17 Agosto 2025

«Si compia in noi il mistero del Natale»

«In questa notte di Natale si accenda in noi la luce della contemplazione silenziosa e adorante di questo Mistero che si rivela al nostro sguardo: Dio in un bambino. In questa notte, infatti, noi vogliamo, prima ancora che riflettere, entrare nello stupore di chi ammira con occhi nuovi questa scena che il Vangelo di Luca ci annuncia: per noi, per ciascuno di noi nasce un Salvatore, che si nasconde e insieme si rivela nel segno di un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

Il cardinale vicario Angelo De Donatis ha esordito così, nell’omelia pronunciata nella Messa della Notte di Natale, celebrata nella basilica di San Giovanni in Laterano. Il porporato ha ricordato anche «l’ottavo centenario della raffigurazione della Natività, che san Francesco ha realizzato nel primo presepe di Greccio».

Ha invitato tutti i fedeli ad accostarsi al mistero del Natale «facendoci piccoli». «Accostiamoci a questo mistero facendoci piccoli, “come indegni servitorelli, con tutto il rispetto e la riverenza possibili”, ci direbbe Sant’Ignazio. Contempliamo con umiltà l’abbassamento di Dio che viene “vestito da amante” (Tagore), che scende per stare con me senza farmi paura, che mi desidera fino al punto di volersi comunicare completamente alla mia umanità, per farsi vedere, udire e toccare, al punto da rendere anche me annunciatore, come dice Giovanni, affinché sia vero per tutti noi che “ciò che noi abbiamo udito, ciò che
noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo” (1 Gv 1, 1.3). Egli viene a dare se stesso per noi (Tito 2,14) perché noi possiamo appartenergli, viene per stabilire con noi un legame d’amore, che moltiplichi la nostra gioia e aumenti la nostra letizia (cfr. Is 9, 2). Dio viene come un bambino per ricevere da noi l’amore che daremmo a un figlio: Lui viene a chiedere il nostro amore mentre ce lo dona per primo.».

«Si compia il noi il mistero del Natale – ha concluso –: avvenga quello “scambio di doni” tra la nostra povertà e la sua grandezza. Ciò che è nostro sia tutto assunto da Lui e ciò che è Suo divenga veramente nostro. Allora sarà veramente Natale».

Il testo integrale dell’omelia

2 gennaio 2024

«Semplicità evangelica e amore per i poveri»: i funerali di Papa Francesco

Foto: Diocesi/Gennari

La bara di cipresso, sopra il Vangelo aperto. Sono circa 200.000 i fedeli riuniti in piazza San Pietro questa mattina, 26 aprile, per l’ultimo saluto a Papa Francesco. A presiedere il rito è il cardinale decano Giovanni Battista Re e con lui 980 concelebranti, fra cardinali, vescovi e sacerdoti, ci sono poi 200 ministri della comunione e oltre 4 mila presbiteri. La bara del Pontefice è stata portata a spalle dai sediari, dall’altare della Confessione lungo tutta la navata centrale di San Pietro, uscendo sul sagrato dalla porta principale. Quindi, tra gli applausi dei fedeli, è stata adagiata davanti all’altare.

Sul sagrato della Basilica, a destra guardando la facciata, hanno trovato posto le quasi 170 delegazioni in rappresentanza degli Stati di tutto il mondo. Numerose anche, in tutto una quarantina, le delegazioni dei rappresentanti ecumenici e delle altre religioni. Come anche la presenza dei giornalisti, 2.700 quelli accreditati a seguire l’evento, divisi tra le postazioni stampa sul braccio di Carlo Magno e nelle due sale stampa, in via della Conciliazione e in via dell’Ospedale.

«Siamo raccolti in preghiera attorno alle sue spoglie mortali col cuore triste, ma sorretti dalle certezze della fede», ha detto il cardinale Re nella sua omelia, sottolineando come la speranza cristiana apra all’orizzonte della «casa del Padre in una vita di felicità che non conoscerà tramonto». Il porporato ha rievocato l’ultimo gesto pubblico di Papa Francesco, un atto di coraggio e dedizione nonostante le gravi condizioni di salute: «La sua ultima immagine è quella di domenica scorsa, solennità di Pasqua, quando ha voluto impartire la benedizione dal balcone della Basilica di San Pietro e poi è sceso in piazza per salutare la folla dalla papamobile».

Re ha evidenziato come il pontificato di Papa Francesco abbia profondamente influenzato la Chiesa e il mondo: «Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso Pontificato di Papa Francesco abbia toccato le menti e i cuori». Nel ricordare il senso del ministero petrino, il cardinale ha ricordato che «Gesù affidò a Pietro la grande missione: “Pasci le mie pecore”», e ha sottolineato come Papa Francesco abbia compiuto questo mandato «percorrendo la via della donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena», seguendo l’esempio del «buon Pastore che ha amato le sue pecore fino a dare per loro la sua stessa vita».

Il cardinale ha ripercorso anche i tratti salienti del lungo pontificato di Francesco: «La decisione di prendere il nome Francesco apparve subito come la scelta di un programma e di uno stile», ispirato alla semplicità evangelica e all’amore per i poveri. Papa Francesco è stato ricordato come un «Papa in mezzo alla gente, con cuore aperto verso tutti», capace di instaurare «un contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni, desideroso di essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in difficoltà». Non sono mancati i riferimenti alla grande apertura missionaria di Francesco: «Il primato dell’evangelizzazione è stato la guida del suo Pontificato, diffondendo con una chiara impronta missionaria la gioia del Vangelo», così come il suo costante richiamo a «una Chiesa dalle porte sempre aperte», capace di farsi «ospedale da campo» per curare le ferite dell’umanità.

Il cardinale Re ha poi anche ricordato l’impegno di Francesco per i più poveri e gli emarginati: «Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi», a partire dal simbolico viaggio a Lampedusa, fino alle visite a Lesbo e al confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Particolare menzione è stata dedicata al viaggio in Iraq nel 2021, «compìto sfidando ogni rischio», definito un “balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena”, e all’inesauribile impulso al dialogo interreligioso.

«Papa Francesco ha sempre messo al centro il Vangelo della misericordia», ha proseguito il porporato, richiamando il Giubileo Straordinario della Misericordia e la convinzione che «Dio non si stanca di perdonarci». In contrasto con «la cultura dello scarto», Francesco ha promosso «la cultura dell’incontro e della solidarietà», e ha ribadito con forza che «apparteniamo tutti alla medesima famiglia umana». In un’epoca segnata da conflitti e violenze, il Papa non ha mai cessato di levare la sua voce: «La guerra è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole. La guerra lascia sempre il mondo peggiore», ha ricordato il cardinale, citando più volte gli accorati appelli del Pontefice alla pace. “Costruire ponti e non muri” è un’esortazione che egli ha più volte ripetuto e «il servizio di fede come Successore dell’Apostolo Pietro è stato sempre congiunto al servizio dell’uomo in tutte le sue dimensioni».

Al termine dell’omelia, il cardinale Re si è rivolto a Papa Francesco con parole colme di affetto e gratitudine: «Caro Papa Francesco, ora chiediamo a Te di pregare per noi e che dal cielo Tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero», evocando l’ultimo abbraccio ideale che il Pontefice ha offerto domenica scorsa, benedicendo il popolo di Dio e l’intera umanità.

Al termine della Messa esequiale, si è svolto il rito dell’ultima commendatio (ultima raccomandazione) e la valedictio (commiato). È il momento in cui si affida definitivamente l’anima del Pontefice a Dio Padre, invocando lo Spirito Santo affinché lo accolga nella pace eterna e lo risusciti nell’ultimo giorno. Dopo l’invocazione delle Litanie dei Santi, il cardinale vicario per la diocesi di Roma, Baldassare Reina, ha guidato la supplica della Chiesa di Roma con queste parole: «O Dio, che dai la giusta ricompensa agli operai del Vangelo, accogli nel tuo regno il tuo servo e nostro Vescovo, il Papa Francesco, che hai costituito successore di Pietro e Pastore della tua Chiesa, e donagli la gioia di contemplare in eterno i misteri della grazia e della misericordia che sulla terra ha fedelmente dispensato al tuo popolo».

Dopo la cerimonia, il feretro è stato traslato fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore, salutato da circa 150.000 fedeli, dove Papa Francesco ha scelto di essere sepolto, accanto all’icona della Madonna Salus Populi Romani, simbolo della sua devozione mariana e del suo amore per il popolo romano.

26 aprile 2025

«Roma città dei ponti»: quel monito di Francesco

15 aprile 2014: Papa Francesco visita la parrocchia di San Paolo della Croce, a Corviale (foto Diocesi di Roma / Gennari)

Il 13 marzo 2013, quando Jorge Mario Bergoglio si affacciò dalla loggia delle Benedizioni della basilica di San Pietro come successore di Benedetto XVI, nel suo primo discorso si presentò come vescovo di Roma e non come Papa o pontefice. Fu un segnale del suo modo di intendere il ministero petrino. E in effetti il legame di Francesco con la sua diocesi è stato sempre molto profondo. A cominciare dalle visite pastorali nelle parrocchie.

Non molte, in verità, una ventina, ma tutte o quasi nelle zone periferiche della città. A partire dalla prima, il 26 maggio 2013, ai Santi Elisabetta e Zaccaria a Labaro-Prima Porta, fino a quella del 7 aprile 2019 a San Giulio Papa. Poi, tra pandemia e problemi di salute legati alla deambulazione, le visite si sono interrotte. Ma il Santo Padre ha continuato a incontrare i sacerdoti, non solo nella tradizionale occasione della Quaresima.

A partire dal settembre 2023, si è recato in cinque parrocchie periferiche per dialogare con i gruppi di sacerdoti delle diverse prefetture nei settori della diocesi. Poi, a dimostrazione della sua attenzione per il clero romano, ha tenuto altri due incontri, con sacerdoti che avevano 40 anni di ministero e quelli a 10 anni dall’ordinazione. Come pure segno di attenzione è la costituzione apostolica “In Ecclesiarum Communione” con cui ha riformato il Vicariato di Roma, che ha stabilito una maggiore presenza del Papa, vescovo di Roma, nella gestione della diocesi e la successiva riduzione a quattro dei settori, con l’abolizione del Centro. E ancora, un momento di grande rilievo è stata l’assemblea diocesana del 25 ottobre 2024 nella basilica di San Giovanni in Laterano.

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«Ripartire dall’Abc della fede»: la prima Messa del cardinale De Donatis da Lourdes (video all’interno)

Una Messa offerta «per i giovani della diocesi» apre ufficialmente il pellegrinaggio diocesano a Lourdes, lunedì 27 agosto. A presiederla è il cardinale vicario Angelo De Donatis, nella basilica di San Pio X, alle ore 21, che dà il suo personale benvenuto ai numerosi partecipanti, arrivati in aereo e in nave. «Per tutti – dice – c’è un invito a nozze. In questo pellegrinaggio diocesano, nell’anno in cui il tema pastorale di Lourdes è “Fate quello che vi dirà”, questo luogo diventa Cana di Galilea. Anche se voi avete deciso di venire a Lourdes o qualcun altro lo ha deciso per voi, ora scopriamo che in realtà Dio vi ha voluti, Dio vi ha chiamati, vi ha invitati. E per tutti voi è stato imbandito un banchetto di nozze».

Poi ripercorre la storia di Bernadette, e dei suoi incontri con “Aquerò”, “quella là”, come la giovane chiamava la Vergine Maria. «L’11 febbraio 1858 – racconta il porporato nell’omelia – Bernadette era qui, per raccogliere legna, in un luogo allora periferico e malfamato. Avverte una folata di vento, vede una luce nella grotta, scorge una signora vestita di bianco. Nel cuore di questa adolescente già segnata dalle sofferenze della vita e dalla povertà estrema della sua famiglia, si accende una luce, si risveglia la Gioia di un incontro». I pellegrini giunti nella cittadina sui Pirenei, dice ancora De Donatis, sono qui proprio «per recuperare il vino della Gioia». E per farlo, bisogna «ricominciare dall’Abc della fede, rinunciare all’uomo vecchio e prenderci tempo, anche per farci un segno di croce come mai lo abbiamo fatto prima d’ora. Riscoprendo che solo attraverso la croce noi possiamo, come il seme caduto in terra per morire, portare frutto».

«Come Bernadette davanti alla bella Signora – prosegue il cardinale vicario – anch’io mi metto con tutto me stesso davanti a Dio. Come un bambino che deve imparare, come un adolescente che deve crescere… Questo è un invito rinnovato a tutta la diocesi di Roma, che si ritrova sulle rive del Gave come Bernadette, senza scarpe, come Mosè che si toglie i sandali riconoscendo con umiltà, anche se ancora in modo confuso, che il luogo su cui siamo è terra santa».

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28 agosto 2018

«Ripartire dal vero incontro con Dio»: il terzo giorno del pellegrinaggio a Lourdes

La visita ai ricordi di santa Bernadette, la catechesi del cardinale vicario Angelo De Donatis, la Messa celebrata dal porporato alla Grotta di Massabielle. Questi gli appuntamenti salienti della terza giornata del pellegrinaggio diocesano a Lourdes, molti dei quali trasmessi in diretta televisiva e via social per consentire la partecipazione anche a quanti non hanno potuto partecipare fisicamente al cammino promosso in tempo di pandemia.

L’emergenza sanitaria e le sue conseguenze sono state al centro anche delle riflessioni del cardinale De Donatis nella sua catechesi. «La pandemia – ha detto infatti – ha costretto tutti noi al distanziamento, ci ha obbligato a “contarci”, anche in chiesa, ma, come ha detto il Papa a dicembre scorso alla curia romana, siamo diventati pochi, noi cristiani. Tante volte la vita delle nostre parrocchie si è valutata sulla quantità. Tra parroci ci si chiede: “Quanti bambini hai a catechismo? Quante cresime? Quanta gente viene a messa?” o ancora: “Quanto fai di colletta la domenica?” Tra vescovi ci si domanda: “Quante vocazioni hai nella tua diocesi? Quante parrocchie?”. Siamo in un tempo in cui siamo chiamati a capire che non conta il “quanto” – ha continuato –, non contano le folle oceaniche, che comunque non vediamo più, se non si aiutano le persone a vivere il “come”, a sperimentare un vero incontro con Dio. Occorre quindi ripartire da un incontro con Lui e dall’attenzione verso gli altri, nelle piccole cose». Ad esempio, riflette il vicario del Papa per la diocesi di Roma, si pensi alla pastorale sanitaria, che «non si gioca sui grandi numeri» ma è quanto mai «rilevante».

La «lunghezza», l’«ampiezza» e la «profondità» dell’amore ci ricordano «che è necessario amare il “tutto” di tutti, ossia accogliere l’altro con il suo carattere, la sua storia, la sua fragilità, il suo stato sociale. Infatti dietro ogni persona c’è una storia, forse una ferita, una prova. Quante volte giudichiamo qualcuno senza conoscerlo veramente!». E non fermarsi al «proprio gruppo», ma avvicinarsi davvero a «tutti gli abitanti del quartiere, vicini e lontani, credenti o non credenti», senza mai «rimanere in superficie, ma a far sì che la comunione e la comunicazione interpersonale sfocino in un contesto più arricchente per tutti». Da considerare anche la dimensione dell’«altezza»: «Il nostro amore – ha sottolineato De Donatis nella catechesi – è chiamato anche ad essere un amore “alto”, come quello di Gesù, che dall’alto della croce ci ha ricolmati di grazia e di perdono. L’altezza dell’amore significa sacrificarsi, anche a costo della vita, ricordando che il sacrificio si nota anche nelle piccole cose».

Riflessioni portate avanti anche nell’omelia della Messa delle ore 19. «Dio è onnipotente nell’amore – ha detto il porporato – e chi ama veramente non fa tutto da solo, ma gioisce nel suscitare la collaborazione degli altri». Quindi, un compito per tutti i partecipanti, per tutti i fedeli della diocesi: «Vi invito – ha esortato – a prendervi l’impegno, ogni mattina, di pregare per quanti il Signore vi farà incontrare durante la giornata. Ci saranno tanti incontri previsti e molti imprevisti… Alla fine della giornata proviamo a ripercorrere volti e nomi… e chiediamoci quanto siamo stati capaci di relazione, di attenzione, di amore. Rispondere “Sì” a Dio significa dire “Sì” all’altro».

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26 agosto 2020

«Ripartire dal vero incontro con Dio»: il terzo giorno del pellegrinaggio a Lourdes

«Ringrazio di cuore per le vostre preghiere»

Foto Diocesi di Roma / Gennari

«Ringrazio di cuore per le vostre preghiere per la mia salute dalla Piazza, vi accompagno da qui. Che Dio vi benedica e che la Vergine vi custodisca. Grazie». La voce di Papa Francesco risuona in piazza San Pietro, prima che inizi la recita quotidiana del Rosario che sta accompagnando la sua degenza. Parla in spagnolo il Santo Padre, per meno di trenta secondi, nel messaggio registrato dal Policlinico Gemelli. Le sue parole riempiono di gioia il cuore dei fedeli. Ad annunciarle è il cardinale Ángel Fernández Artime, pro-prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che ha guidato la recita del Rosario ieri sera (giovedì 6 marzo).

Sempre nella serata di ieri era stato diffuso il consueto bollettino medico relativo alle condizioni di salute del Papa – ricoverato dal 14 febbraio scorso per una polmonite bilaterale – e sulla sua giornata. «Le condizioni cliniche del Santo Padre sono rimaste stabili rispetto ai giorni precedenti – informava la nota –. Anche oggi non ha presentato episodi di insufficienza respiratoria. Il Santo Padre ha continuato con beneficio la fisioterapia respiratoria e quella motoria. I parametri emodinamici e gli esami del sangue sono rimasti stabili. Non ha presentato febbre. I medici mantengono ancora la prognosi riservata. In considerazione della stabilità del quadro clinico il prossimo bollettino medico verrà diffuso nella giornata di sabato. Quest’oggi il Santo Padre si è dedicato ad alcune attività lavorative nel corso della mattina e del pomeriggio, alternando il riposo e la preghiera. Prima di pranzo ha ricevuto l’Eucarestia».

7 marzo 2025

«Ringraziate sempre il Signore»: il Papa con i bambini della Borghesiana

Foto Vatican Media

Come ringraziare il Signore anche nella malattia? Perché Dio permette le guerre? Commoventi e profonde le domande che i bambini hanno posto a Papa Francesco ieri pomeriggio (11 aprile 2024), nella parrocchia di San Giovanni Maria Vianney. Il Santo Padre, infatti, a sopresa si è recato nella comunità del quartiere Borghesia, periferia Est di Roma, e ha incontrato circa 200 bambini per il primo appuntamento della “Scuola di preghiera”, voluta proprio dal Papa in occasione dell’Anno della Preghiera. L’incontro si è svolto sulla scia dell’esperienza dei “Venerdì della Misericordia”, che vedevano il Pontefice incontrare senza preavviso alcune categorie di persone.

I bambini, che fanno parte dei gruppi di catechismo in preparazione al sacramento della Prima Comunione, hanno accolto festosamente il Papa, arrivato a sorpresa nella comunità. Meravigliata la loro reazione quando, insieme ai catechisti con cui pensavano di svolgere come ogni settimana il catechismo, hanno visto entrare nel salone parrocchiale Papa Francesco. E lui, per circa un’ora, si è fatto catechista con i bambini. Rispondendo alle loro domande, ha proposto una breve catechesi sul tema della preghiera di ringraziamento. Ha voluto sottolineare che questa è una delle più importanti della vita cristiana. «È importante dire grazie per ogni cosa. Ad esempio, se entri nella casa di una persona e non dici grazie e poi permesso, o non saluti, è bello?» La prima parola è «grazie», quindi, invece la seconda è «permesso», ha detto ai piccoli. «La terza parola è “scusa” – ha continuato il Santo Padre –. Una persona che non dice mai scusa è buona? È difficile dire scusa, a volte viene vergogna e orgoglio. Ma è importante quando uno scivola dire scusa. Tre parole: grazie, permesso, scusa».

Poi ha chiesto a loro se pregassero, ascoltato le loro domande, osservazioni e riflessioni. «Anche nei momenti bui – ha detto loro –, dobbiamo ringraziare il Signore, perché Lui ci dà la pazienza di tollerare le difficoltà. Diciamo insieme: grazie Signore per darci la forza di tollerare il dolore». E ancora: «Dobbiamo ringraziarLo sempre, in ogni momento. Io vi do un consiglio – ha concluso Francesco – prima di andare a dormire pensate: per cosa oggi posso ringraziare il Signore? Ringraziate». Al termine dell’incontro i bambini, insieme al Santo Padre, hanno recitato una “Preghiera di ringraziamento” composta per l’occasione, che rimarrà come ricordo di un momento straordinario della loro vita. Prima di andare via, Papa Francesco, salutando e scherzando con loro, ha regalato a ciascuno dei bambini del catechismo un uovo di cioccolata. Ai sacerdoti e ai circa venti catechisti ha fatto dono dei primi sei volumetti pubblicati della collana “Appunti sulla Preghiera”, sussidi pensati dalla prima sezione del Dicastero per l’Evangelizzazione a supporto della vita pastorale delle comunità, nel percorso di riscoperta della centralità della preghiera in preparazione al Giubileo 2025.

12 aprile 2024

«Rendiamo grazie a Dio per Francesco, segno luminoso del Vangelo»

È commosso il cardinale vicario Baldo Reina quando prende la parola. La sua emozione si aggiunge a quella dei tantissimi fedeli che stasera, 21 aprile, hanno riempito la basilica di San Giovanni in Laterano per Messa in suffragio di Papa Francesco. Una chiesa stracolma di affetto. Molte le persone in piedi. C’è chi stringe il Rosario, chi si inginocchia a pregare dove può. Gli occhi di tanti guardano per terra, sono persi nel vuoto. La musica del coro diocesano risuona in tutta la basilica.

«Fratelli e sorelle, in questa Santa Eucaristia in cui celebriamo la vittoria di Cristo sulla morte, ricordiamo con commozione e gratitudine il nostro vescovo, Papa Francesco – esordisce il cardinale Reina -. Rendiamo grazie a Dio per avercelo donato come segno luminoso del Vangelo. Il suo amore per la Chiesa, la sua attenzione agli ultimi, il suo coraggio profetico e il suo instancabile annuncio della tenerezza di Dio rimangano impressi nel cuore del popolo cristiano».

Insieme al cardinale vicario, tra gli altri, ci sono il vescovo vicegerente Renato Tarantelli Baccari, i vescovi ausiliari Michele Di Tolve e Benoni Ambarus, il vescovo vicario del Capitolo lateranense Guerino Di Tora e il vescovo ausiliare emerito Paolo Selvadagi. Con loro, una lunghissima processione di sacerdoti. Presente anche il sindaco di Roma Roberto Gualtieri.

 

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«Qualcuno da lassù ci ha protetto»: il cardinale Reina in ospedale dai due poliziotti feriti nell’esplosione di via dei Gordiani

Foto Gennari

Sono ricoverati nella stessa stanza al policlinico Umberto I. Uno a fianco all’altro. Come al momento dell’esplosione in via dei Gordiani dello scorso 4 luglio. Ancora non riescono a spiegarsi come siano riusciti a sopravvivere. «Qualcuno da lassù ci ha protetto», dicono al cardinale vicario Baldo Reina l’agente Francesco D’Onofrio e il viceispettore Marco Neri della Polizia di Stato, rimasti feriti mentre stavano cercando di far evacuare la zona. Il porporato, stamattina, 6 luglio, è andato a trovarli portandogli «il saluto, l’abbraccio e la gratitudine di Papa Leone XIV e di tutta la diocesi di Roma per quello che avete fatto con grande generosità». Queste le sue parole nei primi secondi dell’incontro, che ha visto momenti di commozione, preghiera, e anche qualche risata.

Reina è arrivato nell’ospedale intorno alle 13, accompagnato dal questore della Capitale Roberto Masucci. Tra gli altri, presente anche monsignor Andrea Manto, vicario episcopale per la Pastorale della salute e referente dell’Ambito della cura delle età e della vita, e il cappellano del policlinico don Marco Simbola.

«Come state?», ha chiesto subito il cardinale ai due feriti. «I dolori si sono attenuati anche con l’aiuto della morfina – hanno risposto D’Onofrio e Neri –. C’è da attendere, ci vuole tanta pazienza». I due hanno riportato ustioni sulle braccia e sulla schiena. Il questore ha spiegato che quando sono arrivati sul posto era già scoppiato il primo incendio causato dalla fuga di gas. Hanno quindi fatto evacuare più velocemente possibile chi era presente, ma due persone hanno tardato ad allontanarsi. Gli agenti sono quindi rientrati nell’area per portarli in salvo. In quel momento si è verificata la seconda esplosione. «Non è rimasto più niente dove ci trovavamo – hanno raccontato –. Non c’è una spiegazione logica di come siamo rimasti in vita. Abbiamo visto la pelle che si incendiava, le radio e i cinturoni sciogliersi. Cadevano detriti come proiettili. Un pezzo di cemento ci è passato a fianco e ha ribaltato una macchina. Non si vedeva nulla, era come camminare nel buio più totale. Eppure – hanno aggiunto –, abbiamo preso la strada giusta. È come se qualcuno, forse santa Barbara e san Michele Arcangelo, ci avesse protetto creandoci una bolla attorno». L’agente D’Onofrio ha al collo la corona del Rosario di Papa Francesco. «Me l’ha portata in ospedale un mio amico sacerdote quando ha saputo dell’incidente. Me l’ha consegnata dicendomi che gli era stata donata proprio dal pontefice».

Prima di andare via, il cardinale ha recitato insieme a loro un’Ave Maria e un Gloria al Padre. «Ringraziamo il Signore perché tutto è andato bene e preghiamo per voi, per le famiglie coinvolte e per quelle che hanno avuto difficoltà con la casa, perché tutto quello che è successo poteva sfociare in una tragedia, ma i danni ci sono, e siamo qui ad assicurare la nostra vicinanza». Il porporato li ha quindi benedetti e li ha ringraziati ancora per il loro servizio. «Avete salvato tante persone – ha concluso –. Questo vi fa onore e vi farà onore per sempre. Quello che è successo resterà indelebile nella vostra memoria. Sentitevi avvolti da tante preghiere e dall’affetto di tanti cittadini e di tanti cristiani che vi vogliono bene». (Giuseppe Muolo)

6 luglio 2025

«Prendiamo Maria con noi»: la Messa del cardinale nel secondo giorno di pellegrinaggio a Lourdes

Partono dalle sofferenze a cui ci riporta la parola “croce” le riflessioni del cardinale vicario Angelo De Donatis, nell’omelia della celebrazione eucaristica nel secondo giorno del pellegrinaggio diocesano a Lourdes. Una giornata caratterizzata dalla celebrazione della Via Crucis e dallo spazio per le confessioni personali, alla basilica di Santa Bernadette. «La parola “croce” – sottolinea il porporato – ci fa pensare a tutte le sofferenze e a tutti i sofferenti della storia e di oggi. Ciascuno di noi sa dare al termine “croce” una traduzione personale: la fatica della vita, un’incapacità di crescere nella fede, un dolore personale o familiare, oppure un momento di prova delle nostre comunità».

«Siam peccatori, è vero – prosegue –. Dobbiamo ammetterlo, senza vergogna, approfittando di questi giorni per vivere una bella confessione, per liberarci dei pesi che ci schiacciano, per urlare il nostro dolore al crocifisso che urla al Padre per noi. Lasciamoci riconciliare con Dio, che perdona tutte le nostre colpe».

Infine l’affidamento a Maria, cifra di tutto il pellegrinaggio diocesano. «Siam peccatori, ma siamo amati, perdonati, purificati. L’acqua di Lourdes che beviamo e con cui ci laviamo la faccia, è solo un segno, bellissimo, di una purificazione totale, che ci renderà pronti a riprendere il cammino. E da qui non usciamo soli. Prendiamo Maria con noi, di nuovo, nella nostra casa, nella nostra intimità. Ella ci genera di nuovo e ci rende liberi di amare».

«Per arrivare a Gesù c’è bisogno di una persona totalmente capaci di aprirci il cuore, cioè di Maria»: a ribadirlo è don Savino Lombardi, responsabile dei pellegrinaggi mariani per l’Opera romana pellegrinaggi.

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25 agosto 2020

«Possa tornare la gioia e la festa dopo questo momento di prova».

«O Maria, tu risplendi sempre nel nostro cammino come segno di salvezza e di speranza. Noi ci affidiamo a te, Salute dei malati, che presso la croce sei stata associata al dolore di Gesù, mantenendo ferma la tua fede. Tu, Salvezza del popolo romano, sai di che cosa abbiamo bisogno e siamo certi che provvederai perché, come a Cana di Galilea, possa tornare la gioia e la festa dopo questo momento di prova. Aiutaci, Madre del Divino Amore, a conformarci al volere del Padre e a fare ciò che ci dirà Gesù, che ha preso su di sé le nostre sofferenze e si è caricato dei nostri dolori per condurci, attraverso la croce, alla gioia della risurrezione. Amen. Sotto la Tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta». Papa Francesco manda la sua preghiera alla Madre di Dio con un videomessaggio. Poi il suo vicario Angelo De Donatis inizia a celebrare la Messa. In un Santuario del Divino Amore deserto, con i fedeli chiusi nelle loro case, a seguire la celebrazione eucaristica sui loro tablet, computer e cellulari, grazie allo streaming sulla pagina Facebook della diocesi, o in televisione, in diretta su Tv2000.

Tutti fisicamente separati, ma uniti nella preghiera. «Ci siamo tutti, c’è realmente tutta la Chiesa, c’è la Chiesa di Roma», dice infatti il cardinale De Donatis. La Messa conclude la Giornata di digiuno e di preghiera promossa dalla diocesi. «Siamo qui per gridare di essere salvati dal Signore per la sua misericordia – dice il porporato –; Maria è qui con noi e chiediamo la sua intercessione potente». Poi traduce a parole il pensiero e il sentire di tanti. «Siamo qui ai tempi del coronavirus con tanta fede, ma anche con tanta angoscia», ammette. «La vediamo nei volti delle persone, ma la sentiamo anche nel nostro cuore».

Un’angoscia, prosegue il vicario del Papa per la diocesi di Roma, provata da Gesù stesso, prima della Passione. «Alle tue mani affido il mio Spirito»: le ultime parole di Gesù sulla croce, spiega il cardinale De Donatis, sono «una consapevolezza permanente nel cuore di Gesù, e ci dicono che nessuno ha il potere di strapparci dalle mani di Dio». La «terapia» per essere liberati dall’angoscia, spiega, consiste nell’«affidarci alle mani di Dio: nessuno può strapparci da lì, neppure la morte».

«L’unica cosa autentica e utile in questo tempo di coronavirus – la conclusione del cardinale vicario – è mettersi in ginocchio, alla presenza di Dio dentro noi stessi. Dio custodirà la nostra umanità, ci porterà a stringerci gli uni agli altri» scegliendo la vicinanza «senza cadere nella competizione» e fuggendo «la tentazione di salvare se stessi infischiandosi della vita degli altri».

11 marzo 2020

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