Francesco battezza 34 bambini: «La fede si trasmette in “dialetto”»
«La trasmissione della fede si può fare soltanto “in dialetto”, nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna. Poi verranno i catechisti a sviluppare questa prima trasmissione, con idee, con spiegazioni. Ma non dimenticatevi questo: si fa “in dialetto”, e se manca il dialetto, se a casa non si parla fra i genitori quella lingua dell’amore, la trasmissione non è tanto facile, non si potrà fare. Non dimenticatevi. Il vostro compito è trasmettere la fede ma farlo col dialetto dell’amore della vostra casa, della famiglia».
Ancora una volta Papa Francesco ha usato un’espressione ad effetto per spiegare una realtà semplice e complessa allo stesso tempo, quella sul ruolo della famiglia nella trasmissione della fede. Lo ha fatto parlando ai genitori dei 34 bambini che ha battezzato nella ricorrenza del Battesimo di Gesù, la festa che chiude il periodo liturgico di Natale, nella splendida cornice della Cappella Sistina. A ricevere il Sacramento 16 bambini e 18 bambine, in gran parte figli o parenti di dipendenti vaticani.
Nella breve omelia, pronunciata a braccio, il Santo Padre ha ricordato ai genitori che «portate al Battesimo i vostri figli, e questo è il primo passo per quel compito che voi avete, il compito della trasmissione della fede. Ma noi abbiamo bisogno dello Spirito Santo per trasmettere la fede, da soli non possiamo». Il Papa ha spiegato che «poter trasmettere la fede è una grazia dello Spirito Santo» ed è questo il motivo per cui vengono portati al fonte battesimale i bambini «perché ricevano lo Spirito Santo, ricevano la Trinità – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo – che abiterà nei loro cuori».
Oltre al «dialetto» della famiglia, il Papa ha fatto riferimento al «dialetto» dei bambini, al loro pianto «che ci fa bene sentire» e ha ricordato che per accostarsi a Dio è necessario farsi piccoli: «Adesso tutti stanno zitti – ha detto il Pontefice riferendosi ai neonati, e invitando poi le madri ad allattarli se avessero pianto per la fame – ma è sufficiente che uno dia il tono e poi l’orchestra segue. Il dialetto dei bambini. E Gesù ci consiglia di essere come loro, di parlare come loro. Noi non dobbiamo dimenticare questa lingua dei bambini, che parlano come possono, ma è la lingua che piace tanto a Gesù. E nelle vostre preghiere siate semplici come loro, dite a Gesù quello che viene nel vostro cuore come lo dicono loro. Oggi lo diranno col pianto, sì, come fanno i bambini. Il dialetto dei genitori che è l’amore per trasmettere la fede, e il dialetto dei bambini che va accolto dai genitori per crescere nella fede».
Il Papa ha poi ricordato all’Angelus la cerimonia da lui presieduta poco prima: «Anche quest’anno, nell’odierna festa del Battesimo di Gesù, ho avuto la gioia di battezzare alcuni bambini. Su di loro, e su tutti i bambini che sono stati battezzati recentemente, invoco la materna protezione della Madre di Dio, perché, aiutati dall’esempio dei loro genitori, dei padrini e delle madrine, crescano come discepoli del Signore». Il Papa ha anche ricordato che «la festa del battesimo di Gesù invita ogni cristiano a fare memoria del proprio battesimo», invitando ancora una volta tutti a conoscere la data del proprio battesimo «perché è la data della nostra santificazione iniziale».
Ordinazione episcopale di Libanori e Ricciardi
Padre Daniele Libanori, gesuita, e don Paolo Ricciardi, del clero romano, nominati dal Papa vescovi ausiliari di Roma il 23 novembre scorso, riceveranno l’ordinazione episcopale durante la celebrazione di sabato 13 gennaio che avrà inizio alle ore 16 nella basilica papale di San Giovanni in Laterano, cattedrale di Roma. A ordinarli sarà il vicario di Roma, l’arcivescovo Angelo De Donatis. Conconsacranti saranno i vescovi Gianrico Ruzza, ausiliare della diocesi per il settore Centro, e Andrea Turazzi, titolare di San Marino-Montefeltro.
I sacerdoti che intendono concelebrare, informa l’Ufficio liturgico del Vicariato, sono invitati a trovarsi in sacrestia con camice e stola bianca entro le 15.30. La celebrazione sarà animata dal Coro della Diocesi di Roma diretto da monsignor Marco Frisina e dal Coro della parrocchia di Santa Silvia, la comunità del Portuense che don Ricciardi, romano, 49 anni, ha guidato per dodici anni prima di diventare parroco di San Carlo da Sezze ad Acilia.
Ricciardi, a cui il Papa ha assegnato la sede titolare di Gabi, avrà la delega per la Pastorale sanitaria e il suo impegno sarà quindi quello di coordinare l’assistenza religiosa negli ospedali di Roma. Libanori, 64 anni, dal 1° settembre scorso è rettore della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami al Foro Romano, nuova “casa” dei preti di Roma per volere del vicario De Donatis: continuerà a occuparsi del clero di Roma e il suo impegno pastorale si estenderà anche ai diaconi permanenti.
A distanza di una settimana, sabato 20 gennaio a partire dalle 15 è in programma l’ingresso nella sua nuova diocesi di Teramo-Atri di monsignor Lorenzo Leuzzi: alle 16.30 la celebrazione solenne nel duomo di Santa Maria Assunta.
Migranti, l’impegno dei Centri pastorali di Roma
Accogliere, proteggere, promuovere e integrare: i quattro verbi dell’accoglienza inseriti nel messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato sono capisaldi dei centri pastorali delle comunità etniche di Roma. «Li decliniamo nel quotidiano con i migranti che seguiamo – afferma monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle migrazioni (Migrantes) e incaricato della Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale del Lazio -. Gli insegnamenti e la testimonianza del Santo Padre stanno dominando il nostro agire e guardiamo al migrante riconoscendo in lui l’incontro con Gesù Cristo».
A Roma sono 130 i centri pastorali che servono 37 comunità di stranieri. Alcuni sono suddivisi in diversi centri collocati in varie zone della città in base al numero degli appartenenti. La comunità filippina, per esempio, la più numerosa nella Capitale, ha ben 55 centri. Le sedi più grandi, molte delle quali allestite in parrocchie, sono aperte tutti i giorni mentre quelle delle comunità più piccole sono attive la domenica, oppure ogni quindici giorni. I centri pastorali a loro volta sono organizzati in parrocchie personali, in missioni con cura d’anime, per esempio quelle delle comunità filippine, rumene, polacche, latino–americane, o sono coordinate da cappellani di origine straniera incaricati di seguire i fedeli della propria nazione o appartenenti al proprio rito religioso. Durante gli incontri si celebra la Messa, si pranza insieme e si partecipa alla catechesi. Ci sono poi associazioni nate spontaneamente come quella mauriziana, senegalese e ivoriana. «I centri pastorali svolgono funzione spirituale, di promozione umana e d’integrazione – spiega Felicolo -. Sono luoghi dove noi rispettiamo la fede dei migranti e li accogliamo cercando di farli sentire a casa».
L’accoglienza viene espressa in modo concreto in varie forme con corsi di italiano offerti gratuitamente, con visite nelle carceri, con l’aiuto per il rinnovo del permesso di soggiorno o il ricongiungimento familiare, o con il sostegno nei confronti di chi ha perso il lavoro. «Queste strutture rappresentano un doppio binario di fede e di accompagnamento reale della persona tanto nella vita civile quanto in quella religiosa – prosegue don Pierpaolo -. Molti ragazzi appartenenti alla seconda generazione di migranti s’inseriscono bene nelle nostre parrocchie e frequentano regolarmente la catechesi sacramentale».
Punto fermo dei centri pastorali è che l’integrazione non ha nulla a che fare con l’assimilazione, perché la persona accolta non deve acquisire la cultura del Paese di accoglienza «ma ha il diritto di mantenere le proprie tradizioni – conclude Felicolo -. Dobbiamo prendere sempre più coscienza che sono realtà vive nella Chiesa e integrarle maggiormente nel contesto diocesano. Devono sentirsi parte della diocesi di Roma e con essa camminare nella fede con le proprie particolarità».
Verso il Sinodo, un portale dedicato ai giovani
Esplorare ambizioni, speranze e paure delle giovani generazioni e, al tempo stesso, offrire loro un’opportunità di espressione in vista della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, dal 3 al 28 ottobre 2018, sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Questi gli obiettivi con cui approda online www.velodicoio.it, il portale messo a punto dal Servizio Nazionale per la pastorale giovanile della Cei. Uno strumento, spiegano dalla Cei, che «vuole favorire un confronto di gruppo – a scuola, in università, nei gruppi parrocchiali e in quelli informali – su alcune tematiche centrali nella vita dei giovani, raccolte intorno a dieci parole chiave: ricerca, fare casa, incontri, complessità, legami, cura, gratuità, credibilità, direzione, progetti».
Attraverso il portale potranno esprimesi, nei tempi e con i linguaggi che preferiscono, tutti i giovani tra i 16 e i 29 anni, sfruttando la duttilità dello strumento ma anche la riservatezza che garantisce. Al loro ascolto la Chiesa italiana dedicherà i mesi da gennaio a maggio, utilizzando soprattutto lo strumento del portale. A giugno poi le singole diocesi rifletteranno sul materiale raccolto per arrivare ad una sintesi che apra a nuove prospettive per la pastorale giovanile. Dal 3 al 10 agosto infine da tutte le diocesi partiranno una serie di pellegrinaggi che confluiranno, l’11 e 12 agosto, in un grande incontro con Papa Francesco a Roma.
«Siamo tutti d’accordo sulla necessità di metterci in ascolto dei giovani – spiega don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile – ma come fare? Questo portale vuole offrire a tutti la possibilità di riconoscere nell’esperienza di vita di ogni persona il punto di partenza per un confronto alla pari, dove esiste un terreno comune che non sono le opinioni ma le dinamiche più profonde della vita».
Papa Francesco: no alla «diffusa retorica» sui migranti
Il quinto discorso del Papa al Corpo diplomatico, durato quasi un’ora e lungamente applaudito, ieri, lunedì 8 gennaio, è cominciato con una citazione del presidente americano Wilson sul «clima di parità» tra le nazioni necessario per scongiurare qualsiasi conflitto – a cent’anni dalla fine della Grande Guerra – e si è concluso con un appello all’Europa affinché si renda protagonista del processo di pace urgente e necessario, nello scenario attuale della «terza guerra mondiale a pezzi». Al cuore delle parole di Francesco – come negli analoghi discorsi degli anni precedenti – la questione dei migranti, di cui il nostro continente deve essere fiero, ha detto ringraziando in particolare l’Italia ed esortando ad andare oltre la «diffusa retorica» meditando più a fondo uno dei quattro verbi dell’ultimo messaggio per la Giornata mondiale della pace: integrare. A settant’anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’invito finale è all’insegna della lungimiranza: la stessa dei costruttori delle cattedrali medievali disseminate nel nostro Continente. Sapevano che non avrebbero visto i frutti del loro lavoro ma hanno lavorato comunque al loro progetto per consegnarlo ai loro figli, e ai figli dei loro figli, affinché lo arricchissero a loro volta con il proprio contributo.
Multilateralismo. Dalla fine della Grande Guerra, esattamente un secolo fa, esordisce il Papa, si possono ricavare due moniti: il primo è che «vincere non significa mai umiliare l’avversario sconfitto», il secondo è che «la pace si consolida quando le nazioni possono confrontarsi in un clima di parità», come ha intuito proprio cent’anni fa il presidente statunitense Wilson.
I diritti violati. Dal Sessantotto in poi, si sono moltiplicati i «nuovi diritti», non di rado in contrapposizione tra loro. Il rischio, per Francesco, è che «si vengano a instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli». A 70 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, molti diritti fondamentali sono ancora oggi violati, come quelli dei bambini, degli anziani, delle donne, delle famiglie in fuga dalle guerre o vittime della tratta. Da tutelare, inoltre, il diritto alla salute, garantendo a tutti l’accesso alle cure e ai trattamenti sanitari.
La «logica aberrante della guerra» oggi sembra prevalere sull’azione umanitaria delle organizzazioni internazionali. Il disarmo integrale e il negoziato, per la Santa Sede, restano le vie da percorrere per raggiungere la pace. Il Papa cita la Pacem in terris, per sottolineare la gravità del momento presente: «Non è escluso che un fatto imprevedibile e incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico». Il fronte più caldo, per Francesco, è la penisola coreana.
Medio Oriente. Francesco dedica «un pensiero particolare» a israeliani e palestinesi, rinnovando l’appello a rispettare lo “status quo” di Gerusalemme e a consentire «la presenza nella Regione di due Stati indipendenti entro confini internazionalmente riconosciuti». Anche il «caro Venezuela» ha bisogno di soluzioni pacifiche per guardare con rinnovata serenità al futuro.
Poi un pensiero alla famiglia, ritenuta in Occidente un «istituto superato»: le si preferiscono «legami fugaci» ma è dalle politiche di reale sostegno alla famiglia che bisogna ripartire per rifondare la società e superare l’«inverno demografico» in cui è piombata. Senza dimenticare il dramma di «famiglie spezzate a causa della povertà, delle guerre e delle migrazioni».
Accogliere. E proprio in materia di migrazioni, l’invito è a «uscire da una diffusa retorica e partire dalla considerazione essenziale che davanti a noi ci sono innanzitutto persone». Oggi si parla molto di migranti e migrazioni per suscitare paure ancestrali ma le migrazioni sono sempre esistite. «La maggior parte dei migranti preferirebbe stare nella propria terra – l’analisi del Papa – mentre si trova costretta a lasciarla a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale». Accogliere esercitando la virtù della prudenza, suggerisce Francesco ringraziando in particolare l’Italia ed esortando l’Europa ad essere fiera dei migranti, il cui arrivo «deve spronarla a riscoprire il proprio patrimonio culturale e religioso».
Integrare. «Chi accoglie è chiamato a promuovere lo sviluppo umano integrale, mentre a chi è accolto si chiede l’indispensabile conformazione alle norme del Paese che lo ospita, nonché il rispetto dei principi identitari dello stesso». Nel ribadirlo, il Papa rimanda al quarto verbo del messaggio per la Giornata mondiale della pace: integrare. «L’integrazione è un processo bidirezionale, con diritti e doveri reciproci. Nell’attuale contesto internazionale non mancano le possibilità e i mezzi per assicurare a ogni uomo e ogni donna che vive sulla Terra condizioni di vita degne della persona umana».
Lavorare. Il discorso al Corpo diplomatico si conclude con un forte appello per il lavoro, che in molte parti del mondo manca o è scarsamente disponibile, soprattutto per i giovani. «Spesso è facile perderlo non solo a causa delle conseguenze dell’alternarsi dei cicli economici, ma anche per il progressivo ricorso a tecnologie e macchinari sempre più perfetti e precisi in grado di sostituire l’uomo», il grido d’allarme di Francesco, che si affianca alla denuncia di «un’iniqua distribuzione delle opportunità di lavoro» e della tendenza «a pretendere da chi lavora ritmi sempre più pressanti», a scapito del sacrosanto diritto al riposo. Senza contare i bambini, vittime di quella nuova schiavitù che è il lavoro minorile. Infine, l’appello alla responsabilità verso il creato, per «lasciare alle generazioni che seguiranno una Terra più bella e vivibile».
“Le grandi tradizioni religiose”, se ne parla alla Santa Croce
È in programma per questo pomeriggio, martedì 9 gennaio, alle 19 nell’Aula Benedetto XVI della Pontificia Università della Santa Croce la presentazione del corso “Le grandi tradizioni religiose“. Un’iniziativa organizzata dall’ateneo e dall’associazione Iscom, con la collaborazione del Pontificio Istituto di studi arabi e d’islamistica (Pisai) e del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso.
L’obiettivo del corso, spiegano dall’ateneo della Santa Croce, è «fornire un’informazione di base sulla struttura delle principali tradizioni religiose che, come tali, costituiscono il fondamento delle diverse culture, influendo sulle formazioni sociali, sulle strutture giuridiche e sulla vita politica ed economica dei vari Paesi».
Alla presentazione interverranno monsignor Miguel Ángel Ayuso, segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso; Khalid Chaouki, presidente del Centro islamico culturale d’Italia-Grande Moschea di Roma; Noemi Di Segni, presidente Unione delle comunità ebraiche italiane; Valentino Cottino, Preside del Pisai; Katsutoshi Mizumo, responsabile del centro Rissho Kosei Kai, e Swamini Hamsananda, vicepresidente dell’Unione induista italiana.
Per informazioni e iscrizioni: info@iscom.info, tel. 06.6867522, cell. 3334788131.
Torna sul palco il fascino di Dante
Nuovo allestimento per “La Divina Commedia Opera”, il musical voluto dieci anni da un immaginoso monsignor Marco Frisina, direttore della Cappella musicale Lateranense. Con un nuovo look, lo spettacolo tratto dal grande capolavoro della letteratura italiana debutta così il 19 gennaio al Teatro Brancaccio. Le musiche portano la firma dello stesso Frisina, mentre la regia è di Andrea Ortis che ha scritto anche i testi insieme a Pagano. La voce narrante è quella, magistrale, di Giancarlo Giannini.
Era il 2007 quando Frisina, che dirige anche il Coro della diocesi, riuscì nella titanica impresa di portare Dante su un palco per farne il protagonista di uno spettacolo in cui ai versi del poeta si affiancano il ballo acrobatico, la musica e proiezioni in 3D. Da allora sono state messe in cantiere alcune novità. «La principale – racconta Frisina – è che ci sono molti più versi recitati, e Giannini accompagna tutto lo spettacolo perché sia ancora più evidente il tema del viaggio. In più, sono stati aggiunti due nuovi brani, come quello che presenta Catone permettendo così di affrontare la passione sociale di Dante, un aspetto che mancava a questo spettacolo». Nemico di Cesare e difensore della libertà politica, al punto di sacrificare la propria vita per essi, Catone è il custode del Purgatorio. Qui, nel primo canto, Virgilio gli si rivolge e introduce Dante: «Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta», alludendo al fatto che lo stesso Catone è morto suicida per difendere gli ideali repubblicani. «Quella di Dante è una vita spesa alla ricerca del senso dell’esistenza umana e della libertà, che non è – sottolinea il compositore – fare ciò che si vuole ma è operare per il bene».
Oggi, come nel 1300, resta intatto il senso della Commedia dantesca: il Vate «racconta un viaggio interiore, dall’oscurità alla luce di Dio, il cammino dell’uomo che vuole dare un senso alla storia, a se stesso e a ciò che lo circonda. Una ricerca che avviene in tre fasi. La prima, all’Inferno, con gli uomini che distruggono la propria esistenza per scelte sbagliate. La seconda fase è il Purgatorio, con la ricerca della purificazione. L’ultima è il Paradiso con la bellezza del perdono». La meta del viaggio, che contempla anche il dolore, è infine quell’amore «che move il mondo e le altre stelle».
Chiamato a studiare un restyling del musical, il regista racconta invece il suo intervento: «Dante per me non è un genio in posizione ascetica, distante dagli uomini, ma è soprattutto uno scrittore e “La Divina Commedia” è un libro». Per chiarire, Ortis prende spunto dall’arte: «Di un quadro, ad esempio la “Vergine delle Rocce”, si apprezza l’opera, perfetta e senza tempo. Ma se si osservano gli schizzi si vedono molte più cose perché l’atto della creazione, con i ripensamenti di Leonardo, è ancora più straordinario. Così ho pensato al backstage della Commedia». Lo spettacolo comincia da qui: Dante anziano che ricorda quando, a 35 anni, ebbe l’idea della Commedia. Si immagina nel suo studiolo. Fantastica su come debbano essere le scene e ciò che scrive all’improvviso diventa realtà: «Ha inizio il viaggio».
Il regista chiarisce pure la necessità di riequilibrare uno sbilanciamento tutto a favore della cantica infernale: «Noi tutti conosciamo l’Inferno perché ha più appeal, anche perché il Paradiso è visto come irraggiungibile. Invece per me il Paradiso è qui sulla terra ed è reale. È la vetta che si raggiunge dopo una passeggiata nei boschi. È la natura incontaminata. È un bambino appena nato, tenuto tra le braccia. La stessa Beatrice non è angelicata ma è una donna che a Dante “fa tremar le vene e i polsi”. Certo non è Beatrice il fine, così come non lo è Virgilio, un uomo che ha tutte le risposte ma che si morde anche le mani per aver creduto alla sola ragione. Con Dante costruirà una relazione. Il maestro qui non è sempre uno, e comunque – conclude Ortis – anche il maestro sbaglia».
I Re Magi a Piazza San Pietro
Un richiamo a imitare l’atteggiamento dei Magi, riassunto in tre azioni – guardare in alto, camminare e donare – è venuto da Papa Francesco alla Messa dell’Epifania in Vaticano. Nella Messa dell’Epifania come tradizione si annuncia la data della prossima Pasqua: il 14 febbraio sarà il giorno delle Ceneri e il primo aprile si celebra la Pasqua di Resurrezione.
In piazza il corteo storico folcloristico «Viva la Befana», che si ripete ormai da 33 anni: circa 1400 figuranti sono venuti dai comuni laziali di Cave, Genazzano e San Vito Romano. Il corteo nato nel 1985 per fare reinserire il 6 gennaio come giorno festivo nel calendario civile, si propone di celebrare l’ Epifania all’insegna della pace, della solidarietà e della fratellanza tra i popoli, anche attraverso la partecipazione di gruppi storici solidali provenienti da altre regioni d’Italia e non.
Francesco a sorpresa al Bambino Gesù
Venerdì pomeriggio Papa Francesco è andato in visita all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù nella sede di Palidoro proseguendo l’esperienza dei “Venerdì della Misericordia” che hanno caratterizzato il Giubileo. Ha visitato i diversi reparti, ha salutato i bambini ricoverati e ha scambiato alcune parole di conforto con i genitori che assistono i loro bambini in queste faticose e dolorose prove. Festa a sorpresa, quindi, per i centoventi piccoli ricoverati nella sede del Bambino Gesù a Palidoro: a poche ore dall’Epifania, il Pontefice ha voluto andare di persona a visitarli per salutarli e consegnare a ciascuno un dono e un sorriso.
La sede di Palidoro dell’Ospedale Bambino Gesù nasce nel 1978 grazie a un dono di Papa Paolo VI. In quell’anno, infatti, un “rescritto” dell’allora Pontefice affidava all’Ospedale la gestione della cessata attività della Pontificia Opera di assistenza di Palidoro, specializzata nella cura degli esiti della poliomielite. Fu proprio Paolo VI a comprendere che la vocazione sanitaria della struttura poteva essere alimentata orientandola verso nuove direzioni. Presso la sede di Palidoro è presente un Pronto Soccorso multispecialistico. Sono inoltre 122 posti letto per ricovero ordinario di cui 8 di rianimazione e 30 di reuroriabilitazione. Il presidio garantisce 7.200 ricoveri ordinarie 10.500 day hospital. A questi dati si devono aggiungere circa 360.000 prestazioni ambulatoriali e 21.200 accessi in Pronto Soccorso all’anno. Il 24% dei bambini assistiti a Palidoro proviene da fuori Regione.
L’attività pediatrica medica è basata su un approccio multispecialistico integrato, che garantisce assistenza specialistica individualizzata, coordinamento multidisciplinare e raccordo con le strutture del territorio. L’attività chirurgica include, oltre alla chirurgia pediatrica generale e specialistica, anche ambiti ad elevata specializzazione, quali la chirurgia della colonna vertebrale (scoliosi, cifosi, spondilolisi e spondilolistesi), la chirurgia bariatrica, la chirurgia per le patologie malformative complesse delle vie respiratorie. L’attività di neuroriabilitazione è infine rivolta a neonati, bambini e adolescenti affetti da malattie neurologiche invalidanti o da esiti delle stesse.
Radiopiù, torna il concorso rivolto ai cori parrocchiali
Torna per il 2018, dopo il successo del concorso dell’anno appena concluso, “Cantate inni con arte”, il festival di musica liturgica organizzato dall’emittente Radiopiù, dedicato ai cori parrocchiali della diocesi di Roma e delle diocesi suburbicarie. Saranno due le categorie in cui i cori si sfideranno, a colpi di brani editi e inediti. La finale si terrà ancora una volta nella parrocchia San Giovanni Battista de La Salle, al Torrino: l’appuntamento è fissato il prossimo 20 maggio alle 20 e vedrà l’esibizione di dieci cori parrocchiali, cinque per categoria.
A giudicare le formazioni corali sarà chiamata una giuria presieduta da monsignor Marco Frisina, direttore del Coro della diocesi di Roma e maestro della Cappella musicale lateranense, affiancato da Carlo Donadio, direttore d’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, Alvaro Vatri, presidente dell’Associazione cori del Lazio, e Francesco d’Alfonso, critico musicale, dell’Ufficio comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Le iscrizioni si terranno da gennaio ad aprile.
L’emittente romana lancia per il nuovo anno anche un concorso fotografico, “Scatta in parrocchia”, che si rivolgerà ai gruppi parrocchiali che vorranno raccontare in immagini le attività della propria parrocchia. Anche in questo caso sono previste diverse sezioni, tra cui una dedicata esclusivamente ai ragazzi che frequentano il catechismo per la comunione e per la cresima. Il bando verrà pubblicato a breve e la finale si terrà a novembre.
Per informazioni: www.radiopiu.eu.