FESTA DELLA MADONNA DELLA FIDUCIA 2018
Omelia nei Secondi Vespri
Cappella della Fiducia – Pontificio Seminario Romano Maggiore – Roma
Sabato 10 febbraio 2018
Dio mandò il suo figlio, nato da donna, perché ricevessimo l’adozione a figli.
Tutti noi avevamo bisogno di questa Donna, di una madre, per poi dire a Dio “Padre”, “Abbà”. E in seminario, in questo seminario, era necessario avere questa Madre, la Fiducia, per ritrovarci tutti nel seno del Padre, come discepoli che Gesù ama.
Mi pare tanto strano celebrare i secondi vespri della Fiducia, nel 25° del mio sacerdozio e vestito da qualche settimana in questo modo… Mi pare strano anche perché – ai nostri tempi – la maggior parte di noi in questo giorno neanche li diceva i vespri (ad eccezione forse del vostro rettore) impegnati come eravamo in un giorno preparato da mesi con prove di oratorio, e poi da una settimana di pulizie, di spostamento di sedie e di banchi, e poi dai primi vespri, le prove generali, le lodi, l’apparecchiamento, la messa, il pranzo e subito dopo la cappella che si riempiva di centinaia di giovani per l’incontro con Giovanni Paolo II, che si fermava infine a cena con noi. Giornata intensissima – in cui ci dispensavamo dai vespri – ma che rivivrei mille volte, con tutte le fatiche ripagate dallo sguardo e la gioia degli ex alunni che vedevo venire qui e qui pregare, dialogare con Lei, con la Fiducia. Ripagate dallo sguardo del Papa che rendeva in quel giorno più luminoso il nostro seminario.
Ed ora anche voi, noi stasera, dopo la novena e l’intensità di queste ultime 24 ore, siamo qui, per questo ultimo atto della Fiducia, forse con già lo sguardo e il desiderio della gita di classe o almeno di un meritato riposo. Ma, spero, con una pienezza nuova, con tanti sguardi di preti o vescovi ex alunni, giovani o anziani, che abbiamo visto qui, in questi due giorni, dialogare con Lei. Di loro, ma anche di noi. Di fatto, se in questo giorno veniamo qui non è solo per ricordare con gratitudine e un po’ di nostalgia i tempi passati, ma perché vediamo in voi una continuità, una chiesa che cresce, una speranza giovane, che si avvia al ministero sacerdotale con l’atteggiamento del discepolo che sotto la croce accoglie con fiducia una nuova Madre.
Mi ha sempre toccato scoprire quanto la Fiducia fosse venerata non solo dai preti ma anche da tanti laici. Vi basti sapere che i miei genitori, grazie al loro viceparroco, ex alunno, in una parrocchia qui vicina, erano abituati a pregare la fiducia, e anche a venire qui nel giorno della festa nel breve spazio in cui il seminario era vuoto perché i seminaristi erano a passeggio ed era permesso persino alle donne, in quell’occasione, di salire qui in cappella.
I miei genitori scelsero come loro data di matrimonio la festa della fiducia, 11 febbraio 1961. E fu anche un caso che qualcuno regalò loro per il terzo figlio, cioè io, una medaglietta della fiducia per il mio battesimo, che io ho fatto incastonare nel calice della mia prima messa.
Madre mia fiducia mia, in italiano, concludeva le mie preghiere di bambino e solo quando venni per la prima volta nella cappella maggiore, a 16 anni, per partecipare alla festa della fiducia 1984 e all’incontro del Papa con i giovani, ritrovai quella giaculatoria, che forse avevo rimosso, nel mosaico in fondo, che mi risuonò familiare.
Ma penso anche, più recentemente, ad uno dei miei viceparroci, che insegnava sempre ai bambini questa giaculatoria facendogliela letteralmente gridare, per tre volte, a conclusione di ogni incontro, di ogni preghiera. E vi assicuro che era una gioia, da parroco, sentire quel “Fiducia mia” urlato da duecento ragazzini insieme.
Mi piace anche ricordare, tra tanti, un vescovo, collaboratore anziano nella mia parrocchia, che aveva questa giaculatoria come motto, e che concluse la sua vita morendo in canonica con noi, e le sue ultime parole furono proprio “mater mea fiducia mea”.
Forse una storia fin troppo segnata, la mia, che ora mi ritrova in questo tratto della mia vita, a quasi 50 anni di età e a 25 di sacerdozio, da vescovo appena ordinato per la pastorale della Salute, alla vigilia della Giornata del Malato, in questa cappella.
Ma è la storia di tanti altri, che sono qui rappresentati da noi. In questa sera della Fiducia le pareti di questa cappella si allargano, per accogliere tutti gli ex alunni del mondo, con voi, comunità di oggi.
E sono felice di questo, esortandovi a trovare qui il vostro posto sacro, ricordando che uno dei miei primi compagni di gruppo, ora missionario fidei donum in Brasile, mi insegnò, nei miei primi giorni di seminario, che non si poteva chiudere la giornata senza passare dalla Fiducia, da qui. E qui sono tornato in tante sere, o, una volta lasciato il seminario, in alcune mattine della mia vita, in particolare quando sono stato chiamato a rispondere ad altre chiamate, al passaggio da una parrocchia all’altra o, nel novembre scorso, nel giorno in cui mi è stata comunicata la mia nomina. Questo luogo, la Fiducia, è crocevia di storie, passate presenti e future, dove tutti ci ritroviamo figli, fratelli, discepoli… Tutti, sacerdoti o vescovi o cardinali, di tutte le parti del mondo, in diverse situazioni, ci ritroviamo di nuovo in qualche modo seminaristi, perché non si smette mai di crescere, di imparare, anche e soprattutto sbagliando.
Ora che la Fiducia la ritrovo sul mio anello, penso che viene una fase della vita in cui il prete, senza anche questo “scoglio” dell’episcopato, impara a guardare a Maria Madre chiedendo il dono di una rinnovata fedeltà alla chiesa, una fedeltà materna e nuziale, che diventa fecondità per tanti. Perdonateci se non sempre vi testimoniamo, noi ex alunni, questa fecondità gioiosa e preghiamo stasera il Magnificat augurandoci che ogni sera della nostra vita possiamo ripartire per voi fisicamente e per tanti spiritualmente da qui, da questa cappella, per gioire di un Incontro che ci ravviva, che ci rinnova, che ci richiama.