa comunità, dal titolo: “Il simbolismo eucaristico nell’Apocalisse. Contesto liturgico e messaggio teologico”. Il libro, edito per i tipi di Cittadella Editrice, è frutto del lavoro di ricerca con cui don Antonio ha conseguito il dottorato in Teologia Biblica presso la Pontificia Università della Santa Croce, sotto la direzione di don Giuseppe De Virgilio, docente di Esegesi del Nuovo Testamento e Teologia Biblica presso la Facoltà teologica della stessa Università. Lo stesso De Virgilio ha curato la presentazione del libro.

La prefazione è stata composta dal vescovo Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia di Teologia, di cui don Antonio è collaboratore come coordinatore responsabile della PATH solidale. Monsignor Staglianò e don De Virgilio interverranno durante la presentazione del libro cui seguirà, nella chiesa parrocchiale, la Santa Messa di ringraziamento in occasione del genetliaco di don Antonio.

3 ottobre 2024

Il motu proprio “La vera bellezza”

Il Santo Padre ha promulgato in data primo ottobre il motu proprio “La vera bellezza” riguardante la ripartizione del territorio della diocesi di Roma.
Di seguito il testo integrale, che può essere anche scaricato nella sezione Archivio Documenti del nostro sito internet.

La vera bellezza è Cristo e in Lui la Chiesa contempla il suo unico centro. Il Bel Pastore è l’unico punto di convergenza dal quale ha origine e si irradia ogni meraviglia e ogni splendore. Ogni battezzato che attraversa la Città Eterna è chiamato a riscoprire e a sentirsi parte di questa bellezza e centralità, che porta il profumo dell’accoglienza e la veste splendida della carità. In questa prospettiva, desidero rafforzare la percezione unitaria e sinodale della Diocesi di Roma a partire dalla sua conformazione geografica, che possa meglio esplicitare il senso autentico della sua centralità e della sua bellezza.
Per molti secoli la città di Roma si è raccolta all’interno delle Mura aureliane e il ridotto numero di abitanti ha permesso che la Chiesa di Roma fosse concepita come un’unica dimensione organizzativa facilmente gestibile.
A partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, Roma ha vissuto un’espansione tale da renderla, per densità, una delle metropoli più grandi d’Italia. Ciò che per secoli ha rappresentato l’intera città di Roma man mano è diventato il solo “centro storico” circondato da tanti quartieri definiti “periferici”.
Tutto ciò, a partire dai primi anni ‘60 del secolo scorso, ha portato a una complessa organizzazione diocesana capace di fronteggiare le esigenze pastorali dettate dalla tanto rapida quanto grande espansione cittadina. Nasceva così l’odierna suddivisione della Diocesi in cinque Settori, al cui interno si trovano quelle che rappresentano le parti in cui concretamente e realmente è suddiviso il territorio della Diocesi, ossia le Parrocchie raggruppate in Prefetture.
Tale impostazione ha avuto sicuramente il pregio di assistere spiritualmente e pastoralmente i vari quartieri – specie le periferie – tramite l’edificazione di Parrocchie e luoghi di culto, con la possibilità di organizzare il clero e di garantire a presbiteri e popolo una presenza apostolica vicina nella figura del Vescovo ausiliare, capace di occuparsi dei problemi concreti del singolo Settore (cfr. Motu Proprio Romanae Urbis, 1966)
Anche la pastorale d’ambiente, caratterizzata sia dalle attività caritative sia dall’assistenza spirituale nelle strutture preposte (si pensi alle cappellanie ospedaliere) e nei diversi contesti che popolano la città ha saputo organizzare un’ottima rete nei Settori periferici. Con l’incremento della mobilità non è mancata la pastorale dei pellegrini e del turismo, trasformando sempre più il centro storico (divenuto Settore Centro) in un grande santuario a cielo aperto, dando origine a quelli che oggi sono conosciuti come itinerari della Roma cristiana per pellegrini e per turisti.

Tuttavia, l’effetto collaterale che a lungo andare ha toccato la Diocesi nel tentativo di adeguarsi all’espansione dell’agglomerato urbano è stato quello di vedere una sempre maggiore differenza e separazione tra il centro di Roma e le periferie. Molte zone periferiche e di conseguenza molte Parrocchie, pur essendo configurate all’interno del Comune e della Diocesi di Roma, non sono state curate con l’attenzione alla bellezza e all’identità che caratterizza Roma; viceversa, il centro storico, che costituisce una buona parte del “Settore Centro”, si è sempre più “isolato”, rischiando di diventare un luogo a sé stante e nascosto, che vive dimensioni pastorali legate alla carità verso i molti poveri che abitano il centro di Roma e ad antichissime devozioni, tutte testimonianze che necessitano di essere aperte alla città intera, affinché questa non diventi un museo da visitare, bensì un luogo che possa manifestare e diffondere tutta la santità di Roma.
Un altro effetto collaterale è l’intreccio che si è andato a costituire tra Diocesi e Comune di Roma, in riferimento alle periferie e al Centro storico. Spesso le periferie denunciano l’assenza di adeguati servizi e trovano nelle Parrocchie, ben radicate sul territorio, un valido supporto sociale e culturale, oltre che spirituale e pastorale. Al contrario, se per il Comune di Roma è chiara l’identità e la finalità del centro storico, meta di turismo e di pellegrini per cui si è sempre pronti a investire, la Diocesi ha avuto delle difficoltà a impostare una pastorale efficace, capace di cogliere le esigenze spirituali di una popolazione caratterizzata prevalentemente, ma non solo, da pendolari, commercianti e turisti.
Lo svuotamento residenziale del centro storico ha modificato la pastorale ordinaria del Settore, che ha visto una lenta ma inesorabile riduzione del numero di Parrocchie, oggi solo trentacinque in un territorio molto vasto e ciascuna con un afflusso di parrocchiani molto inferiore rispetto alle Parrocchie degli altri Settori. La mancanza di una pastorale alternativa ha determinato nel tempo la ridotta accessibilità di molte chiese o luoghi di culto, ricchi di storia, di arte e di fede. Esiste dunque un patrimonio dall’alta potenzialità da tempo in giacenza che chiede di essere ripensato e messo a servizio del popolo di Dio.

L’insieme di queste criticità ha portato la Diocesi ad attribuire al Settore Centro un’importante valenza “logistica”, legata anche alle molte Istituzioni che vi hanno la propria sede, non riuscendo ancora a sviluppare, tuttavia, quella dimensione pastorale che le è propria: in esso sono state concentrate le residenze di molti enti, collegati anche alle tante Rettorie presenti sul territorio, molte di queste antichissime e veri e propri scrigni preziosi di bellezza e di spiritualità, le cui finalità solo in rari casi hanno incidenza sulla pastorale concreta della città nel suo insieme. Pur non mancando molte belle e positive esperienze di vita sacerdotale e comunitaria pienamente inserite nella vita pastorale del centro storico di Roma, spesso il clero destinato al Settore Centro è solamente residente in strutture di culto, vivendo poi il proprio ministero in altri incarichi o uffici.
A motivo di tutto ciò, nel grande contesto del cambiamento d’epoca che tutti stiamo vivendo, nell’imminenza del Giubileo diventa necessaria e improrogabile una rilettura del senso pastorale da attribuire alla presenza sul territorio da parte della Diocesi di Roma.

Alla luce dei numerosi interventi, delle richieste già avanzate e di un lavoro iniziato da tempo, dispongo che vengano ridefiniti i confini delle Prefetture in cui è suddivisa oggi la Diocesi di Roma, affinché siano armonizzati i contesti di riferimento e le Parrocchie che vi appartengono. Sarà un percorso che richiederà alcuni mesi di lavoro. In tale prospettiva e nel tentativo di suscitare un sempre maggiore spirito di comunione ecclesiale, con la speranza di meglio integrare periferie e centro storico, dispongo che le attuali cinque Prefetture del Settore Centro siano incluse negli altri Settori, riducendo l’organizzazione territoriale della Diocesi di Roma solo in riferimento ai quattro punti cardinali. I quattro Settori, in base alla posizione geografica, includeranno le cinque Prefetture e le trentacinque Parrocchie presenti sul territorio del Settore Centro. Nello specifico, rispetto a quanto fu stabilito dal Decreto del Cardinale Vicario in data 11 marzo 1966 e successive modifiche, dispongo che: il Settore Nord includa la Prefettura IV, il Settore Est includa la Prefettura V, il Settore Sud includa la Prefettura III, il Settore Ovest includa le Prefetture I e II. In questo orizzonte non ci sono più un centro isolato e una periferia divisa in compartimenti separati, ma, in una visione dinamica che prevede non muri ma ponti, la Diocesi di Roma sarà concepita come un unico centro che si espande attraverso i quattro punti cardinali. In questa prospettiva, il venir meno dei confini del Settore Centro non significa affatto chiuderlo, come potrebbe sembrare in apparenza, bensì aprirlo. Desidero, infatti, che con questa decisione sia esaltata la specificità pastorale del centro storico di Roma in un’identità diocesana. Questo favorirà anche in seno al Consiglio Episcopale condivisione di lavoro e unità d’intenti su un’area della città così nevralgica.

Con l’auspicio di sciogliere la tensione bipolare che nel tempo si è innestata nella percezione sociale ed ecclesiale tra centro storico e periferie, mi preme richiamare proprio i “quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale”, desunti a suo tempo dalla Dottrina Sociale della Chiesa e menzionati in Evangelii Gaudium, in riferimento alla realizzazione del bene comune e della pace sociale (EG 217-237): 1) Il tempo è superiore allo spazio; 2) La realtà è più importante dell’idea; 3) L’unità prevale sul conflitto; 4) Il tutto è superiore alla parte.
All’interno di questi quattro principi desidero rendere esplicite le motivazioni teologiche e pastorali sottese a questa riconfigurazione territoriale.

1) Il tempo è superiore allo spazio
Ogni sforzo pastorale ha l’obiettivo di preparare, assecondare e custodire l’incontro personale tra Dio e la creatura umana. La Rivelazione stessa, per sua natura, ha una tensione sacramentale che trova la sua più alta realizzazione nell’incontro personale con Cristo. A questa ambiziosa vetta tende tutto il dinamismo pastorale ed è questo il centro bellissimo da raggiungere, da contemplare e da custodire. C’è un tempo per desiderare l’incontro con Cristo, c’è un tempo per contemplare l’incontro con Cristo, c’è un tempo per custodire l’incontro con Cristo. È chiaro che questo incontro, per i limiti della percezione umana, ha bisogno di uno spazio per realizzarsi, ma lo spazio è solo lo scenario in cui si gioca il tempo dell’incontro, poiché “il tempo è superiore allo spazio”.
Tuttavia, mentre l’Eterno entra nel tempo, il tempo fatica a entrare nell’eternità; analogamente, i ritmi lavorativi dell’approvvigionamento, dell’apprendimento o dello svago, non sono più in armonia con i ritmi cosmici della natura e delle stagioni. Se i pastori non si rendono conto che il cambiamento d’epoca richiede una rimodulazione anche dei ritmi sacramentali e pastorali, il rischio è di risultare sterili. Occorre tenere conto dei ritmi del Popolo di Dio che abita in un determinato territorio parrocchiale e di orari più compatibili con i tempi di una famiglia.
Più ci si allontana dal centro storico e più i quartieri assumono delle conformazioni proprie che abbattono le radici e spersonalizzano l’ambiente: i grandi quartieri della periferia romana, così come sono, potrebbero trovarsi in qualunque altra città. Ora, facendo confluire il Settore Centro negli altri Settori, significa rendere partecipi il Nord, l’Est, il Sud e l’Ovest di tutta la storia del cristianesimo a Roma. Significa che le riunioni, le celebrazioni, gli incontri di Settore possono arricchirsi di luoghi e di spazi antichi, capaci di rendere esplicite le profonde radici che fondano l’identità dei credenti romani. Soprattutto nei riguardi delle nuove generazioni, vivere in un quartiere periferico comporta un maggiore sforzo nel comprendere le radici e le ragioni della nostra identità di cristiani di Roma, di appartenenti a un popolo fondato sul sangue dei martiri e sulle virtù dei santi. Per questo, anche nella Diocesi di Roma la nuova evangelizzazione non può prescindere da un’accorta e ponderata pre-evangelizzazione, che con santa pazienza sia capace di bonificare il terreno da eventuali pregiudizi, ma anche di mostrare pazientemente ciò che per abitudine diamo per scontato. Nella società romana odierna non possiamo più dare per assodato il senso della partecipazione e dell’appartenenza ecclesiale. Il pellegrinaggio da sempre è lo strumento spirituale che pone meglio il tempo al di sopra dello spazio. Scegliere di visitare un luogo sacro, un luogo che sta lì e che attende solo di essere visitato, significa dedicargli tempo, significa fare memoria, significa ascolto, significa scegliere autonomamente di porsi in cammino per incontrare Dio. Il centro storico, con i suoi luoghi di culto carichi di arte, con i suoi santuari traboccanti di reliquie e testimonianze storiche, con le sue tradizioni e le sue usanze può essere un valido alleato nell’opera di consolidamento dell’identità cristiana degli stessi battezzati dell’Urbe. Le porte del Giubileo, prima ancora di essere occasione d’incontro con i pellegrini provenienti da tutto il mondo, devono essere meta di pellegrinaggio per gli stessi romani. La preparazione al Giubileo per le Parrocchie di Roma non si deve fermare a valutare quante persone, quanti pellegrini possono essere ospitati in vista del raduno mondiale dei giovani. Bisogna prepararsi a sentirsi parte di una storia carica di luce e di bellezza, e pronti ad accogliere e condividere tale bellezza in un senso più profondo.
Il centro storico di Roma è una miniera di pellegrinaggi capaci di arricchire e coprire la scansione dell’intero anno liturgico di una Parrocchia della periferia romana. Esperienze di pellegrinaggio urbano, come la “Corona di Maria” o la “visita delle Sette Chiese” sulle orme di San Filippo Neri o la visita alle catacombe e al Verano nel mese dei defunti, la visita a Piazza di Spagna nel giorno della Solennità dell’Immacolata Concezione, il pellegrinaggio verso la Sacra Culla custodita a Santa Maria Maggiore nel tempo di Natale, la visita alle antiche Stationes nel tempo di Quaresima, la visita alla Scala Santa e a Santa Croce in Gerusalemme nella Settimana Santa, la scoperta di tante icone mariane nel mese di maggio e di ottobre, sono solo alcune delle esperienze che un battezzato romano dovrebbe poter vivere annualmente. A queste andrebbero aggiunte le catechesi tramite l’arte, mettendo a disposizione tutto il patrimonio artistico custodito nelle chiese del centro storico di Roma.

2) La realtà è più importante dell’idea
Roma ha un fascino unico ed è giustamente considerata una delle città più belle del mondo. Proprio in riferimento all’arte e alla monumentalità dell’Urbe, mi preme aprire una riflessione sul significato autentico della bellezza e credo sia opportuno farlo alla luce del secondo principio per cui “la realtà è più importante dell’idea”.
«La bellezza salverà il mondo»: Dostoevskij ha profondamente ragione, ma quale bellezza?
Sono convinto che la bellezza salverà il mondo solo se la Chiesa riuscirà a salvare la bellezza; salvarla dalle manipolazioni ideologiche del falso progresso e dalla sottomissione al commercio e all’economia, che spesso la riducono a “specchietto per le allodole” o a bene di consumo effimero. Se dovessimo guardare Roma solo per la bellezza delle sue opere d’arte o per la monumentalità suggestiva dei suoi ambienti, rischieremmo di ridurre la bellezza a uno scatto fotografico, a un istante capace di suscitare solo delle sfuggenti emozioni da immortalare. Non è questa la bellezza che la Chiesa riconosce a Roma. Se Gesù Cristo è la vera bellezza, se la bellezza del Signore sta nell’armonia tra la sua unicità, la sua verità e la sua bontà, anche Roma va vista nella profondità di questa armonia. Dietro ogni opera d’arte presente in una chiesa si nasconde una catechesi, dietro ogni monumento della Roma cristiana si nasconde un messaggio da decifrare e discernere. Ma per poter trasmettere questi contenuti di autentica bellezza, prima bisogna sperimentarli. Andare oltre i confini del Settore Centro aiuterà i cittadini romani a innestare ponti di meraviglia, mossi dall’attrattiva che la bellezza porta in sé.
La prima nota da indicare nella classifica delle bellezze che compongono Roma sul versante cristiano e diocesano è la sua vocazione materna ad accogliere e a nutrire. Tutta la città, e non solo il centro storico, è manifestazione della concreta maternità della Chiesa che accoglie nel miglior modo possibile i suoi figli, pellegrini da ogni dove. Una madre è bella perché dedita alla cura dei suoi figli e ha occhi speciali per i figli più fragili che la rendono ancora più bella. La fragilità è un’altra manifestazione della bellezza che ci impone attenzione. Più ci prendiamo cura delle fragilità e più risultiamo belli. Pensate a quanti sforzi la Roma cristiana ha fatto nella storia per accogliere i pellegrini. Pensate al sorgere degli “ospitali” nei pressi delle grandi Basiliche, concepiti primariamente per lenire le fatiche dei pellegrini e poi diventati “ospedali”, luoghi per la cura dei più fragili, come ci insegna l’esperienza di San Benedetto Giuseppe Labre, che, insieme con San Camillo De Lellis e San Luigi Gonzaga, possono essere considerati modelli di questa bellezza.
È vero che sul fronte della carità si deve sempre crescere e migliorare, ma bisogna riconoscere che Roma è bella anche perché sa prendersi cura dei suoi poveri, per questo ringrazio i tanti operatori e volontari che, con autentico spirito evangelico, hanno reso Roma una città sensibile alle esigenze dei bisognosi, soprattutto nel Centro Storico. A tal proposito, esistono nel Centro di Roma tante realtà aggregative – ispirate all’opera di Santi e Beati – facenti capo a molte confraternite o enti affini. Essi, oltre a nutrire la devozione, si occupano della cura dei più deboli sotto vari punti di vista. Queste belle realtà, a volte nascoste o limitate al centro di Roma, è bene che vangano conosciute, incrementate e sostenute da tutta la Diocesi. Per tale motivo ho anche voluto nominare un Vicario Episcopale specifico a cui fare riferimento per gli Enti e le Rettorie. Nutrire non è soltanto offrire le cure essenziali per la sopravvivenza, ma anche spalancare le finestre dell’eternità per permettere a tutti di respirare l’aria buona del Vangelo, con ogni mezzo e in ogni spazio. San Filippo Neri, nel prendersi cura dei più piccoli e poveri della città, è modello di bellezza nella creatività evangelica, capace di suscitare un’occasione di stupore e d’incontro con Dio a partire da ogni scorcio della Roma del suo tempo. Proprio San Filippo è stato uno dei primi a rendersi conto che i romani stessi dovevano fare esperienza dei tesori spirituali e artistici di Roma, trovando in essi la forza di elevare la loro esistenza verso i beni eterni.

3) L’unità prevale sul conflitto
“L’unità prevale sul conflitto” è il principio su cui si fonda il primato petrino. Se la persona del Papa, Vescovo di Roma, è segno visibile dell’unità della Chiesa, questo principio deve potersi ritrovare con immediata visibilità in ogni realtà della Diocesi. Roma, unita in ogni sua parte con la forza dello Spirito Santo, è modello di comunione per l’intero mondo cristiano. Già San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi ci suggerisce che le divisioni e le appartenenze frammentate costituiscono uno scandalo e un affronto alla comunione: «Quando uno dice: “Io sono di Paolo”, e un altro: “Io sono di Apollo”, non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere» (1Co 3,4-7). Senza rinnegare il tempo in cui una rigida separazione dei confini settoriali ha avuto la sua proficua necessità, bisogna riconoscere che oggi non ha più senso moltiplicare appartenenze e adesioni a subculture che invece di rafforzare l’unità diocesana spesso alimentano conflitti. Non possono esistere “feudi” nella divisione dei territori dal punto di vista ecclesiale. Ridurre la Parrocchia a microcosmo è un peccato verso l’unità e la comunione diocesana, ridurre le comunità a subculture a sé stanti è un peccato contro la comunione ecclesiale. Ciò vale per tutte quelle realtà o movimenti ecclesiali che preferiscono spendere energie marcando differenze, piuttosto che salvaguardare l’unità della Diocesi. Roma è un’unica grande casa in cui tutti – romani e non – dobbiamo sentirci “a casa”, accolti come pellegrini.

4) Il tutto è superiore alla parte
L’ultimo principio non può che essere la sintesi conclusiva della lettura di questa riconfigurazione del territorio diocesano: “il tutto è superiore alla parte”. Il Sinodo sulla sinodalità ha profondamente ispirato queste mie considerazioni, che si radicano in un ormai decennale ascolto dei Vescovi Ausiliari di Roma, succedutisi nel tempo, unito al grido della Città, infatti l’ascolto del Vescovo è rivolto innanzitutto al Popolo fedele di Dio, che si è espresso nelle tante assemblee parrocchiali e diocesane dei cui resoconti ho preso visione in varie circostanze. Il dinamismo sinodale della Chiesa deve essere assecondato e deve permettere un’agevole fluttuazione all’interno dell’unica cornice solida, che è la Chiesa particolare, la Diocesi. In un mondo in cui con tristezza sentiamo ancora parlare del bisogno elitario ed egoistico di erigere muri di separazione e di contrasto, la risposta della nostra Diocesi è quella di gettare ponti. Ponti su cui possa scorrere agevolmente la comunione ecclesiale che ci rende tutti, uno per uno e tutti insieme, appartenenti solo a Cristo Risorto e alla sua Chiesa; così come il sangue dei martiri Pietro e Paolo, che dal cuore irrora tutto il corpo della nostra Diocesi.
Maria, Madre della Chiesa e Salus Populi Romani, sia l’immagine chiara della nostra sinodalità diocesana. Sebbene esistano tante icone, tanti santuari, tante Parrocchie a Lei dedicate, ciascuna con un suo proprio titolo, Maria è una sola.
Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 1° ottobre 2024, Memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, Vergine e Dottore della Chiesa, Patrona delle Missioni.
Francesco

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