Giorno della Memoria: Efrati, i sogni di un pugile presi a pugni dalla Shoah

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Giorno della Memoria: Leone Efrati ricorda il nonno

Lo chiamavano Lelletto, a Trastevere. Era lì che Leone Efrati, pugile romano di religione ebraica viveva con la sua famiglia. Poi lasciò l’Italia per intraprendere una brillante carriera internazionale nel pugilato. Fino al 29 dicembre 1938 quando negli Stati Uniti, per la scalata al titolo mondiale nella categoria dei pesi piuma, sfidò il campione Leo Rodak.

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Leo Rodak e Leone Efrati – foto archivio famiglia Efrati

A prendere a pugni i suoi sogni, fino a ridurli in frantumi, non furono i pugili sfidati sul ring, ma le leggi razziali. Leone, preoccupato per la sua famiglia, tornò a Roma. Ma non gli fu più permesso di praticare la boxe. Fu catturato in un giorno di primavera, a San Giovanni, mentre era in bar con suo figlio Romolo a prendere un gelato.

A raccontarci la storia di un uomo dal cuore grande, il cui nome campeggia oggi nella International Jewish Sports Hall of Fame, è, in prossimità del Giorno della Memoria, Leone Efrati, nipote dell’omonimo pugile.

“La boxe per mio nonno era praticamente tutto”, spiega. Dalle testimonianze delle poche persone che hanno fatto ritorno dai lager emerge che Efrati, peso piuma, venisse costretto dai kapò, per mero divertimento, a “combattere contro pesi massimi”. Era l’unico modo, per il pugile, di poter restare in vita. Fino a quando, in difesa del fratello picchiato dai nazisti, affrontò, da solo, 5 uomini. Morì il 16 aprile 1944 a 27 anni.

La sua vita in una valigia

Proprio lo scorso anno, durante dei lavori di ristrutturazione nella storica palestra Audace, nel rione Monti, dove Leone si allenava, è stata ritrovata la valigia con cui è tornato a Roma dall’America prima di essere deportato ad Auschwitz. All’interno i suoi guantoni

rossi da boxe, il casco e le scarpe: la sua vita, ora in mostra al Museo della Shoah di Roma.

“È stata un’emozione molto forte ritrovare queste cose dopo 80 anni. Vivo con rammarico di non averlo potuto conoscere, vedere gli incontri che faceva. Mi raccontano che era una persona buona, gentile con tutti” aggiunge il nipote del pugile che, ricostruendo la figura del nonno tramite i racconti fatti da chi lo hanno conosciuto, precisa: “tornato dall’America regalò a parenti e amici tutto ciò che aveva guadagnato

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Leone Efrati, foto archivio famiglia Efrati

e comprato”. Una volta, salvò persino un ragazzo che stava annegando nel Tevere. Per coprirlo, gli regalò la sua giacca di pelle comprata negli Stati Uniti.

Poi, ritornando all’imminente Giorno della Memoria, conclude, “il passato non ci ha insegnato niente. La religione con la politica e lo sport non dovrebbe entrarci”.

Ascolta le parole di Leone Efrati: