5 Maggio 2025

Con gioia in Terra Santa: il pellegrinaggio dei seminaristi con il cardinale Angelo De Donatis

«Il Signore ci ha chiamati qui perché vuole regalarci la sua gioia: la gioia di chi può dare tutto perché tutto ha ricevuto come dono. La gioia di chi può amare perché si sente definitivamente amato». Con queste parole, da Nazareth, il cardinale vicario Angelo De Donatis ha dato il via al pellegrinaggio in Terra Santa con i seminaristi del Pontificio Seminario Romano Maggiore, dal primo all’8 luglio. «I primi passi del nostro pellegrinaggio ci svelano una certezza – ha detto ancora il cardinale –: nonostante tutto non siamo riusciti a stancare Dio. Egli davvero non si è stancato di noi, del nostro cuore tiepido, della pigrizia del nostro spirito, dei nostri peccati. No! Vuole ancora darci un segno del suo amore».

Organizzato dall’Opera romana pellegrinaggi, al cammino nella terra di Gesù partecipano don Filippo Morlacchi, sacerdote fidei donum della diocesi di Roma, che vive a Gerusalemme a Casa Filia Sion, e il responsabile dell’Orp monsignor Remo Chiavarini. Nazareth, come detto, è stata la prima tappa. Poi la salita al Monte Tabor, il Lago di Tiberiade, il Monte delle Beatitudini, Cafarnao. Oggi (lunedì 4 luglio) la partenza al mattino presto per la Giudea, con il rinnovo delle promesse battesimali a Qasr ed Yahud, sito del battesimo di Gesù, e proseguimento poi per Masada, l’altopiano nel deserto di Giuda trasformato il fortezza dal re Erode il Grande. Nei prossimi giorni saranno a Betlemme, Ain Karem e per finire a Gerusalemme, dove visiteranno il Cenacolo, la chiesa di San Pietro in Gallicantu, il Kotel, la Via Dolorosa, la Basilica del Santo Sepolcro…. E ancora la spianata delle Moschee, il Monte degli Ulivi, la Tomba di Maria. L’ultimo giorno, venerdì 8 luglio, il gruppo parteciperà alla Messa al Golghota alle ore 7; quindi il trasferimento all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv e rientro in Italia a bordo di un volo ITA Airways.

4 luglio 2022

Con Gesù accanto all’umanità di oggi: i Vespri del cardinale vicario nella basilica di San Giovanni in Laterano

«Le parole dell’Apocalisse, in questo tempo di cammino sinodale – nel contesto della pandemia e di un’ulteriore disastrosa guerra – risuonano nelle nostre comunità come un invito forte a rimetterci in moto, fidandoci dell’azione dello Spirito che scombina i nostri piani per poi ri-creare l’armonia. È un momento di Grazia grande, quello che stiamo vivendo: lo abbiamo sperimentato nelle assemblee sinodali vissute quest’anno, alla luce della Parola delle Beatitudini. È un tempo favorevole, un kairos, in cui siamo chiamati a lasciarci smuovere dal vento dello Spirito e a vincere le tentazioni del si è sempre fatto così, dell’autoreferenzialità, del pessimismo sterile e di quella che Papa Francesco definisce la mondanità spirituale». Il cardinale vicario Angelo De Donatis ha esordito così, questa sera, martedì 28 giugno, nella basilica di San Giovanni in Laterano, in occasione della celebrazione dei primi Vespri della solennità dei santi Pietro e Paolo, patroni di Roma.

Durante la celebrazione, il cardinale vicario ha consegnato ai presenti la sintesi del cammino sinodale fin qui compiuto nella diocesi di Roma (scarica il file in formato PFD), preparata dall’équipe sinodale diocesana e consegnata anche alla Conferenza episcopale italiana. Di seguito la riflessione del cardinale De Donatis.

INTRODUZIONE

“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”(Ap 2,7).
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È un momento di Grazia grande, quello che stiamo vivendo: lo abbiamo sperimentato nelle assemblee sinodali vissute quest’anno, alla luce della Parola delle Beatitudini.
È un tempo favorevole, un kairos, in cui siamo chiamati a lasciarci smuovere dal vento dello Spirito e a vincere le tentazioni del si è sempre fatto così, dell’autoreferenzialità, del pessimismo sterile e di quella che papa Francesco definisce la mondanità spirituale:

Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”. In tutti i casi, è priva del sigillo di Cristo incarnato, crocifisso e risuscitato, si rinchiude in gruppi di élite, non va realmente in cerca dei lontani né delle immense moltitudini assetate di Cristo. Non c’è più fervore evangelico, ma il godimento spurio di un autocompiacimento egocentrico .

La Diocesi di Roma non è esente da queste tentazioni. Nel cammino sinodale che stiamo facendo, ci siamo accorti che spesso nelle nostre comunità ci nascondiamo dietro l’apparenza o ci perdiamo in tante cose da fare, con divisioni di compiti – che per qualcuno diventano spazi di autonomia ed egemonia – ma non sempre con la consapevolezza che stiamo condividendo un unico cammino. In fondo è questo che l’itinerario sinodale vuole aiutarci a maturare. A volte si percepiscono le comunità ecclesiali come istituzioni in cui si propongono tante attività: dovremmo invece fare in modo che siano percepite come il luogo in cui si incontra il Risorto e si sperimenta la paternità di Dio, la sua vicinanza e il suo amore, e la fraternità cordiale tra gli uomini. Consapevoli che non siamo più in un’epoca cristiana, la fede non va più presupposta. Occorre ri-proporla, ritrovando in noi quella gioia contagiosa capace di attrarre altri. Si tratta di ricominciare con un cambiamento di rotta. Ricordiamo cosa disse Papa Francesco alla Diocesi nel maggio 2019:

La prima tentazione che può venire dopo avere ascoltato tante difficoltà, tanti problemi, tante cose che mancano è: “Dobbiamo risistemare la Diocesi, mettere tutto a posto, mettere ordine”. Questo sarebbe guardare a noi, tornare a guardarci all’interno. Si, le cose saranno risistemate e noi avremo messo a posto il ‘museo’. … Questo significa addomesticare le cose, addomesticare i giovani, addomesticare il cuore della gente, addomesticare le famiglie; fare calligrafia, tutto perfetto. Ma questo sarebbe il peccato più grande di mondanità e di spirito mondano antievangelico. Non si tratta di ‘risistemare’”.

Se tutto infatti si risolvesse in un “risistemare le cose” o un tornare a fare le cose di prima, sarebbe indice di uno sguardo miope sulla realtà. È necessario invece avere occhi nuovi, per vedere senza filtri la situazione in cui viviamo dal punto di vista di Dio e riannunciare il Vangelo con la vita all’umanità di oggi, così com’è.
Il Cammino sinodale della Chiesa italiana, giunto alla fine del suo primo anno, ha portato come frutto del lavoro comune l’individuazione di alcuni cantieri pastorali, decisivi per una riforma della Chiesa che non sia un’operazione di “facciata”, ma che punti a mettere al centro la missione evangelica. Si tratta di “cantieri” e non semplicemente di argomenti di riflessione: richiedono tempo, concretezza, motivazione a lavorarci insieme, disponibilità a sperimentare e, quando serve, a correggere il tiro.
In queste linee pastorali faremo volta per volta riferimento a questi cantieri, individuati e rilanciati a livello nazionale, ma emersi con chiarezza anche dalla sintesi dei contributi sinodali raccolti nella nostra Diocesi di Roma: il cantiere dell’ascolto di tutti “i mondi”, il cantiere della corresponsabilità e formazione dei laici e infine quello dello snellimento delle strutture ecclesiali .
Due sono le icone bibliche che accompagneranno il prossimo anno pastorale: quella dell’incontro tra il Risorto e i due discepoli di Emmaus e quella, proposta dal Consiglio Permanente della CEI, di Gesù accolto da Marta e da Maria nella casa di Betania.

1. SULLA VIA DI EMMAUS

Il Signore è risorto e cammina con noi

Andiamo al Capitolo 24 di Luca, alla sera di quel giorno dopo il sabato che ha cambiato la storia.
Era probabilmente il 9 aprile dell’anno ’30; alla sera, due uomini si ritrovano in cammino da Gerusalemme in direzione di Emmaus. Considerando che si muovono quando è ancora giorno e che per compiere undici chilometri occorrono poco più di due ore (probabilmente anche qualcosa di più, considerando come erano le strade a quel tempo) si presuppone che siano partiti intorno all’ora decima, le quattro del pomeriggio. Anche se non si trovano commenti in questo senso, ci piace pensare che i due discepoli incontrino il Signore nella stessa ora dell’incontro di Gesù con i primi due discepoli, come ci racconta l’evangelista Giovanni (cfr. Gv 1,35-39). Come allora, anche oggi tutto nasce (e rinasce) da un Incontro, da un avvenimento che cambia la storia di due persone e la storia di tutti.
Di uno di loro ci viene detto il nome, Cleopa, mentre l’altro rimane innominato. Forse l’evangelista vuole fare spazio ad ogni lettore dicendoci che quell’altro discepolo è ognuno di noi.
I due sono delusi e forse anche arrabbiati, con la vista offuscata dal dolore di una perdita che ha buttato all’aria in poche ore il cammino di tre anni di vita. Sono immagine dell’umanità smarrita davanti al silenzio di Dio sul mistero del dolore, della sofferenza, delle malattie, delle guerre, della morte, sulle grandi domande della vita. È la delusione nei confronti di un Dio che non interviene per salvare il suo Cristo appeso sulla croce e che anzi, nel momento della prova, sembra abbandonarci con indifferenza.
I due di Emmaus sono segno anche di una comunità cristiana che si è fermata alla morte, ad una Quaresima senza Pasqua (cfr. EG 6), una comunità infeconda, caratterizzata dal pessimismo sterile, con un grembo incapace di generare nuove vite. Fermi al “si è sempre fatto così”, non si vedono altre possibilità.
Invece il “Dio indifferente” si fa vicino, compagno di viaggio dell’uomo, ponendosi in ascolto. Sconosciuto viandante, si mette sulla strada e si mostra come ignaro di tutto, mentre era stato il protagonista di quei giorni, a differenza dei discepoli che erano scappati dalla croce.
Il viandante fotografa la loro situazione: separati tra loro e dagli altri, si allontanano abbandonando l’unità della Chiesa, quella per la quale Gesù aveva pregato nell’ultima Cena affidando i suoi discepoli al Padre. Ma i due hanno dimenticato tutte le parole del Gesù, anche quelle in cui annunciava, per ben tre volte, la sua passione e resurrezione; non hanno saputo mettersi in ascolto e custodire la Parola del Maestro
Gesù prende l’iniziativa del dialogo, ma non per rivelare subito che essi hanno torto e che lui è davvero risorto. Non dice che devono fidarsi di quello che le donne hanno raccontato e che devono credere. Chiede loro: Di cosa state parlando? (cfr. Lc 24,17). Inizia da loro. Sono invitati a esprimere la loro perplessità e la loro delusione, la loro rabbia. Non parla, non annuncia, non spiega finché non ha ascoltato.
L’ascolto è davvero il metodo e lo stile della Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, non è un’opportunistica strategia pastorale. È il metodo e lo stile del Signore. Gesù non fa mai “le cose in serie”, ma da persona a persona. Nessun miracolo, ad esempio, è uguale all’altro, ma egli sceglie le parole da dire e i gesti da compiere sulla base a ciò che ha ascoltato nel cuore del suo interlocutore, del suo desiderio di guarigione e di salvezza. Non è un ascolto “salottiero”, come quando si parla del più e del meno, ma un ascolto profondo, frutto dell’amore. Quando la Chiesa si fa prossima e ascolta così, rende presente il Signore che vuole venire incontro a tutti e a tutti rivolgere la sua amicizia.
Così si è espresso Papa Francesco alla preghiera del Regina Coeli di domenica 8 maggio 2022:

Ascoltare significa disponibilità, docilità, tempo dedicato al dialogo. Oggi siamo travolti dalle parole e dalla fretta di dover sempre dire e fare qualcosa, anzi quante volte due persone stanno parlando e una non aspetta che l’altra finisca il pensiero, la taglia a metà cammino, risponde… Ma se non la si lascia parlare, non c’è ascolto. Quanta fatica si fa ad ascoltarsi! Ascoltarsi fino alla fine, lasciare che l’altro si esprima, ascoltarsi in famiglia, ascoltarsi a scuola, ascoltarsi al lavoro, e persino nella Chiesa! Ma per il Signore anzitutto occorre ascoltare. Lui è la Parola del Padre e il cristiano è figlio dell’ascolto, chiamato a vivere con la Parola di Dio a portata di mano.

Sicuramente quello che i due dicono a Gesù: “Sei l’unico straniero a Gerusalemme che non sa quali siano le cose che sono accadute in questi giorni?” (Lc 24,18), è stato detto in modi diversi anche a noi oggi. Mi riferisco al fatto che spesso viene rimproverato a noi sacerdoti, ai religiosi, ma anche ai laici più impegnati in parrocchia: Voi non avete idea di cosa stiamo passando. Molte persone pensano che non ci rendiamo conto delle loro fatiche e delle loro lotte, di cosa significhi essere una giovane donna con un bambino indesiderato in arrivo, o un malato immobilizzato a letto che si augura solo di morire, o un padre senza lavoro con una famiglia da mantenere e delle bollette da pagare. Questa sensazione di non essere capiti si è aggravata durante questa pandemia, in cui abbiamo perso i modi abituali che avevamo di condividere la vita della nostra gente.
Per questo la cosa più essenziale da fare, in questo tempo così particolare, è ascoltare come fa il Signore. È il primo servizio, il primo gesto di amore senza il quale non c’è vita nello Spirito, non c’è annuncio del Vangelo al mondo, non c’è Chiesa.
Le persone hanno sete di questa vicinanza. In una società ricca di strumenti per la comunicazione, si è incapaci di comunicare speranza, soprattutto alle nuove generazioni. La Chiesa è Madre se, facendosi fecondare dalla Parola, si mette in ascolto di tutte le vicende della vita con l’orecchio di Dio e con le parole di Dio. Questo ascolto è già prossimità e annuncio, offerta di vicinanza e “buona notizia” per la vita ferita di tutti. Su questo ascolto dettato dall’amore si innestano le nostre povere parole, che danno testimonianza al Vangelo di Gesù. Se la Chiesa vuole annunciare il Vangelo si fa vicina, perché il Vangelo è vicinanza e ascolto. Altrimenti sta annunciando se stessa.
Ecco allora il primo cantiere della Chiesa italiana, quello dell’ascolto di tutti, delle persone e dei “mondi” a cui appartengono. Nel documento preparato dalla CEI è il cantiere dei villaggi, come Emmaus, come Betania. Siamo discepoli di un Maestro che non aveva strade preferite, ma che preferiva le strade di tutti, entrava in tutti i villaggi (anche in quelli non disposti ad accoglierlo: Lc 9,51-54), si avvicinava a tutti, era accessibile a tutti, soprattutto a chi era abituato a ricevere rifiuti, come i lebbrosi o le persone di cattiva reputazione. Ci siamo chiesti, in uno degli incontri sinodali di quest’anno, con chi fossimo “in debito di ascolto”. Questa prossimità non è un’operazione facile e scontata, chiede di imparare tutti quei linguaggi in cui si esprime la vita di tante persone, linguaggi a cui non siamo abituati, e che talvolta non sono nelle nostre corde.
Per la nostra Diocesi di Roma, come sappiamo bene, si tratta di continuare a custodire questa tensione verso l’incontro con chi ha preso le distanze dalla Chiesa, ben consapevoli che l’ascolto profondo può consegnarci la sorpresa di interiorità abitate dallo Spirito, aperte al Mistero di Dio, portatrici di un’umanità bella e sensibile alle ricchezze del regno; non è quello che ha scoperto Pietro incontrando Cornelio o che ha scoperto Filippo incontrando l’eunuco etiope? Di qui l’invito a tutte le comunità cristiane di continuare con convinzione l’ascolto delle storie di vita, l’elaborazione delle mappature del territorio, coordinati dall’ équipe pastorale parrocchiale, specie se fino adesso ci siamo mossi con timidezza e troppa circospezione.

La Parola che scalda il cuore

Il Risorto apre ai discepoli di Emmaus la mente alla comprensione delle Scritture. “Aprire” è un atto terapeutico, come era accaduto a Zaccaria e al sordomuto. È un “Effetà” necessario che spalanca e riscalda il cuore per poi passare agli orecchi, agli occhi e alla bocca.
La Chiesa ha bisogno di ricevere l’annuncio della Parola che guida e sostiene il cammino dei cristiani .
Nonostante gli itinerari sulla Scrittura, la pratica della lectio divina e della scrutatio si siano diffusi maggiormente in questi ultimi decenni, si deve ammettere che a volte nelle nostre comunità l’ascolto della Parola diventa una tra le varie proposte, ma non ancora la sorgente da cui attingere per tutto. È vero che c’è un diffondersi di attenzione alla Liturgia quotidiana (grazie anche all’uso dei messalini mensili), ma spesso la luce della Parola è ad uso personale; mancano ancora percorsi parrocchiali che facciano leva sulla Parola della domenica e dei giorni feriali .
Dovrebbero moltiplicarsi, nelle nostre comunità, i luoghi dello Spirito dove vivere l’ascolto della Parola; famiglie che meditano la Parola in casa, come succedeva durante il lockdown; gruppi che si incontrano per pregare la Parola, in modo da generare l’omelia grazie all’ascolto reciproco di presbiteri, diaconi, persone consacrate e fedeli laici. Occorre favorire esperienze che prevedano tutte le fasi del percorso della lectio divina, fino al discernimento spirituale, perché si cresca alla luce della Parola sul discernimento di cosa lo Spirito sta dicendo alla Chiesa.
Il cammino fatto sulle Beatitudini a cui sono stati “abbinati” altri passi del Vangelo, ha portato molti frutti. In molte parrocchie, per la prima volta, tutta la comunità nel suo insieme si è riunita per ascoltare la Parola e discernere “ciò che lo Spirito dice alla Chiesa”, rispondendo alle domande del questionario sinodale fatto diffondere dal Papa. Questa esperienza è troppo importante per lasciarla cadere. Per questo, per il prossimo anno proponiamo di continuare a realizzare questi incontri comunitari, sempre con il metodo della conversazione spirituale, utilizzando questa volta “schede” con alcuni brani degli Atti degli Apostoli che descrivono gli incontri tra i discepoli di Gesù e persone “lontane”, non solo dalla fede di Gesù ma anche da quella di Israele.
La meditazione di questi brani ci aiuterà a riconoscere quali dinamiche vanno attivate, che cosa farà accadere lo Spirito in quegli incontri, che strade percorrere per rimanere fedeli alla nostra missione.

2. UN PASSO INDIETRO… A BETANIA

Nostalgia di “casa”

Gesù in cammino ci svela e ci spiega la Scrittura e, nella familiarità con Lui, la sua Parola produce il primo frutto: l’ospitalità. Il Risorto non ha camminato invano. È pronto a fermarsi con noi.
Sappiamo bene che quando l’ascolto è profondo avviene il miracolo dell’ospitalità reciproca: l’altro crea uno spazio nella sua vita per noi e noi apriamo la casa del nostro mondo interiore a lui. È più difficile ospitare o farsi ospitare? Forse nel farsi ospitare siamo più vulnerabili, siamo più esposti all’altro, ci è richiesta maggiore umiltà. Per questo è così bello che ad Emmaus Gesù lasci l’iniziativa ai due discepoli: Resta con noi, perché si fa sera. In questa maniera egli ci insegna che il discepolo missionario non deve preoccuparsi di tutto, pianificare tutto, ma lasciar fare anche ai suoi interlocutori, creando lo spazio perché possa esprimersi la loro ricerca interiore, il loro desiderio di senso, di bellezza, di Dio. Anche in questo lo Spirito Santo ha il primato.
Ascolto e ospitalità ci rinviano ad un passo celebre del Vangelo di Luca, icona biblica del Cammino sinodale del prossimo anno, quello di Marta e Maria, spesso interpretate come le due anime della vita cristiana (e in particolare della vita consacrata): quella contemplativa e quella dell’apostolato diretto. In realtà, proprio perché sorelle, esse vivono e condividono insieme il medesimo compito di accogliere Gesù nella loro casa; insieme condividono la grazia di esser amiche del Signore. Come manifestare anche noi questa nostra amicizia lungo la strada del Cammino sinodale? Accogliendo come Marta (il servizio) dopo aver accolto come Maria (l’ascolto):

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc I 0,38-42).

Gesù ha appena iniziato con decisione il viaggio verso Gerusalemme (cfr. Lc 9,51). In questo cammino ci sono i Dodici e alcune donne (cfr. Lc 8,1-2). C’è un primo nucleo di Chiesa che segue il Signore lungo la via. L’inizio del cammino sinodale è Lui che cammina con noi.

Il cammino di Gesù trova una sosta, grazie all’accog1ienza in una casa . C’è bisogno di un’esperienza domestica, di fermarsi ad incrociare volti, a raccontare ed ascoltare storie. Il Cammino sinodale ha evidenziato la sete di una Chiesa che torni nelle case, a segnare la vita quotidiana, per plasmarla della Parola di Dio. Ricordiamo come il tempo della pandemia, e in particolare del lockdown, abbiano riportato i cristiani a vivere gesti e segni domestici perduti da tempo, a causa dei ritmi frenetici delle nostre giornate. Abbiamo riscoperto la casa come luogo di preghiera e di catechesi. La dobbiamo riscoprire anche come luogo in cui ci lasciamo accogliere e accogliamo gli altri.

Quando Gesù manda i discepoli a predicare, insegna che non dovrebbero portare nulla con loro, “e in qualunque casa entriate, rimaneteci e di là poi partite” (cf. Lc 9,4). Gesù sta alla porta e bussa, e chi gli apre la porta e lo lascia entrare, rimarrà con Lui (cf. Ap 3,20). Quindi il nostro cammino sinodale include l’accettazione dell’ospitalità. Dovremmo imparare sempre l’arte di essere ospiti nelle case e nelle istituzioni di altre persone. Dovremmo, cioè, coltivare l’arte del coraggio di accettare l’invito a “stare in casa” con i giovani, o con gli ammalati o con i lavoratori o con gente più o meno lontana dalla Chiesa. Solo per goderci la loro compagnia, per provare il piacere di stare con loro. “Resta con noi, perché è sera e il giorno già volge al suo declino” (cf. Lc 24,29). Se vogliamo che siano a casa nella Chiesa, dovremmo ad un certo punto essere a casa con loro .

Ecco qui il secondo importante cantiere pastorale per il prossimo anno, quello che il testo della CEI indica come il cantiere delle case. Spesso pensiamo che per la missione della Chiesa siano necessarie strutture efficienti e ben organizzate. Sono utili, ma in realtà l’esperienza vissuta ci dice che l’essenziale della vita della Chiesa, che è la fede e la relazione tra cristiani, chiede soltanto la casa, l’ospitalità reciproca: tra il Signore e noi, tra i fratelli della comunità cristiana, tra i cristiani e tutti gli uomini.
La Chiesa è invitata ad assumere un volto domestico, vale a dire essere sempre più famiglia e sempre meno azienda. Una casa per tutti, con grandi finestre e grandi porte, per permettere a tanta luce e a tante persone di entrare, percependo che l’ingresso è “a bassa soglia”: è richiesto solo di essere persone che si portano nel cuore domande autenticamente umane, che hanno voglia di ascoltare e di condividere. Questa casa è tale perché mette al centro la relazione con Dio e quella con tutti gli uomini: per questo non blinda le uscite, non alza muri divisori, ma favorisce l’incontro con tutti. La Chiesa esiste non per se stessa ma per l’annuncio e il servizio al regno. Una Chiesa che “mette su un cantiere” per essere sempre più “casa”, accetta la sfida della semplificazione e dello snellimento della sua vita e soprattutto delle sue strutture, puntando su ciò che è essenziale.
È un cantiere che parte dalla consapevolezza che la vita concreta delle nostre comunità ha bisogno di una sincera ed onesta verifica: cosa il Signore ci chiede di abbandonare, cosa dobbiamo invece custodire come un bene prezioso, cosa va invece conservato. La Chiesa è chiamata a riformare la sua vita mettendo al centro tutto ciò che serve a far sì “che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori”, faccia casa nella nostra vita e nella vita della Chiesa. L’ospitalità reciproca tra i fratelli è il segno più evidente che il Cristo ha preso dimora dentro di noi e che l’amore che Lui ci ha donato diventa la sostanza dell’amore che ci scambiamo tra di noi e che offriamo a tutti gli uomini.
Come può essere tradotto questo nel cammino pastorale del prossimo anno?
All’interno delle schede per gli incontri sinodali inseriremo le domande che riguardano questo cantiere, in modo che esse possano diventare oggetto di riflessione e di verifica per tutta la comunità parrocchiale e di proposte per la riforma della concreta vita delle comunità.
Custodiamo e sosteniamo questo segno così importante, quello vissuto nella pandemia, di famiglie cristiane che pregano insieme e che ascoltano la Parola di Dio (o di gruppi ecclesiali che si riuniscono in casa); è un segno che ci fa bene, ci ricorda sempre l’indispensabile volto domestico della Chiesa.
Per favorire l’incontro con tutti si potrebbero progettare, nei tempi forti di Avvento e Quaresima, delle visite in casa di famiglie e persone che non partecipano abitualmente alla vita della comunità cristiana (es. vicini di casa, colleghi di lavoro, genitori dei bambini della catechesi e dei ragazzi dell’oratorio…). Si tratta di dare concretezza all’accettazione dell’ospitalità, che consiste nel secondo passo del metodo usato da Gesù per riportare alla speranza i discepoli delusi e smarriti.
Nella stessa logica continuiamo il lavoro dei “tavoli di ascolto”, realizzati dagli Uffici pastorali del Vicariato, così da creare reti di contatti e di condivisioni tra istituzioni e soggetti della società civile che operano in determinati ambiti (educativo, culturale, di solidarietà, della comunicazione, ecc.). Anzi, sarebbe meglio moltiplicarli nei territori, organizzati da équipe pastorali di prefettura, da costituirsi in ogni prefettura con lo scopo di collaborare insieme tra parrocchie per condividere e portare avanti il dialogo e l’azione nel territorio, in vista della costruzione di una “casa comune” dove sentirsi tutti accolti. Vi invito a ripetere anche il prossimo anno l’esperienza della Veglia dell’Ascensione di prefettura, valorizzando e coinvolgendo le comunità nazionali e le comunità etniche presenti a Roma: è un bel segno per la nostra città, chiamata ad una vocazione cosmopolita ma così tentata dalla chiusura e dal rifiuto.


La duplice accoglienza e la corresponsabilità

Riprendiamo la riflessione sul racconto evangelico di ciò che avviene nella casa di Betania. Gesù si ferma e ci invita a fermarci, grazie a due donne che non sono in contrapposizione, ma che sono chiamate a scoprire il duplice volto dell’accoglienza, perché l’ascolto sia l’anima del servizio. Abbiamo ben presente la scena. Marta si sta preoccupando e agitando, ossia “si occupa prima” di cose, pure importanti, ma che devono venire dopo quella che è la parte migliore: l’ascolto. Marta deve capire che l’accoglienza primaria è quella di ascoltare Gesù.
La sintesi del Cammino sinodale ha evidenziato che in tante comunità si fanno tante cose, ma poco ascolto. Maria ai piedi di Gesù ci esorta quindi a stabilire le giuste priorità, non moltiplicando i servizi ma mettendoci alla scuola di Gesù perché maturi in noi il cuore del servitore: è necessario innestare più profondamente le motivazioni degli operatori pastorali nella Parola di Dio e nei contenuti della fede, senza i quali il servizio verso la persona nel bisogno scade a prestazione verso il bisogno della persona. A questo proposito scrive così don Tonino Bello, commentando il gesto della lavanda dei piedi:

«Dobbiamo essere dei contempl-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione. La contemplattività, con due t, la dobbiamo recuperare all’interno del nostro armamentario spirituale. Allora comprendete bene: “si alzò da tavola” vuol dire la necessità della preghiera, la necessità dell’abbandono in Dio, la necessità di una fiducia straordinaria, di coltivare l’amicizia del Signore, di poter dare del tu a Gesù Cristo».

Nella sua agitazione, una ragione Marta ce l’ha: “Non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille che mi aiuti”, il servizio non si fa “in solitaria”, ma domanda corresponsabilità. Solo che Marta avrebbe dovuto prima aiutare Maria ad ascoltare e poi Maria avrebbe aiutato Marta a servire, ma senza affanni. Spesso si nota, infatti, nelle nostre comunità, un prodigarsi per le cose da fare, con lo scopo di mantenere le strutture e far quadrare i conti, trascurando le relazioni e la comunione ecclesiale. A volte lo si nota nei presbiteri stessi, sempre di corsa, oberati e affannati, con poco tempo per dedicarsi alla missione di evangelizzare e accompagnare i cammini spirituali dei fedeli, e con poca apertura nel rendere i laici non solo collaboratori – se non esecutori – ma corresponsabili. A questo proposito risulta molto attuale e profetico il discorso che Papa Benedetto XVI rivolse ai parroci della Diocesi di Roma nel 2009:

Troppi battezzati non si sentono parte della comunità ecclesiale e vivono ai margini di essa, rivolgendosi alle parrocchie solo in alcune circostanze per ricevere servizi religiosi. Pochi sono ancora i laici che sono pronti a rendersi disponibili per lavorare nei diversi campi apostolici.
È necessario migliorare l’impostazione pastorale, così che, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, si promuova gradualmente la corresponsabilità dell’insieme di tutti i membri del Popolo di Dio. Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli “collaboratori” del clero a riconoscerli realmente “corresponsabili” dell’essere e dell’agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato. Questa coscienza comune di tutti i battezzati di essere Chiesa non diminuisce la responsabilità dei parroci. Tocca proprio a loro promuovere la crescita spirituale e apostolica di quanti sono già assidui e impegnati nelle parrocchie: essi sono il nucleo della comunità che farà da fermento per gli altri. Affinché tali comunità, anche se qualche volta numericamente piccole, non smarriscano la loro identità e il loro vigore, è necessario che siano educate all’ascolto orante della Parola di Dio, attraverso la pratica della lectio divina… Nutriamoci realmente dell’ascolto, della meditazione della Parola di Dio .

Non è un caso che dalla consultazione sinodale sia emersa con tanta chiarezza la necessità di un cantiere dedicato alla corresponsabilità e alla formazione dei fedeli laici, che nel linguaggio del documento della CEI è chiamato il cantiere delle diaconie. Le nostre grandi parrocchie romane, spesso così attive e vivaci, per quanti sforzi facciano, non raggiungono tante persone. Il senso di anonimato e di abbandono che molti sperimentano nella nostra città è spaventoso. Perché le nostre comunità realizzino nel concreto la prossimità verso tutti, è necessario attivare un dinamismo opposto a quello dell’accentramento, tanto più se prende la forma del “clericocentrismo”.
Una comunità cristiana articola in maniera sempre più ricca la sua vita e la sua missionarietà, se non vengono posti freni o impedimenti arbitrari all’iniziativa dello Spirito che suscita ministeri e carismi. Anche la rivisitazione dei ministeri laicali, con l’introduzione del ministero del catechista e la possibilità a uomini e donne di accedere ai ministeri istituiti, va nella direzione di una Chiesa aperta alle infinite possibilità offerte dallo Spirito, che suscita sempre persone al servizio della diffusione e crescita del regno.
In questo cantiere dovremo lavorare quest’anno per favorire la vitalità degli organismi di partecipazione laicale parrocchiali (équipe, consiglio pastorale, consiglio affari economici, ecc.), di prefettura (in molti casi da creare) e diocesani, e la formazione di laici presenti e attivi nei nostri quartieri, superando il blocco delle anacronistiche “competenze territoriali” della divisione delle parrocchie. Dovremo tra l’altro ridefinire, sulla base delle mappature elaborate e in via di elaborazione, i confini delle parrocchie e delle prefetture.
Il Vangelo di Betania ci dice che al cuore della formazione di tutti i discepoli missionari c’è il primato dell’ascolto della Parola, dell’ospitalità offerta al Signore nella propria vita. A questa scuola impariamo che non c’è bisogno di “agitarsi e di affannarsi” in mille servizi, ma che insieme siamo chiamati a vivere la missione nei nostri territori con il primato del servizio di Maria, che è fatto di accoglienza, ascolto, testimonianza resa con le parole e con la vita all’annuncio del Signore.
Senza questo contesto di relazioni umane e umanizzanti, impregnate di Vangelo, l’azione della comunità cristiana diventa uguale e concorrente a quella di associazioni e cooperative laiche presenti nei nostri territori.
La formazione che la Diocesi offre a tutti gli operatori pastorali, non solo ai ministri istituiti, va meglio impostata in questa chiave del primato della dimensione spirituale, in modo da offrire una base forte di motivazioni al servizio. Le formule organizzative dovranno essere ripensate sulla base delle disponibilità effettive delle persone, tenendo conto dei ritmi della vita adulta e del necessario decentramento delle proposte. Si apre davvero un cantiere, che sarà molto promettente per il futuro della Chiesa di Roma.


3. DALLA PRIMA MESSA DOMENICALE ALLA VITA DI OGNI GIORNO…

Ritorniamo ora al brano di Luca 24, il racconto dei due discepoli di Emmaus. Siamo rimasti al momento in cui i discepoli si fermano, mentre Gesù sta per andare più lontano… I due insistono perché possa rimanere con loro, con quella invocazione che ha attraversato i secoli, diventando la preghiera più comune, più recitata e più cantata: “Resta con noi, perché si fa sera”.
Il luogo dove rimangono (dopo il Cenacolo, la prima Domus Ecclesiae) ci fa pensare alla nostra esperienza nel Giorno del Signore, alla centralità della liturgia nella vita di una comunità. Il desiderio comune è che la Messa domenicale sia esperienza di familiarità e di festa, di intimità e di incontro, di ricarica e di gioia, con l’anima “infiammata” dalla liturgia e da omelie che riscaldano il cuore.

La frazione del Pane

Il Risorto accolto come ospite fa fare l’esperienza del “rimanere con Lui”, come era accaduto ai due discepoli dopo il primo incontro, raccontato da Giovanni. Allora il quarto evangelista aveva scritto: “andarono con lui, videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui” (Gv 1,39). Non ci era stata descritta una casa, un luogo particolare, ma era stato consegnato un verbo: Abitare, dimorare, rimanere. Poco a poco i discepoli capiranno che l’abitazione del Maestro non è un luogo ma una Persona: il Padre, nella cui casa ci sono molte dimore (Gv 14). Possiamo credere che anche nella casa-locanda di Emmaus i discepoli abbiamo fatto l’esperienza, con l’amicizia di Cristo, della paternità di Dio. Allo spezzare del Pane – dopo che Gesù ha reso grazie al Padre – i discepoli non si sentono più orfani. Hanno riconosciuto il Figlio e, con Lui, hanno avvertito la presenza del Padre.
Hanno gustato nel Pane – su cui era discesa la rugiada dello Spirito – la presenza reale del Risorto, nella prima messa della storia, dopo una lunga Liturgia della Parola e un’intensa e sorprendente Liturgia Eucaristica.
Gesù sparisce alla loro vista perché è ormai presente in mezzo a noi, fino alla fine dei tempi, nella Parola e nell’Eucaristia, grazie allo Spirito del Padre. La fede non può avere a che fare con i fantasmi, ma è relazione con il Vivente che ha un corpo glorioso e trasfigurato, in cui rimangono per sempre le ferite dell’Amore, feritoie attraverso le quali passano raggi di paternità. Rendendo presente il Risorto, noi offriamo al mondo l’esperienza di una paternità di cui tutti hanno un’ardente sete.

Ritorno a Gerusalemme

Ora i due di Emmaus non temono più di tornare a Gerusalemme e, anche se è notte, corrono senza paura per annunciare agli altri che hanno visto Gesù. Ci piace pensare che corrono stringendo tra le mani il Pane di cui avevano mangiato un frammento, per portarlo nel Cenacolo e condividerlo con gli altri scoprendo che quelli avevano già accolto l’immensa gioia della Resurrezione, avendo creduto al racconto di una apparizione a Simon Pietro. E lì scoprono che il Signore li ha preceduti. Mentre essi parlano di queste cose, Gesù in persona sta in mezzo a loro e dice “Pace a voi!”. Ogni volta che si narra e si condivide la fede nel Risorto, Egli sta in mezzo e si manifesta. Il suo amore ci precede e ci accompagna.
Si, carissimi! Noi non sappiamo bene dove il Signore ci condurrà, attraverso il Cammino sinodale, attraverso il cammino dei sette anni fino al Giubileo del 2025, attraverso il lavoro di questi tre cantieri a cui si aggiungerà un quarto che individueremo insieme. Sappiamo solo che il Risorto non rimane nel Cenacolo, ma ci dà appuntamento nelle “Galilee delle Genti”, nei crocevia della storia, lì dove c’è un’umanità ricca e variegata, simile e diversa dalla nostra. Lui è lì.
È risorto e presente lì; non aspetta i nostri tentennamenti e le nostre resistenze, ma anticipa le nostre mosse con la sua iniziativa. Si sta già delineando la figura della Chiesa del prossimo futuro, la sta già tracciando il Signore di suo pugno, giorno dopo giorno. Inutile cercarla nelle sagrestie e nei locali che sanno di chiuso delle nostre strutture invecchiate.
La Chiesa del futuro è lì dove c’è questa nostra umanità nuova, ferita e incerta, appassionata ma pronta a ripartire, perché non si rassegna e cerca ancora il senso delle cose, lì c’è il Signore, lì sta emergendo il nuovo della Chiesa. Facciamoci trovare lì. Non lasciamo solo il Signore. Umili e appassionati. Desiderosi di accoglierlo ancora una volta, determinati a ripartire come dei pazzi anche se è notte. Proveremo l’ebbrezza e la vertigine del Nuovo che Dio immette nella storia di questa nostra città, di questa nostra Chiesa di Roma.
Così sia! Coraggio, con gioia, si riparte!

28 giugno 2022

Con Caritas e Poste il mercatino dei “Valori ritrovati”

Sabato 13 aprile, dalle ore 10 alle 18, la Cittadella della carità (via Casilina vecchia, 19) ospiterà il primo Mercatino dei “Valori ritrovati” promosso dalla Caritas di Roma con Poste Italiane Spa. L’iniziativa, promossa nell’ambito del progetto “Valori ritrovati”, verrà realizzata con i “pacchi anonimi”, che non sono stati recapitati e non vengono reclamati, che Poste Italiane ha ceduto all’organismo diocesano.

Verranno esposti libri, giocattoli, Cd, piccoli elettrodomestici, oggettistica, computer, cellulari, accessori di informatica, oggetti per la casa. Il ricavato contribuirà alla creazione di un fondo di solidarietà che ha l’obiettivo di sostenere l’inclusione lavorativa di adulti in difficoltà.

10 aprile 2019

Con Caritas e Croce Rossa apre a Roma la prima struttura-ponte per i senza dimora

La Caritas di Roma e la Croce Rossa Italiana (CRI) inaugurano oggi la prima “struttura-ponte” di accoglienza di tipo socio-sanitario per persone senza dimora della Capitale. Si tratta di un centro, attivo per 15 settimane, che servirà a effettuare una pre-accoglienza di dieci giorni con un parallelo screening sanitario in isolamento fiduciario al fine di garantire un successivo ingresso in sicurezza nelle strutture comunitarie quali ostelli e centri parrocchiali allestiti dalla Diocesi di Roma e dalle altre organizzazioni sociali.

La struttura-ponte, che aprirà oggi (7 gennaio) alle 16.30 con i tamponi effettuati agli ospiti dal personale sanitario della Croce Rossa Italiana, è allestita nei locali dell’Ostello “Don Luigi Di Liegro” alla Stazione Termini (via Marsala, 109). Il centro della Caritas, che fino allo scorso novembre ospitava 180 persone senza dimora, verrà quindi riconvertito per ospitare in pre-accoglienza fino a 60 ospiti. La Caritas ha predisposto altre due strutture – Villa Letizia e Villa Trionfale – in cui da dicembre ha trasferito coloro che erano residenti nell’Ostello e che sono stati messi in sicurezza dopo la diffusione di un contagio all’interno. In questo modo è garantita la permanenza in situazione di sicurezza e nel rispetto della normativa sanitaria vigente.

La struttura-ponte rappresenta un servizio innovativo che funziona come centro di raccordo, anello mancante tra gli ingressi di persone dall’esterno a cui va accertata la condizione relativa al Sars-Cov-19 e la rete delle strutture tradizionali che non possono effettuare tale screening sanitario e isolamento adeguato. In tal modo verrà garantita la tutela della salute pubblica e la prosecuzione in sicurezza dell’accoglienza per le povertà estreme – in particolare offerta dalle parrocchie – soprattutto in un periodo, quale quello invernale, in cui è urgente ampliare la rete di accoglienza pur facendo fronte alle nuove esigenze di sicurezza determinate dall’emergenza sanitaria in atto.

Di fronte a una situazione critica – da una parte la pandemia e dall’altra il freddo e le piogge insistenti – è richiesto di agire tempestivamente con l’obiettivo di non fare mancare l’assistenza sociale ordinaria e straordinaria che viene fornita alle persone senza dimora – l’accoglienza notturna in strutture comunitarie – ma anche di garantire, al contempo, un elevato controllo del rischio di diffusione di contagi da Sars-Cov-19. Come ogni anno, inoltre, la Caritas di Roma ha attivato le equipe del Servizio Notturno Itinerante con operatori e volontari che, a partire dalle ore 20, ogni sera andranno a presidiare le zone in cui le persone senza dimora rischiano di rimanere isolate ed emarginate. Così come restano attive, come sempre, le unità di strada del Comitato Croce Rossa di Area Metropolitana di Roma Capitale per portare assistenza e cura alle persone che vivono in strada.

La Caritas attiva inoltre un centralino telefonico al numero 334.6735831 e la casella email servizioitinerante@caritasroma.it a disposizione di chiunque intenda segnalare situazioni di particolare disagio e grave emarginazione su cui intervenire. Sempre per far fronte alle maggiori richieste che giungeranno, la Caritas invita tutti i romani alla donazione di coperte e sacchi a pelo da distribuire alle persone in difficoltà. La raccolta avverrà presso l’ostello la Cittadella della Carità (via Casilina, 144) tutti i giorni dalle ore 14 alle ore 20.

«Mai come in questo momento le persone più fragili si sentono sole e abbandonate. Anche il mondo del volontariato, che all’inizio della pandemia aveva visto rivitalizzarsi lo spirito di solidarietà e partecipazione civile, vive in queste fasi un senso di scoramento e sfiducia nelle Istituzioni. Per mesi abbiamo chiesto a Comune di Roma, Regione Lazio e Prefettura di programmare procedure e spazi di accoglienza straordinari anche per i senza dimora almeno durante i mesi invernali: purtroppo la risposta sono state solo promesse e scarico di responsabilità. Oggi inauguriamo quello che vuole essere un’opera che, seppure modesta rispetto agli enormi bisogni, desidera mostrare come è possibile indirizzare le energie del mondo ecclesiale e del volontariato. Come ci ha ricordato il nostro vescovo, papa Francesco: le cose andranno meglio nella misura in cui, con l’aiuto di Dio, lavoreremo insieme per il bene comune, mettendo al centro i più deboli e svantaggiati. Ringrazio la Croce Rossa Italiana che, ancora una volta, è al nostro fianco in questo ambizioso progetto». Così don Benoni Ambarus, direttore della Caritas di Roma.

«La Croce Rossa Italiana nasce per essere al fianco di ogni vulnerabilità. In un momento così difficile a livello globale, le persone senza dimora vivono un dramma nel dramma: alla marginalizzazione si aggiunge il rischio più elevato di contagio da Covid-19 nell’assenza di assistenza sanitaria. Per questo motivo siamo contenti e onorati di questa collaborazione con la Caritas, cui va il nostro sincero grazie. La ‘struttura ponte’, una realtà che mancava, rappresenta una risposta concreta ai bisogni di tante persone ed è particolarmente importante per contenere la diffusione del virus nella Capitale. I nostri operatori sanitari forniranno, come sempre, non solo assistenza ma anche ascolto, calore, umanità. Perché nessuno è al sicuro finché non siamo tutti al sicuro». Così Francesco Rocca, Presidente della Croce Rossa Italiana.

7 gennaio 2021

Comunità guatemalteca: celebrazione di intronizzazione dell’immagine del Senor de Esquipulas a Santa Maria della Luce

Comunità guatemalteca: celebrazione di intronizzazione dell’immagine del Senor de Esquipulas a Santa Maria della Luce, a cura dell’Ufficio Migrantes.

Comunità energetiche, incontro a Torre Spaccata

La parrocchia di San Bonaventura da Bagnoregio a Torre Spaccata (via Marco Calidio, 22) ospita, mercoledì 28 alle ore 18.30, l’incontro sul tema “Una comunità energetica per Torre Spaccata”. L’appuntamento si terrà nella Sala San Bonaventura ed è aperto a tutti. Interverranno Estella Marino, assessore del VII Municipio con deleghe inerenti politiche ambientali e decentramento; Andrea Micangeli, professore all’Università La Sapienza, alla State University of New York e alla Strathmore University di Nairobi; Riccardo Troisi, del Coordinamento Cers Roma; Oliviero Bettinelli, vicedirettore dell’Ufficio per la pastorale sociale, del lavoro e della cura del Creato della diocesi di Roma.

«Rifletteremo sulla possibilità di creare queste comunità energetiche nei quartieri attorno alle parrocchie – dice il parroco don Stefano Cascio –. È un tema bello per la vita pastorale, perché comunità energetica non è solo risparmiare con il fotovoltaico, ma è cerare un senso di comunità nel quartiere e significa tutelare il Creato, come ci richiama a fare Papa Francesco nella Laudato si’ e nella Laudate Deum».

23 febbraio 2024

Comunità e orfananza: il nuovo video della Pastorale giovanile sull’ascolto

È dedicato a “Comunità e orfananza” il nuovo video sull’ascolto preparato dal Servizio diocesano per la pastorale giovanile, disponibile sui canali social dell’ufficio diocesano. Al centro la riflessione sull’autorità, sulla comunità e sul “sentirsi orfano” di figure di riferimento credibili.

«L’obiettivo – spiega il direttore don Alfredo Tedesco – è far confrontare i ragazzi con argomenti che solitamente non vengono loro sottoposti, senza però indirizzarli verso una risposta precostituita o un’offerta formativa, ma limitandosi ad ascoltare i loro pensieri e i loro sentimenti; possono così emergere spunti utili, tali da permettere un dialogo nuovo, partendo proprio dalle stesse parole dei ragazzi che hanno partecipato al video».

Lo strumento utilizzato prevede l’intervista di un campione di ragazzi che sia espressione del target di riferimento, ovvero giovani di età compresa tra i 14 e i 22 anni provenienti dalle diverse aree di Roma e rappresentativi di ogni ceto sociale. Gli interventi dei ragazzi confluiscono poi nei video. Successivamente, attraverso le modalità del “focus group”, i video vengono anche sottoposti a diversi gruppi giovanili per le loro osservazioni.

11 maggio 2021

Comunicazione per i parroci della diocesi di Roma

Si riporta di seguito uno stralcio della notificazione dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, destinata ai parroci della diocesi di Roma

“Mercoledì 23 aprile 2025 alle ore 9.00, la bara con il defunto Romano Pontefice Francesco sarà portata dalla Cappella della Domus Sanctæ Marthæ alla Basilica Papale di San Pietro, secondo quanto previsto nell’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis (nn. 41-65). I parroci della diocesi di Roma sono invitati a trovarsi in Piazza Santa Marta alle ore 8.30, indossando l’abito corale loro proprio”.

22 aprile 2025

Comunicazione della diocesi di Roma in seguito al decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2020

Di seguito la comunicazione di monsignor Pierangelo Pedretti, prelato segretario del Vicariato, per i sacerdoti e i fedeli della diocesi di Roma.

«Il cammino spirituale della Quaresima 2020 ha assunto una forma inedita a causa dell’emergenza sanitaria internazionale legata al covid-19. La Chiesa di Roma risponde con fede, riproponendo i mezzi tradizionali della lotta spirituale: preghiera, digiuno, carità. I presenti orientamenti vogliono dare forma concreta al modo di vivere questi strumenti ordinari dell’itinerario quaresimale nell’attuale contesto, richiamando a una particolare responsabilità tutti i sacerdoti e i diaconi coinvolti a diverso titolo nella pastorale diocesana (parroci, rettori di chiese, cappellani), le comunità religiose e tutti i fedeli.

In data 4 marzo 2020 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha emanato un Decreto che contiene disposizioni puntuali atte a fronteggiare l’emergenza su tutto il territorio nazionale. La comunità diocesana di Roma accoglie con fiducia tali indicazioni, a tutela del bene comune e della salute pubblica. In particolare, ci viene chiesto di collaborare per evitare un ulteriore incremento del numero dei contagiati, che potrebbe portare le strutture ospedaliere al collasso.

Ciò detto, ci richiamiamo all’indicazione di carattere generale dell’art. 1, comma 1, lettera b) del predetto Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri: “sono sospese le manifestazioni e gli eventi di qualsiasi natura, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro (…)”.

In data 5 marzo 2020, l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana ha emanato un comunicato stampa nel quale prende atto che “le misure adottate mettono in crisi le abituali dinamiche relazionali e sociali. La Chiesa che è in Italia condivide questa situazione di disagio e sofferenza del Paese e assume in maniera corresponsabile iniziative con cui contenere il diffondersi del virus.”

Pertanto, si dispone che nella nostra Diocesi le attività pastorali non sacramentali rivolte a gruppi di fedeli (per esempio, i catechismi dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, i corsi di preparazione al matrimonio e di accompagnamento delle coppie, i ritiri e gli esercizi spirituali, i pellegrinaggi, le attività associative e oratoriali, i percorsi di fede di giovani adolescenti e adulti, e in generale tutte le attività di gruppo) siano sospese fino al 15 marzo p.v., così come le Autorità hanno disposto per le Istituzioni Scolastiche di ogni ordine e grado e per le Università.

Invece, sono consentite le celebrazioni liturgiche feriali e festive, purché il luogo di culto consenta di rispettare le misure di precauzione ritenute fondamentali dalle Autorità competenti, in particolare quella di mantenere almeno un metro di distanza tra le persone. Valgono altresì le indicazioni già fornite nella Comunicazione della Segreteria Generale del Vicariato di Roma del 3 marzo u.s.: “omissione del segno dello scambio di pace, ricezione della Santa Comunione sulla mano e svuotamento delle acquasantiere”. Chi avesse difficoltà o comunque lo ritenesse più opportuno, potrà predisporre delle celebrazioni all’aperto. Soprattutto nel Settore Centro, si invitino i fedeli a partecipare alle celebrazioni nelle chiese più grandi.

Particolare attenzione andrà riservata alle categorie più deboli, per le quali nel predetto Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri all’art. 2, lettera b) si suggerisce: “è fatta espressa raccomandazione a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità, ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.

Pertanto, si dispone che le visite ai malati siano effettuate rispettando ancor più rigorosamente le condizioni di carattere generale di cui sopra (distanza minima e igiene), utilizzando per quanto possibile le apposite mascherine e limitando le occasioni di interazione con i medesimi soggetti deboli all’amministrazione di Sacramenti e Sacramentali. Si consiglia altresì che siano rinviate a dopo Pasqua le benedizioni delle famiglie, se le circostanze – da valutarsi – lo permetteranno.

Le comunità parrocchiali, in particolare, sono invitate a non interrompere le attività dei servizi caritativi, coordinandosi con la Caritas diocesana, che è a completa disposizione per fornire tutte le necessarie indicazioni del caso (Area Promozione Umana: tel. 06.88815130; e-mail: promozioneumana@caritasroma.it).

In particolare, si invitano le Caritas parrocchiali e tutti i gruppi di volontariato presenti nelle parrocchie a promuovere iniziative di vicinanza agli anziani soli che vivono nel loro territorio perlomeno attraverso contatti telefonici. Le attività dei Centri di Ascolto parrocchiali potranno continuare laddove il servizio si riesca a svolgere in locali caratterizzati da ampi spazi, ben areati ed igienizzati, evitando in ogni caso assembramenti di persone. Per questo si raccomanda di fissare appuntamenti con le persone assistite e di non incentivare l’apertura indiscriminata, onde evitare assembramenti. Gli stessi criteri dovranno essere usati per l’apertura degli Empori della Solidarietà e per i centri di distribuzione degli alimenti. Si consiglia invece la sospensione dell’attività dei centri di distribuzione del vestiario, soprattutto per quello che riguarda la raccolta di abiti usati.

Le parrocchie, le rettorie e gli altri soggetti ecclesiali che hanno attivato una mensa sociale sono invitati a non interrompere il servizio e ad attenersi alle indicazioni che la Caritas diocesana predisporrà, ricevute le opportune indicazioni da Roma Capitale; in particolare, in ogni caso, si invita a favorire la distribuzione di alimenti da asporto da non consumarsi nei locali parrocchiali.

Le parrocchie che svolgono attività di accoglienza, con ospitalità di senza dimora e di richiedenti asilo, possono continuare senza problemi tale iniziativa cercando di favorire la permanenza degli ospiti nella struttura anche durante le ore diurne. Dove sussistano servizi docce e cambio biancheria si richiede massima attenzione per operatori e volontari; anche qui si raccomanda di svolgere il servizio in ampi spazi, ben areati e igienizzati, evitando assembramenti di persone.

In spirito di comunione, la comunità diocesana di Roma, per il bene di tutti i cittadini ed in particolare delle categorie più deboli, affida alla Salus Populi Romani il cammino verso la Pasqua di Nostro Signore Gesù Cristo».

5 marzo 2020

Comunicazione del Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma

Ai sacerdoti, ai diaconi,
ai religiosi, alle religiose
e a tutti i fedeli della Diocesi di Roma

Carissimi,

il mese di novembre ci invita ad offrire il nostro suffragio per i defunti e sento forte l’esigenza di ritrovarci come Presbiterio diocesano e Popolo santo di Dio per pregare insieme ricordando i sacerdoti della nostra Diocesi che sono entrati nella vita eterna nell’anno 2017.
Celebreremo insieme la divina Eucarestia sabato 18 novembre alle ore 11.00 nella Basilica di San Giovanni in Laterano.
Auspico che le comunità parrocchiali che hanno avuto come loro pastore uno dei confratelli defunti sentano forte l’esigenza di unirsi a noi per pregare.

Con la mia benedizione

+ Angelo De Donatis Vicario di Sua Santità per la Diocesi di Roma

Comunicazione del Vicariato di Roma

Stamane, lunedì 8 aprile, si è svolto nel Palazzo Apostolico un incontro del Santo Padre con il Consiglio Episcopale della diocesi di Roma.

Per la delicatezza dell’incarico di Cardinale Vicario, Papa Francesco ha comunicato ai vescovi, suoi stretti collaboratori, che si prenderà del tempo per operare un sano discernimento sulla figura di chi ricoprirà tale ruolo. In questa fase di transizione il Santo Padre ha incoraggiato i vescovi a continuare il ministero pastorale e le attività amministrative già precedentemente avviate.

Come previsto dall’Articolo 14 § 3 della Costituzione Apostolica In Ecclesiarum Communione circa l’ordinamento del Vicariato di Roma, fintantoché l’ufficio di Cardinale Vicario sarà vacante, tutte le sue funzioni e poteri, anche di legale rappresentanza, saranno esercitati dal Vicegerente Monsignor Baldassare Reina.

Completato il restauro a San Giuseppe dei Falegnami

Si vedono le figure di san Pietro e di san Paolo, gli angeli, le decorazioni. Il cassonettato della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami – crollato il 30 agosto del 2018 – è di nuovo al suo posto, nella chiesa sopra al Carcere Mamertino. Avrebbe dovuto infatti riaprire al pubblico proprio il 19 marzo, in occasione della festa di san Giuseppe, ma per via dell’emergenza sanitaria in corso non è stato possibile. In compenso, un video che mostra il restauro è visibile, da ieri, sul sito della chiesa dei Fori (https://www.sangiuseppedeifalegnami.org/). Il progettista e direttore dei lavori Alessandro Bozzetti (Studio Croci e associati), accompagnato dal rettore e vescovo Daniele Libanori e dal direttore dell’Ufficio per l’edilizia di culto del Vicariato don Pierluigi Stolfi, illustra il restauro e mostra la bellezza del prezioso soffitto ligneo.

La soprintendente Daniela Porro loda la «straordinaria sinergia» che ha visto lavorare insieme Vicariato, Soprintendenza, maestranze e completare il restauro «a tempo di record». «È stato possibile ricostruire come un enorme puzzle questo manufatto straordinario realizzato all’inizio del Seicento su disegno del Montano», dichiara Porro nel video, sottolineando come «il 90% di tutte le porzioni figurate» siano state recuperate. «È veramente un peccato che a causa di questa emergenza oggi non sia possibile festeggiare san Giuseppe nella chiesa dei Falegnami di nuovo riaperta al pubblico – dice Porro –, ma sicuramente entro l’anno riusciremo in questa bellissima impresa».

Le fa eco monsignor Libanori: «Commovente poter tornare quassù proprio nella festa di san Giuseppe e ammirare il restauro perfetto che è stato eseguito in un tempo veramente molto breve», confessa emozionato. «Dispiace – ammette – che oggi (ieri 19 marzo, ndr) non abbia potuto venire il pubblico che si attendeva come già nell’apertura natalizia, ma è soltanto rimandato perché, come speriamo tutti, nella ricorrenza magari del primo maggio, in cui si ricorda san Giuseppe lavoratore, le persone possano accedere in questo che ormai è un cantiere in chiusura».

20 marzo 2020

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