17 Maggio 2025

Tutela dei minori, prevenire e sanare. A colloquio con la referente diocesana Vittoria Lugli

di Giulia Rocchi da Roma Sette

«Quando si addestrano i piloti delle Frecce Tricolori, bisogna evitare che accada qualsiasi incidente. Così in qualche modo è con i reati che hanno come vittime i minori: bisogna evitare che vengano commessi». A parlare è Vittoria Lugli, referente diocesana e coordinatrice regionale del Lazio per la tutela dei minori (vescovo ausiliare referente per questo Servizio è monsignor Guerino Di Tora). Nell’ufficio, al piano terra del Palazzo del Vicariato, è attivo il centro di ascolto, che funziona previo appuntamento telefonico al numero 06.69886100. «Qui si possono presentare denunce ed essere ascoltati anche su situazioni datate, perché nessun tipo di reato sessuale va in prescrizione, come ferita nelle persone… Ferite ancor più profonde se provocate da un sacerdote, un catechista, un educatore».

Non solo. Il Servizio diocesano si occupa di formazione e prevenzione, in linea con le indicazioni del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori, che giusto la scorsa settimana – mercoledì 23 settembre – ha pubblicato on line i primi due sussidi per formatori, educatori e operatori pastorali: uno sulle “Buone prassi di prevenzione e tutela dei minori in parrocchia” e l’altro su “Le ferite degli abusi”.

Psicoterapeuta sistemico–relazionale, esperta di famiglie, coppie e dinamiche intrafamiliari, Lugli ha nel suo curriculum anni di collaborazione con l’Aeronautica militare italiana. «Sento come una missione questo nuovo compito – dice –; penso sia fondamentale dare strumenti educativi nuovi e diversi. I Servizi diocesano e nazionale rappresentano la grande attenzione da parte della Chiesa e di Papa Francesco ai minori e alle famiglie. Vogliamo dire che ci siamo per chiedere perdono, ascoltare, indirizzare e sanare anche le ferite. Questo non è un tribunale, ma è un accompagnamento, perché la giustizia deve comunque seguire il suo percorso: laddove non c’è sanzione non c’è neanche reale riconoscimento del reato». Fondamentale è «la prevenzione: in un ambiente che previene – spiega –, dove si è a norma, l’incidente non avviene quasi mai. Dove invece c’è degrado ambientale spesso c’è anche degrado comportamentale».

Quello che viene proposto è «un approccio agli abusi di tipo sistemico». Non basta «la buona volontà, serve una preparazione idonea degli operatori – ribadisce la responsabile –; deve passare l’idea che la tutela del minore appartiene a tutta la comunità». In poche parole «tutta la parrocchia è responsabile dei minori che le sono affidati», come si legge anche nel sussidio Cei sulle “Buone prassi” curato da don Gianluca Marchetti e don Francesco Airoldi, del Servizio nazionale. Nel volume, una serie di regole e raccomandazioni anche puntuali su come gestire determinate attività affinché i più piccoli possano sempre sentirsi al sicuro, e un eventuale “orco” sia neutralizzato a priori. «Essere sempre visibili agli altri operatori pastorali o comunque ad altri adulti quando si svolge qualche attività con i minori», si legge, ad esempio, a pagina 14. Ancora, prestare attenzione particolare durante l’oratorio estivo o attività sportive ospitate negli spazi parrocchiali, quando circola un maggior numero di ragazzini; chiudere con accuratezza cantine, seminterrati, magazzini, ripostigli; informare le famiglie delle attività che vengono proposte e delle relative modalità organizzative ottenendo le opportune autorizzazioni. Ma non basta.

Serve una formazione e attenzione continua. «Ad aprile – spiega Lugli – avrei dovuto iniziare un percorso formativo nei quattro Seminari diocesani, che purtroppo è stato posticipato per via del coronavirus, ma inizierà a breve. Il corso mira a coniugare informazioni scientifiche, come ad esempio delineare la personalità dell’abusatore, e a creare una cultura che sia di aiuto nel rapportarsi con educatori e famiglie». In programma anche percorsi di approfondimento per chi è già sacerdote e per i laici impegnati nella pastorale. «Bisogna avere gli strumenti giusti nella propria borsa: questo vuol dire fare prevenzione», dice la psicoterapeuta. «Per fortuna – aggiunge – non parliamo di fenomeni diffusi, ma il problema non è tanto quante mele marce ci siano, ma quanto la presenza anche di una sola sia un fallimento per tutti. Se ci sono minori che non vengono tutelati vuol dire che tutta la comunità non ha vigilato abbastanza. Bisogna occuparsi delle emergenze prima che succedano».

Come dice Papa Francesco, nel motu proprio del 7 maggio 2019. «I crimini di abuso sessuale offendono Nostro Signore – si legge nella lettera del Pontefice –, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la comunità dei fedeli. Affinché tali fenomeni, in tutte le loro forme, non avvengano più, serve una conversione continua e profonda dei cuori, attestata da azioni concrete ed efficaci che coinvolgano tutti nella Chiesa, così che la santità personale e l’impegno morale possano concorrere a promuovere la piena credibilità dell’annuncio evangelico e l’efficacia della missione della Chiesa».

5 ottobre 2020

Consiglio dei prefetti

Consiglio dei prefetti

Giornata per la carità del Papa

Giornata per la carità del Papa

Processione del Senor de Los Milagros fino a San Giovanni in Laterano

Processione del Senor de Los Milagros fino a San Giovanni in Laterano, a cura dell’Ufficio per la pastorale delle migrazioni.

Ordinazioni presbiterali presiedute dal cardinale vicario nella basilica di San Giovanni in Laterano

Ordinazioni presbiterali presiedute dal cardinale vicario nella basilica di San Giovanni in Laterano

Nella basilica di San Giovanni in Laterano presiede le ordinazioni presbiterali

Nella basilica di San Giovanni in Laterano presiede le ordinazioni presbiterali.

La testimonianza delle monache agostiniane: “rimanere” declina l’amore

Pubblichiamo la testimonianza della priora suor Fulvia Sieni e delle sorelle Agostiniane dei Santi Quattro Coronati su questo tempo di emergenza sanitaria.

“RIMANERE” DECLINA L’AMORE

Don Camillo spalancò le braccia rivolto al Crocifisso: “Signore se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?” il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancora più fertile dal limo del fiume e il seme fruttificherà. (…) Bisogna salvare il seme: la fede”.

Queste parole che Guareschi mette sulle labbra del suo Crocifisso sembrano fare eco a quelle che la nostra amica Etty Hillesum scriveva una domenica mattina del 1942: “Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. (…) Una cosa però diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. (…) E quasi ad ogni battito del mio cuore cresce la mia certezza: tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.”

Mi sembra di poter dire che queste due intuizioni spirituali interpretino bene il modo in cui abbiamo vissuto e stiamo vivendo (ancora) questo tempo.

Tutti l’abbiamo percepito come l’arrivo di un temporale: sembrava passeggero e pareva bastassero ombrello e stivali; poi si è rivelato un’alluvione dirompente (“una tempesta” dirà Papa Francesco il 27 marzo), che si è abbattuta travolgendo gli argini delle routines quotidiane che ci davano sicurezza e scoperchiando i tetti della nostra malcelata vulnerabilità.

Il confinamento che sembrava un’ipotesi improbabile (lontana quanto la Cina) è divenuto presto realtà così come l’impossibilità a celebrare l’Eucarestia, a confessarsi (fatti distanti da noi romani almeno quanto l’Amazzonia)… impensabili e poi concreti da un giorno all’altro.

In modo ingenuo, direi semplice, qualcuno, forse per incoraggiarci, ci ha detto che tutto sommato per noi monache non sarebbe cambiato nulla: in clausura eravamo e in clausura restavamo. (Giravano anche vignette ironiche sul web)

Ma non è mai stato vero: anche per noi è cambiato tutto!

Questo tempo, a noi come a tutti, ci ha strappato da ogni distrazione, letteralmente cioè ha spazzato via ogni movimento, ogni spinta che potesse portarci lontano dalla realtà e dal suo dolore.

Emozioni, affetti, sentimenti, preghiera, pensieri, parole… Tutto si è impregnato delle angosce, del lutto e delle speranze che stavamo e stiamo vivendo (perché dobbiamo ricordarci che in alcune parti del mondo il virus è ancora molto violento). Il succedersi implacabile di cattive notizie ci ha coinvolto in modo forte regalandoci l’impressione certa non solo di sapersi, ma di sentirsi corpo, Corpo di Cristo, legate in modo indissolubile come membra vive gli uni agli altri; di appartenere ad un popolo, indispensabili nel tessere legami di reciprocità e di cura.

Abbiamo sentita interpellata la nostra fede. Il grido di paura in tutta la sua drammaticità, ci ha raggiunto, lo abbiamo ascoltato in noi e fuori di noi; abbiamo pianto, pregato, offerto quanto potevamo, proprio come tutti.

L’aver fatto interiormente e comunitariamente esperienza di questo sgomento, ci ha permesso di preoccuparci in modo molto concreto delle persone che, come noi, cercavano ragioni per sperare dicendo come Israele nel deserto: “il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7)
Il portone del Monastero si chiudeva, le porte di tutti si serravano come quelle delle chiese, anche della nostra, e noi abbiamo sentito nitida la chiamata ad uscire.

Subito dopo aver celebrato l’ultima messa, l’8 marzo, per Grazia abbiamo compreso di dover uscire noi, di far sentire fuori la voce della Parola e la forza della preghiera perché nessuno si sentisse solo. Questa inquietudine ci ha fatto aprire il cuore e la mente alla creatività dello Spirito che ci ha permesso di inventare nuovi modi per vivere il nostro ministero di presenza, preghiera e intercessione: così ogni giorno, per 81 giorni, abbiamo pubblicato in rete un breve video con un canto, il Vangelo del giorno e un nostro commento che voleva essere una parola di incoraggiamento e di aiuto a riconoscere la Buona Notizia che il quotidiano porta comunque con sé.

È stato impegnativo, laborioso e bellissimo!

Sostare a lungo insieme sulla Parola per produrre solo 20 secondi di commento ha aiutato prima di tutto noi a rimanere centrate sul Vangelo e, sappiamo, ha aiutato migliaia di persone che volentieri ascoltavano un annuncio sereno e allo stesso tempo forte, cui aggrapparsi per vivere l’emergenza e affrontare la paura un giorno alla volta.

Organizzandoci poi con mezzi semplici (e superando non poche difficoltà tecnologiche) abbiamo pensato di andare incontro a tutti ancora condividendo la Liturgia delle Ore, le Lodi, il Vespro e la Compieta tramite il canale YouTube; così anche la Settimana Santa nei suoi momenti di preghiera più intensi e poi fino alla Pentecoste. Abbiamo scoperto che centinaia di persone, bloccate in casa, si univano in diretta alla preghiera, molte di più di quanto la nostra piccola Basilica possa contenere. Abbiamo gustato fortissima la comunione, la forza dell’intercessione e la compagnia di un popolo orante.

Abbiamo scelto di vivere questo tempo come Aronne e Cur sul monte con Mosè, chiamati a sostenere le braccia della Chiesa in preghiera durante il gran combattimento della fede.

Nel frattempo, i contatti si sono moltiplicati: e-mail, messaggi, telefonate con richieste di ascolto soprattutto e di aiuto per affrontare la paura, l’ansia, la sfiducia e le difficoltà della improvvisa convivenza forzata.

Impropriamente chiamato clausura, il confinamento cui tutti sono stati sottoposti, ha snudato le relazioni già fragili e ha rivelato la difficoltà di molti a “rimanere” lì dove la storia e la loro vocazione li hanno collocati. Sappiamo che nel Vangelo il verbo “rimanere” è uno dei verbi in cui si declina l’amore; in molti, sebbene non tutti, abbiamo preso consapevolezza della nostra incapacità ad amare persino le persone più vicine. Non solo le famiglie ma anche alcune comunità di vita consacrata hanno patito il venir meno delle attività che normalmente vissute fuori di casa o dal convento, magari in parrocchia o con i giovani, portavano al rarefarsi della condivisione. Alcune sorelle ci hanno chiesto aiuto per rimodulare la loro vita comunitaria e per reimparare a stare insieme.

La nostra miglior risorsa, la vita fraterna, ci ha permesso di essere davvero prossime comprendendo le fatiche e aiutando a rasserenare anche situazioni complesse. Non che nella nostra vita manchino le difficoltà, ma la grazia di viverla ci insegna a riconoscerle e affrontarle. Siamo allenate ogni giorno a questo dalla “stabilità” che caratterizza il monachesimo.

Abbiamo trovato bellissima questa condivisione e queste relazioni di aiuto che inverano la forza e la reciprocità di ogni vocazione laddove ciascuna porta un annuncio a tutte le altre.

Nemmeno a noi è mancato il sostegno concreto di molti: la Provvidenza si è fatta presente attraverso persone amiche che hanno provveduto a noi per i farmaci, la spesa ordinaria, e poi la Caritas diocesana che ci ha aiutato con beni di prima necessità e ci ha permesso di aiutare altri Monasteri della città in difficoltà e numerose famiglie.

Per vivere con maggior consapevolezza abbiamo poi deciso di creare uno spazio di pensiero, trasformando il nostro incontro comunitario quotidiano in un laboratorio vero e proprio dove elaborare insieme il vissuto di questo tempo leggendo articoli, riflessioni, condividendo considerazioni, aiutandoci a verbalizzare il dolore, la paura, le preoccupazioni, ma anche e soprattutto la fede, le speranze, i sogni, le idee… Il laboratorio è ancora aperto!

Nessuna di noi prima d’ora, nemmeno le più anziane, aveva vissuto un tempo storico così difficile e delicato, e nemmeno così violento. Nessuna è testimone di guerre o eventi globali drammatici.
Questo momento crea in noi un prima e un dopo, e vogliamo che sia così: come deve esserci un’umanità di prima e una di post-Covid, così dovrà esserci una Chiesa, e una Chiesa di Roma, di prima e di post-Covid, e così vogliamo che sia per la nostra Comunità.

2 ottobre 2020

Partecipa al ritiro spirituale del Consiglio episcopale nel Convento dei Padri Passionisti al Celio

Partecipa al ritiro spirituale del Consiglio episcopale nel Convento dei Padri Passionisti al Celio.

Catechesi per i missionari di ambiente a Santa Maria ai Monti

Catechesi per i missionari di ambiente a Santa Maria ai Monti, a cura del Servizio per la pastorale sociale.

Alla Pontificia Università Lateranense presiede l’incontro di redazione della Rivista Studia et Documenta Historiae et Iuris

Alla Pontificia Università Lateranense presiede l’incontro di redazione della Rivista Studia et Documenta Historiae et Iuris.

Dal 29 novembre si usa il nuovo messale. Il 13 ottobre l’incontro con monsignor Maniago

Nella prima domenica di Avvento, domenica 29 novembre, nelle chiese del Lazio inizierà a essere utilizzato il nuovo messale. Lo annuncia il cardinale vicario Angelo De Donatis, dando appuntamento ai sacerdoti e ai diaconi della diocesi per martedì 13 ottobre, alle ore 10, nella basilica di San Giovanni in Laterano per un incontro con il vescovo di Castellaneta monsignor Claudio Maniago, che è anche presidente della Commissione liturgica della Cei ed esperto di liturgia. Sarà lui ad illustrare questa terza edizione del volume e le sue implicazioni per la pastorale liturgica.

«Il nuovo libro liturgico – spiega il vicario –, preparato attraverso lunghi anni di lavoro dei pastori e degli esperti propone una revisione del linguaggio e delle forme espressive della celebrazione eucaristica, ma costituisce anche una nuova opportunità per approfondire l’esperienza di partecipazione all’Eucaristia e l’arte della presidenza. In questo modo la Chiesa italiana si prefigge l’obiettivo di guidare e accompagnare meglio la preghiera delle comunità che ci sono affidate, perché si intensifichi sempre più l’esperienza meravigliosa di essere commensali di Cristo al banchetto eucaristico».

Nel mese di ottobre, inoltre, anche l’Ufficio liturgico diocesano e il Pontificio Istituto Liturgico propongono un percorso formativo alla scoperta della nuova edizione del messale. «Esce una nuova traduzione del messale e questa è una notizia importante per la pastorale liturgica – spiega padre Giuseppe Midili, direttore dell’Ufficio liturgico della diocesi –. Ha significato nella misura in cui noi lo consideriamo non come la semplice sostituzione di un libro con un altro, ma capiamo che è la Chiesa che si adegua nel linguaggio al mondo di oggi. È un modo, insomma, in cui la Chiesa va incontro alla società contemporanea. Facciamo il corso dunque non perché dobbiamo spiegare il messale, ma perché dobbiamo aiutare tutti a capire come questo è adeguamento della liturgia significa essere sempre più vicini al vissuto dei fedeli».

L’utilizzo del nuovo Messale diventerà obbligatorio nelle parrocchie della penisola a partire dalla prossima Pasqua (4 aprile 2021), ma può essere utilizzato anche prima. Si tratta della nuova traduzione in italiano della terza edizione tipica – in latino – del Messale Romano scaturito dal Concilio Vaticano II nella quale cambiano alcune formule con cui viene celebrata l’Eucaristia nella nostra lingua. Il nuovo volume è edito dalla Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena in un unico formato e viene distribuito dalla Libreria Editrice Vaticana che lo farà arrivare nelle librerie e nelle parrocchie. Fra le novità introdotte quelle sul Padre Nostro: non diremo più «e non ci indurre in tentazione», ma «non abbandonarci alla tentazione». Ancora, nel Gloria la formula «pace in terra agli uomini di buona volontà» è sostituita con «pace in terra agli uomini, amati dal Signore».

Leggi la lettera del cardinale e scarica la scheda tecnica

1 ottobre 2020

A San Giovanni in Laterano le ordinazioni sacerdotali

Sono cinque i diaconi che sabato 3 ottobre, alle ore 17.30, nella basilica di San Giovanni in Laterano, saranno ordinati sacerdoti dal cardinale vicario Angelo De Donatis. Quattro di loro si sono formati al Pontificio Seminario Romano Maggiore mentre uno ha studiato al Collegio diocesano Redemptoris Mater. La celebrazione verrà trasmessa in diretta su Nsl (canale 74 del digitale terrestre) e in streaming sulla pagina Facebook della diocesi di Roma.

Si tratta di Jorge Gomis Coloma, 37 anni, originario di Valencia, arrivato a Roma appositamente per frequentare il seminario. «La mia vocazione è arrivata tardi – racconta –; avevo un altro progetto di vita, un lavoro, una fidanzata. Ma poi all’improvviso ho perso il lavoro e la mia storia d’amore è finita. Sono entrato in crisi profonda, e ne sono uscito solo grazie al Signore. Ho capito che i progetti che avevo fatto fino a quel momento per la mia vita non erano niente in confronto a quello che Lui aveva in serbo per me». Don Jorge è stato assegnato alla parrocchia di Sant’Alberto Magno, dove spera di rimanere per qualche anno. Poi spostarsi, anche lontano. «Stare Roma è bellissimo – dice –, ma il nostro è un seminario missionario, ha il carisma della missione».

Una vocazione matura pure quella di Simone Bellato, 38 anni, un cammino nato e cresciuto nella parrocchia di San Giovanni Evangelista a Spinaceto. «In parrocchia ci sono i Figli dell’Amore Misericordioso e la mia fede si è nutrita grazie a loro, ai sacerdoti che ho incontrato, ai numerosi pellegrinaggi fatti al santuario di Collevalenza e in Terra Santa», spiega. Eppure non avrebbe mai pensato al sacerdozio. «Diciamo che ero molto impegnato! – scherza – Ho studiato Scienze Politiche a Roma Tre e sono stato anche in Erasmus, poi facevo parte degli scout, suonavo il basso in due gruppi diversi. Avevo una vita molto piena, ma dentro di me percepivo un vuoto». Da lì l’idea di frequentare il cammino dei Dieci Comandamenti con don Fabio Rosini, direttore del Servizio per le vocazioni della diocesi: «Sono riuscito finalmente a dire di sì alla chiamata del Signore, che in qualche modo percepivo da almeno dieci anni». Adesso don Simone presta servizio nella parrocchia di San Bernardo di Chiaravalle.

A Santa Maria Addolorata è invece affidato Mario Mesolella, trentaseienne napoletano, cresciuto tra Sparanise (Caserta), Villammare di Vibonati (Salerno) e Foligno. «Sono i miei luoghi del cuore e qui potrò celebrare le prime Messe», annuncia. Ma la sua vocazione è legata anche ad Assisi, ai corsi vocazionali di padre Giovanni Marini: «Grazie a quella esperienza ho capito che il Vangelo poteva essere veramente incarnato nella mia vita – dice –. Non mi sento diverso da tanti altri, ma capisco di essere strumento tra le mani di Dio».

È cresciuta nella parrocchia di Santa Galla, tra una partita di pallavolo in oratorio e il catechismo, la vocazione di Diego Del Fa, 27 anni, romano, assegnato alla comunità di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. «Quando ho detto ai miei genitori che volevo entrare in seminario, non l’hanno presa benissimo – confida il futuro sacerdote –. Avevano tanti sogni e aspettative sulla mia vita e in qualche modo erano anche distanti dalla fede. A me piace dire che hanno fatto questo percorso insieme a me, perché adesso invece collaborano attivamente con la parrocchia, sono impegnati nella Caritas e nei corsi prematrimoniali. Anche loro hanno fatto un percorso bello di avvicinamento al Signore».

Viene da «una famiglia molto credente», invece, Francesco Palazzo, 34 anni, romano, che fin da piccolo ha frequentato l’Opus Dei. «Ma non pensavo di diventare prete – ammette –, ero fidanzato e con la mia ragazza partecipammo a un corso per fidanzati ad Assisi, dalle Suore Francescane Alcantarine. Da quell’esperienza uscii però frastornato. Ho iniziato quindi una direzione spirituale, che mi ha fatto comprendere che mi avvicinavo a una vita esclusiva per il Signore». Sta prestando servizio a San Roberto Bellarmino. «La mia vocazione – conclude – passa per il sentirmi amato per quello che sono e sentirmi chiamato nonostante quello che sono».

1 ottobre 2020

Articoli recenti