L’arcivescovo di Tirana Dodaj: «La Chiesa albanese testimonia la Resurrezione»

È una notte d’estate del 1993 e Arjan Dodaj, sedicenne, sale su un barcone insieme a una quarantina di connazionali, pronto a lasciare l’Albania e raggiungere l’Italia. Arriva a Ostuni e poi si sposta a Cuneo, dove lavora come giardiniere, saldatore, muratore. Scopre la fede cattolica, che all’epoca, nel suo Pese, era vietata. Entra nella Fraternità dei Figli della Croce, viene ordinato sacerdote a Roma, da san Giovanni Paolo II. Da un paio d’anni è l’arcivescovo di Tirana-Durazzo e in questi giorni accompagna il gruppo della diocesi di Roma in pellegrinaggio in Albania e Macedonia del Nord.

«Questa visita è molto importante per ambedue le parti, sia per la Chiesa di Tirana che quella di Roma – dice l’arcivescovo –. È un modo di dire grazie da parte nostra alla Chiesa di Roma che ha contribuito, in questi trent’anni di post-comunismo, nella ricostruzione di una Chiesa che era stata non dico perseguitata, ma oserei dire annientata da cinquant’anni di comunismo. C’era davvero bisogno della Chiesa madre di tutte le Chiese. C’è un legame molto forte della Chiesa albanese con il vescovo di Roma, il Papa, che proprio per questo è stata perseguitata».

Il pellegrinaggio diocesano – organizzato dall’Opera Romana Pellegrinaggi e guidato dal cardinale vicario Angelo De Donatis, a cui partecipano numerosi vescovi, sacerdoti e laici – si colloca subito dopo Pasqua. Un periodo significativo, per monsignor Dodaj. «La Chiesa in Albania è la testimonianza pasquale di una dimensione di vita che riprende, risorge – spiega –. La Chiesa albanese davvero è stata la Chiesa delle catacombe, perché tutti i segni visibili e pubblici della presenza di Dio erano stati totalmente distrutti o camuffati da altro. Questa Chiesa è venuta fuori dalla tomba. Questo è un popolo a cui era stata calpestata la coscienza, soffocata la libertà religiosa. Quella che si fa qui è veramente un’esperienza di resurrezione».

Lo testimoniano anche le parole di don Tommaso Morelli, sacerdote fidei donum della diocesi di Roma che da quattro anni è in missione in Albania. Il gruppo romano ha celebrato la Messa nella parrocchia che guida, alla periferia di Tirana, e qui ha piantato un albero di ulivo. Per ora non c’è una vera chiesa, ma solo piccolo prefabbricato. Un luogo sempre affollato di fedeli. «L’Albania è uno stato molto complesso, che vive su tanti livelli e tante dimensioni – spiega don Morelli –. Nella bandiera c’è quest’aquila che guarda un po’ a oriente e un po’ a occidente, ed è proprio così. Questo popolo ha vissuto quasi cinquant’anni sotto la dittatura comunista, che ha distrutto interiormente le persone. Rimane però un popolo molto religioso, e se da una parte il comunismo ha fatto tabula rasa, loro sono pronti ad ascoltare una parola di verità».

Nella giornata di mercoledì il gruppo della diocesi è stato a Ocrida, nella Macedonia del Nord, che ospitò antichissimi insediamenti Illirici e in seguito Greci, mentre la città divenne in età medievale uno dei centri culturali, religiosi e artistici più importanti della Penisola Balcanica e dell’Europa slava. Nel 1979 la città e il suo lago vennero dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’umanità. Oggi, invece, i trentadue pellegrini saranno accompagnati dal vescovo ausiliare Imzot Asti Zv Janullatos nella visita alla Chiesa della Resurrezione di Cristo, cattedrale della Chiesa Ortodossa Albanese, e incontreranno la comunità ortodossa di Tirana.

12 aprile 2023