A San Giovanni in Laterano l’incontro con il vescovo di Castellaneta monsignor Claudio Maniago, presidente della Commissione liturgica della Conferenza episcopale italiana ed esperto di liturgia, che ha illustrato la terza edizione del volume e le sue implicazioni per la pastorale liturgica.
Il nuovo film doc live con il vescovo Gervasi: la storia di una mamma rimasta vedova
La storia di una mamma rimasta vedova da giovane, con tre figli da crescere, sarà al centro del nuovo film doc live di Giuseppe Aquino, che viene pubblicato oggi sul nostro sito internet e sul canale YouTube della diocesi di Roma. Come di consueto in questo “video percorso” verso la Pasqua, la famiglia in questione verrà ascoltata dal vescovo Dario Gervasi, delegato diocesano per la Pastorale familiare. Il prelato andrà a casa della famiglia, parlerà e pregherà con loro, per realizzare in concreto quell’ascolto profondo che segna il cammino diocesano di quest’anno.
«In questi brevi film nessuno recita, filmiamo semplicemente la realtà – chiarisce Aquino, regista di cinema, teatro e televisione –, in modo veritiero, e questo è possibile perché si è creato un bell’equilibrio tra di noi». Molto utilizzata, per questo tipo di lavoro, la tecnica del piano sequenza: «Giriamo senza mai staccare, giriamo il vero e poi montiamo – sottolinea ancora il regista –. Abbiamo tutte scene lunghe, e la luce che c’è dentro gli appartamenti non viene compensata da quella artificiale. Questo ci dà la possibilità di diventare piccoli e quasi invisibili per le persone che si trovano lì, in presenza, in modo da non disturbare il vescovo e la famiglia. In tal modo riescono davvero ad aprirsi, a essere veramente loro stessi».
5 marzo 2021
Il nuovo corso per i ministri straordinari della Comunione
Parte lunedì 23 ottobre il primo dei due corsi dell’anno pastorale per i nuovi ministri straordinari della Comunione, promossi dall’Ufficio liturgico della diocesi di Roma. “Il cristiano e la malattia” sarà il tema dell’appuntamento, dalle 19 alle 20.30 presso la parrocchia di San Giovanni Bosco (viale dei Salesiani, 7); seguiranno, con cadenza settimanale, altri nove incontri. Qualora qualcuno dovesse perdere uno o più incontri, potrà recuperarli nel corso successivo, che si terrà a partire da febbraio il sabato mattina.
Per partecipare è necessario presentare il modulo di richiesta firmato dal parroco, la scheda con i dati personali e una fototessera. «Sicuramente tutti poniamo molta attenzione nella scelta dei candidati – sottolinea padre Giuseppe Midili, direttore dell’Ufficio diocesano –: persone conosciute da tempo e stimate dalla comunità, di assoluta fiducia e onestà, con una profonda vita spirituale e amore per il Signore. Ogni ministro che entra in una casa lo fa sempre a nome e per conto del parroco: è la “longa manus” che arriva nelle famiglie degli anziani e dei malati e deve rappresentare al meglio chi lo manda e la comunità di cui è espressione».
Per ulteriori informazioni, consultare il sito internet dell’Ufficio liturgico diocesano.
18 ottobre 2023
Il nuovo corso per i ministri straordinari
Prendono il via il primo febbraio gli incontri del nuovo corso di formazione per ministri straordinari della Comunione, promossi dall’Ufficio liturgico della diocesi. Le lezioni – 10 in tutto – si terranno il mercoledì dalle 19 alle 20.30 presso la basilica di San Giovanni Bosco, in viale dei Salesiani 7 (possibilità di parcheggio presso l’oratorio, con ingresso da via Publio Valerio 73).
Il mandato sarà rilasciato a seguito della frequenza integrale del corso. In caso di una o più assenze, il candidato potrà recuperarle nel corso successivo.
Le iscrizioni vanno effettuale all’Ufficio liturgico. Necessario presentare il modulo di richiesta firmato dal parroco, la scheda con i dati personali e una fototessera. La modulistica è scaricabile dal sito internet dell’Ufficio. Previsto un contributo per le spese del corso e il materiale didattico.
18 gennaio 2023
Il nuovo calendario proprio della diocesi di Roma
Si celebra per la prima volta oggi, venerdì 7 luglio, la memoria liturgica dei Santi Vescovi della Chiesa di Roma, in cui si ricordano tutti i pontefici santi. Mentre il prossimo 25 ottobre ricorrerà la solennità della Dedicazione in quelle Chiese in cui non si conosce la data. Ancora, l’8 novembre, sarà la memoria di Tutti i Santi della Chiesa di Roma, che si celebrerà con particolare devozione nei luoghi in cui si trovano le reliquie dei santi romani. Mentre il 4 giugno si ricorderà la memoria mariana per la diocesi di Roma, coincidente con la memoria di Santa Maria Salus Populi Romani.
Sono alcune delle novità introdotte dal calendario proprio della diocesi di Roma, che rivede e aggiorna l’ultima versione, risalente al 1972. Ogni diocesi, infatti, ha un suo calendario particolare, nel quale sono ricordati in modo speciale i santi legati a quel territorio. Ma la Chiesa di Roma costituisce un caso a sé perché, spiega il cardinale vicario Angelo De Donatis, «la scelta di usare lo schema romano come base per il calendario universale, operata dopo il Concilio di Trento con l’edizione del Messale e del Breviario, ha determinato che molte figure di santità eminenti per la vita della diocesi di Roma siano già celebrate nel calendario universale. Alla luce di ciò per l’Urbe si è elaborato non tanto un vero calendario proprio, ma piuttosto una integrazione particolare, locale, al calendario romano che in essa si è costituito e ha preso forma lungo i secoli».
Non solo. «Non era pensabile inserire nel calendario di Roma tutte le figure di santità che sono state coinvolte con la nostra diocesi, perché la maggior parte dei grandi santi è passata per Roma, o ha fondato qui case e istituti», sottolinea padre Giuseppe Midili, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano. «Le dimensioni della diocesi, la presenza e la sepoltura nel suo territorio di numerosissimi santi e beati, la presenza di tanti organi di governo degli istituti di vita consacrata avrebbero determinato l’inserimento di molteplici figure nel calendario proprio – evidenzia il cardinale De Donatis –. Tuttavia, appare evidente l’impossibilità di contenere nell’arco dell’anno i nomi di tutti».
Si è dovuto pertanto «ipotizzare – riprende padre Midili – un calendario che desse enfasi a quelle figure di santità che sono legate alla vita della diocesi e di cui c’è un culto attestato in tutto il territorio di Roma, cioè verso cui il popolo cristiano manifesta una particolare devozione. Le altre figure, di fatto, si possono celebrare come memoria facoltativa lì dove la comunità li venera e li ricorda». Di qui l’idea anche di raggruppare alcune celebrazioni, come quella dei pontefici santi o dei santi romani.
È stato, quindi, necessario un lavoro di studio e sistemazione, del quale è stata incaricata una Commissione ad hoc, creata nel 2018. «Sin dalla sua costituzione – ricorda il cardinale vicario – il gruppo di lavoro ha seguito un percorso di studio e di ricerca, in dialogo con il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Sono stati tenuti in particolare considerazione i criteri seguiti per la precedente revisione del calendario di Roma, compiuta nel 1972: sobrietà, interesse universale, riconosciuta devozione del santo o beato, celebrazione del culto di qualche santo o beato solo in chiese e parrocchie particolari».
Rispetto alla versione del 1972, in questo nuovo calendario tutte le memorie sono state trasformate in facoltative; in questo modo «nei luoghi in cui c’è una devozione particolare a un santo, o in cui sono custodite le sue reliquie, si può sempre celebrarne la memoria». Lo spiega sempre padre Midili, che aggiunge: «Non si è ridotta la possibilità di celebrare alcuni santi, si è piuttosto concentrata in quei luoghi nei quali c’è culto, secondo un criterio che viene dal Messale».
L’unica memoria facoltativa di nuova introduzione è fissata al 25 novembre, per celebrare i beati coniugi Beltrame Quattrocchi nel giorno del loro matrimonio, dato che specialmente a Roma «sono conosciuti e considerati modello di sposi cristiani e verso cui c’è culto e devozione», conclude il cardinale vicario.
Il nuovo calendario proprio è disponibile on line sul sito dell’Ufficio liturgico diocesano, al link http://www.ufficioliturgico.diocesidiroma.it/index.php/proprium/. L’edizione cartacea sarà disponibile nei prossimi mesi.
La lettera del cardinale vicario
7 luglio 2023
Il nuovo anno per la pastorale giovanile, “laboratorio di artigiani”
«Nella nostra diocesi desideriamo continuare a lavorare per una pastorale giovanile lontana dalla tentazione di isolarsi e consumarsi in iniziative troppo mondane, ma desideriamo che sia sempre più attenzione urgente e principale dell’agenda di una comunità». A spiegarlo è don Antonio Magnotta, direttore del Servizio diocesano per la pastorale giovanile, illustrando le attività previste per l’anno appena iniziato. «Sogniamo una pastorale giovanile ospitale – continua –, una casa-laboratorio artigianale dove ognuno deve trovare lo spazio per mettere il proprio cuore». Per farlo bisogna innanzitutto mettersi in ascolto, e proseguire nei «trentuno laboratori nati nelle prefetture dei settori della diocesi – dice don Magnotta –. Crediamo infatti che siano prioritari sia la formazione che avviare, sul territorio, processi di relazione».
Primo appuntamento da segnare in agenda, quello del 12 ottobre: un incontro di formazione per gli animatori degli adolescenti e dei giovani, aperto anche a insegnanti di religione e membri delle equipe parrocchiali, durante il quale verranno anche illustrate le iniziative dell’anno. Si nella Sala Tiberiade del Seminario Maggiore, dalle 9.30 alle 17; la giornata sarà aperta dal saluto del vescovo ausiliare Paolo Selvadagi, delegato per la pastorale giovanile, e vedrà poi l’intervento di Roberto Mauri del Centro Studi Emmaus.
In programma poi numerosi momenti formativi per animatori, educatori, coppie organizzati a livello di prefettura. «La priorità della formazione consente di dare solidità al servizio nelle nostre parrocchie – sostiene don Magnotta – e la cura verso gli adolescenti è l’unica via per rigenerare la stessa pastorale giovanile».
È pensata invece per i ragazzi la Festa di Avvento e accoglienza dei nuovi gruppi dopo Cresima, il 30 novembre ai Santi Aquila e Priscilla. Dal 27 al 29 dicembre, coloro che hanno compiuto 18 anni potranno anche partecipare al ritiro spirituale a Santa Maria dell’Acero, a Velletri. Nella stessa sede, dal 6 all’8 gennaio, si terrà invece il ritiro per i sacerdoti che seguono gruppi giovanili.
Momenti forti per i più giovani anche quelli dell’8 febbraio, quando potranno partecipare a una esperienza di carità in collaborazione con il Centro diocesano per la pastorale sanitaria, in occasione della Giornata del malato; e del 29 marzo, con la Festa diocesana per gli adolescenti al Santuario mariano del Divino Amore.
Le attività del Servizio diocesano per la pastorale giovanile proseguiranno anche durante il periodo estivo, con la proposta di diversi campi a seconda delle età dei partecipanti: che siano delle medie o delle superiori, o sopra i 18 anni.
3 ottobre 2019
Il Natale nell’Ostello Caritas
Stringe nel pugno destro un sacchetto di cartone mentre si dirige zoppicando all’ostello Caritas “Don Luigi Di Liegro”, in via Marsala. Dentro, un piumino scuro e le scorte per il suo cammino quotidiano tra le vie della città. È sera, la temperatura sfiora i tre gradi, quando Mimmo, napoletano, rientra in quella che definisce la sua “casa”. Occhiali spessi, baffi lunghi e un’insolita allegria, che conserva nonostante sia stato messo ai margini dalla vita. «Qui, però, adesso ho una famiglia». Lo dice poco dopo aver premuto il tasto dell’ascensore per raggiungere la sua stanza. «Mi aspetti, voglio parlare», dice al cronista.
La hall della struttura, a due passi dalla stazione Termini, è un vero e proprio porto di mare. Nel buio della sera ritornano i tanti senza fissa dimora, accolti dopo le loro giornate impegnate a cercare di raddrizzare la rotta. All’ingresso, un grande albero di Natale, nei corridoi le decorazioni, le ghirlande. «Qui viviamo davvero un amore e una condivisione con le persone accolte», spiega un volontario. Sono 185 quelle che dispongono di un alloggio, tra le 17.30 e le 8.30 del mattino successivo. Per la maggior parte sono italiani che perdono il lavoro e non riescono a reimpiegarsi ma sono numerosi anche gli stranieri che non hanno trovato nel nostro Paese la fortuna sperata. Il tentativo degli operatori è quello di far vivere loro un Natale in famiglia. Anche se per molti «è un nervo scoperto», come ammette Lorena, ospite della struttura da sei mesi.
Domenica 24 dicembre, alle 17, presiederà la celebrazione eucaristica il vicario del Papa per la diocesi di Roma, l’arcivescovo Angelo De Donatis. Sono attesi sia il sindaco della Capitale Virginia Raggi, sia il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Poi la cena insieme. E l’attesa della mezzanotte giocando a tombola. I volontari porteranno un dono da assegnare ai vincitori. Ma ciò che importa è «l’atmosfera che si viene a creare durante la serata. Un’atmosfera che contrasta con la solitudine che vivono molte delle persone che alloggiano qui. Cerchiamo di dar loro il calore che potrebbero ritrovare nelle loro case», spiega Luana Melia, coordinatrice dell’ostello.
L’attività degli operatori è continua. Alcune suore lavano e curano i piedi dei senza fissa dimora. Altri volontari si dedicano a sistemare le stanze o le scorte di indumenti che distribuiranno. Una vera e propria macchina ben rodata, di cui Tina, 91 anni, è la mascotte. Il suo servizio è cominciato nel 1987, al fianco di don Di Liegro. «Un giorno stavo sistemando le scarpe con le suole rovinate. Me le fece buttare perché troppo consumate. Le comprò lui ai poveri», ricorda passando in rassegna vari momenti vissuti in quegli anni. Come il giorno in cui fece la doccia con una donna che non voleva lavarsi. «Fu il massimo della condivisione». Tina è tornata nei locali di via Marsala dopo due mesi. Ha combattuto contro una malattia, ma non lo ha detto agli altri volontari, perché «non devono distrarsi dal loro impegno».
Nel corridoio principale che conduce alle stanze cammina Alfredo, 62 anni, ospite della struttura negli ultimi 18 mesi. Con la sua stampella arranca verso il fondo. In passato ha lavorato in un’impresa di pulizia, poi il licenziamento, la ricerca di un nuovo lavoro, l’impossibilità di trovarlo e di pagare l’affitto. «Ho vissuto per strada per molto tempo, ho dormito nelle stazioni. La strada non fa sconti, ti trovi ad affrontare tante difficoltà, come il freddo e l’indifferenza della gente», racconta con gli occhi lucidi. Finché non è stato ospitato dalla Caritas. «Qui ho trovato una seconda famiglia, sto bene. Mi sono sempre tirato su le maniche e ho camminato a testa alta. Sarà un Natale comunque bello».
Nella sua vita precedente Lorena, 58 anni, non avrebbe mai pensato di dormire lontano da una casa. Laureata, con un lavoro ben avviato a contatto col pubblico, si è scontrata con il colpo di coda della crisi. «Quando ci si ritrova per strada non c’è mai solo un motivo – spiega -. Avevo una società con diversi dipendenti. Mi occupavo anche di arredamento a livello estero. Poi, con la crisi è cominciato il tracollo e per una donna sola le difficoltà sono sempre maggiori». Dal cancello si dirige verso la hall, Erika, 35 anni. Rientra dopo una giornata in cui ha lavorato da badante. Un impegno saltuario. Giunta in Italia da tre anni dall’Ucraina, non è riuscita a trovare un lavoro, nonostante la sua laurea da avvocato. Conserva la sua scala di priorità: «Prima il lavoro, poi la casa, poi la famiglia». E lo dice «senza sognare. Ormai conosco bene la realtà». L’ora di cena si avvicina, riecco Mimmo, pronto ad andare a mensa. «Ho fatto tante cose nella mia vita. Anche la pizza. Una sera vorrei prepararla per tutti. Ci venga a trovare, non se ne pentirà».
21 dicembre 2017
Il motu proprio “La vera bellezza”
Il Santo Padre ha promulgato in data primo ottobre il motu proprio “La vera bellezza” riguardante la ripartizione del territorio della diocesi di Roma.
Di seguito il testo integrale, che può essere anche scaricato nella sezione Archivio Documenti del nostro sito internet.
La vera bellezza è Cristo e in Lui la Chiesa contempla il suo unico centro. Il Bel Pastore è l’unico punto di convergenza dal quale ha origine e si irradia ogni meraviglia e ogni splendore. Ogni battezzato che attraversa la Città Eterna è chiamato a riscoprire e a sentirsi parte di questa bellezza e centralità, che porta il profumo dell’accoglienza e la veste splendida della carità. In questa prospettiva, desidero rafforzare la percezione unitaria e sinodale della Diocesi di Roma a partire dalla sua conformazione geografica, che possa meglio esplicitare il senso autentico della sua centralità e della sua bellezza.
Per molti secoli la città di Roma si è raccolta all’interno delle Mura aureliane e il ridotto numero di abitanti ha permesso che la Chiesa di Roma fosse concepita come un’unica dimensione organizzativa facilmente gestibile.
A partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, Roma ha vissuto un’espansione tale da renderla, per densità, una delle metropoli più grandi d’Italia. Ciò che per secoli ha rappresentato l’intera città di Roma man mano è diventato il solo “centro storico” circondato da tanti quartieri definiti “periferici”.
Tutto ciò, a partire dai primi anni ‘60 del secolo scorso, ha portato a una complessa organizzazione diocesana capace di fronteggiare le esigenze pastorali dettate dalla tanto rapida quanto grande espansione cittadina. Nasceva così l’odierna suddivisione della Diocesi in cinque Settori, al cui interno si trovano quelle che rappresentano le parti in cui concretamente e realmente è suddiviso il territorio della Diocesi, ossia le Parrocchie raggruppate in Prefetture.
Tale impostazione ha avuto sicuramente il pregio di assistere spiritualmente e pastoralmente i vari quartieri – specie le periferie – tramite l’edificazione di Parrocchie e luoghi di culto, con la possibilità di organizzare il clero e di garantire a presbiteri e popolo una presenza apostolica vicina nella figura del Vescovo ausiliare, capace di occuparsi dei problemi concreti del singolo Settore (cfr. Motu Proprio Romanae Urbis, 1966)
Anche la pastorale d’ambiente, caratterizzata sia dalle attività caritative sia dall’assistenza spirituale nelle strutture preposte (si pensi alle cappellanie ospedaliere) e nei diversi contesti che popolano la città ha saputo organizzare un’ottima rete nei Settori periferici. Con l’incremento della mobilità non è mancata la pastorale dei pellegrini e del turismo, trasformando sempre più il centro storico (divenuto Settore Centro) in un grande santuario a cielo aperto, dando origine a quelli che oggi sono conosciuti come itinerari della Roma cristiana per pellegrini e per turisti.
Tuttavia, l’effetto collaterale che a lungo andare ha toccato la Diocesi nel tentativo di adeguarsi all’espansione dell’agglomerato urbano è stato quello di vedere una sempre maggiore differenza e separazione tra il centro di Roma e le periferie. Molte zone periferiche e di conseguenza molte Parrocchie, pur essendo configurate all’interno del Comune e della Diocesi di Roma, non sono state curate con l’attenzione alla bellezza e all’identità che caratterizza Roma; viceversa, il centro storico, che costituisce una buona parte del “Settore Centro”, si è sempre più “isolato”, rischiando di diventare un luogo a sé stante e nascosto, che vive dimensioni pastorali legate alla carità verso i molti poveri che abitano il centro di Roma e ad antichissime devozioni, tutte testimonianze che necessitano di essere aperte alla città intera, affinché questa non diventi un museo da visitare, bensì un luogo che possa manifestare e diffondere tutta la santità di Roma.
Un altro effetto collaterale è l’intreccio che si è andato a costituire tra Diocesi e Comune di Roma, in riferimento alle periferie e al Centro storico. Spesso le periferie denunciano l’assenza di adeguati servizi e trovano nelle Parrocchie, ben radicate sul territorio, un valido supporto sociale e culturale, oltre che spirituale e pastorale. Al contrario, se per il Comune di Roma è chiara l’identità e la finalità del centro storico, meta di turismo e di pellegrini per cui si è sempre pronti a investire, la Diocesi ha avuto delle difficoltà a impostare una pastorale efficace, capace di cogliere le esigenze spirituali di una popolazione caratterizzata prevalentemente, ma non solo, da pendolari, commercianti e turisti.
Lo svuotamento residenziale del centro storico ha modificato la pastorale ordinaria del Settore, che ha visto una lenta ma inesorabile riduzione del numero di Parrocchie, oggi solo trentacinque in un territorio molto vasto e ciascuna con un afflusso di parrocchiani molto inferiore rispetto alle Parrocchie degli altri Settori. La mancanza di una pastorale alternativa ha determinato nel tempo la ridotta accessibilità di molte chiese o luoghi di culto, ricchi di storia, di arte e di fede. Esiste dunque un patrimonio dall’alta potenzialità da tempo in giacenza che chiede di essere ripensato e messo a servizio del popolo di Dio.
L’insieme di queste criticità ha portato la Diocesi ad attribuire al Settore Centro un’importante valenza “logistica”, legata anche alle molte Istituzioni che vi hanno la propria sede, non riuscendo ancora a sviluppare, tuttavia, quella dimensione pastorale che le è propria: in esso sono state concentrate le residenze di molti enti, collegati anche alle tante Rettorie presenti sul territorio, molte di queste antichissime e veri e propri scrigni preziosi di bellezza e di spiritualità, le cui finalità solo in rari casi hanno incidenza sulla pastorale concreta della città nel suo insieme. Pur non mancando molte belle e positive esperienze di vita sacerdotale e comunitaria pienamente inserite nella vita pastorale del centro storico di Roma, spesso il clero destinato al Settore Centro è solamente residente in strutture di culto, vivendo poi il proprio ministero in altri incarichi o uffici.
A motivo di tutto ciò, nel grande contesto del cambiamento d’epoca che tutti stiamo vivendo, nell’imminenza del Giubileo diventa necessaria e improrogabile una rilettura del senso pastorale da attribuire alla presenza sul territorio da parte della Diocesi di Roma.
Alla luce dei numerosi interventi, delle richieste già avanzate e di un lavoro iniziato da tempo, dispongo che vengano ridefiniti i confini delle Prefetture in cui è suddivisa oggi la Diocesi di Roma, affinché siano armonizzati i contesti di riferimento e le Parrocchie che vi appartengono. Sarà un percorso che richiederà alcuni mesi di lavoro. In tale prospettiva e nel tentativo di suscitare un sempre maggiore spirito di comunione ecclesiale, con la speranza di meglio integrare periferie e centro storico, dispongo che le attuali cinque Prefetture del Settore Centro siano incluse negli altri Settori, riducendo l’organizzazione territoriale della Diocesi di Roma solo in riferimento ai quattro punti cardinali. I quattro Settori, in base alla posizione geografica, includeranno le cinque Prefetture e le trentacinque Parrocchie presenti sul territorio del Settore Centro. Nello specifico, rispetto a quanto fu stabilito dal Decreto del Cardinale Vicario in data 11 marzo 1966 e successive modifiche, dispongo che: il Settore Nord includa la Prefettura IV, il Settore Est includa la Prefettura V, il Settore Sud includa la Prefettura III, il Settore Ovest includa le Prefetture I e II. In questo orizzonte non ci sono più un centro isolato e una periferia divisa in compartimenti separati, ma, in una visione dinamica che prevede non muri ma ponti, la Diocesi di Roma sarà concepita come un unico centro che si espande attraverso i quattro punti cardinali. In questa prospettiva, il venir meno dei confini del Settore Centro non significa affatto chiuderlo, come potrebbe sembrare in apparenza, bensì aprirlo. Desidero, infatti, che con questa decisione sia esaltata la specificità pastorale del centro storico di Roma in un’identità diocesana. Questo favorirà anche in seno al Consiglio Episcopale condivisione di lavoro e unità d’intenti su un’area della città così nevralgica.
Con l’auspicio di sciogliere la tensione bipolare che nel tempo si è innestata nella percezione sociale ed ecclesiale tra centro storico e periferie, mi preme richiamare proprio i “quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale”, desunti a suo tempo dalla Dottrina Sociale della Chiesa e menzionati in Evangelii Gaudium, in riferimento alla realizzazione del bene comune e della pace sociale (EG 217-237): 1) Il tempo è superiore allo spazio; 2) La realtà è più importante dell’idea; 3) L’unità prevale sul conflitto; 4) Il tutto è superiore alla parte.
All’interno di questi quattro principi desidero rendere esplicite le motivazioni teologiche e pastorali sottese a questa riconfigurazione territoriale.
1) Il tempo è superiore allo spazio
Ogni sforzo pastorale ha l’obiettivo di preparare, assecondare e custodire l’incontro personale tra Dio e la creatura umana. La Rivelazione stessa, per sua natura, ha una tensione sacramentale che trova la sua più alta realizzazione nell’incontro personale con Cristo. A questa ambiziosa vetta tende tutto il dinamismo pastorale ed è questo il centro bellissimo da raggiungere, da contemplare e da custodire. C’è un tempo per desiderare l’incontro con Cristo, c’è un tempo per contemplare l’incontro con Cristo, c’è un tempo per custodire l’incontro con Cristo. È chiaro che questo incontro, per i limiti della percezione umana, ha bisogno di uno spazio per realizzarsi, ma lo spazio è solo lo scenario in cui si gioca il tempo dell’incontro, poiché “il tempo è superiore allo spazio”.
Tuttavia, mentre l’Eterno entra nel tempo, il tempo fatica a entrare nell’eternità; analogamente, i ritmi lavorativi dell’approvvigionamento, dell’apprendimento o dello svago, non sono più in armonia con i ritmi cosmici della natura e delle stagioni. Se i pastori non si rendono conto che il cambiamento d’epoca richiede una rimodulazione anche dei ritmi sacramentali e pastorali, il rischio è di risultare sterili. Occorre tenere conto dei ritmi del Popolo di Dio che abita in un determinato territorio parrocchiale e di orari più compatibili con i tempi di una famiglia.
Più ci si allontana dal centro storico e più i quartieri assumono delle conformazioni proprie che abbattono le radici e spersonalizzano l’ambiente: i grandi quartieri della periferia romana, così come sono, potrebbero trovarsi in qualunque altra città. Ora, facendo confluire il Settore Centro negli altri Settori, significa rendere partecipi il Nord, l’Est, il Sud e l’Ovest di tutta la storia del cristianesimo a Roma. Significa che le riunioni, le celebrazioni, gli incontri di Settore possono arricchirsi di luoghi e di spazi antichi, capaci di rendere esplicite le profonde radici che fondano l’identità dei credenti romani. Soprattutto nei riguardi delle nuove generazioni, vivere in un quartiere periferico comporta un maggiore sforzo nel comprendere le radici e le ragioni della nostra identità di cristiani di Roma, di appartenenti a un popolo fondato sul sangue dei martiri e sulle virtù dei santi. Per questo, anche nella Diocesi di Roma la nuova evangelizzazione non può prescindere da un’accorta e ponderata pre-evangelizzazione, che con santa pazienza sia capace di bonificare il terreno da eventuali pregiudizi, ma anche di mostrare pazientemente ciò che per abitudine diamo per scontato. Nella società romana odierna non possiamo più dare per assodato il senso della partecipazione e dell’appartenenza ecclesiale. Il pellegrinaggio da sempre è lo strumento spirituale che pone meglio il tempo al di sopra dello spazio. Scegliere di visitare un luogo sacro, un luogo che sta lì e che attende solo di essere visitato, significa dedicargli tempo, significa fare memoria, significa ascolto, significa scegliere autonomamente di porsi in cammino per incontrare Dio. Il centro storico, con i suoi luoghi di culto carichi di arte, con i suoi santuari traboccanti di reliquie e testimonianze storiche, con le sue tradizioni e le sue usanze può essere un valido alleato nell’opera di consolidamento dell’identità cristiana degli stessi battezzati dell’Urbe. Le porte del Giubileo, prima ancora di essere occasione d’incontro con i pellegrini provenienti da tutto il mondo, devono essere meta di pellegrinaggio per gli stessi romani. La preparazione al Giubileo per le Parrocchie di Roma non si deve fermare a valutare quante persone, quanti pellegrini possono essere ospitati in vista del raduno mondiale dei giovani. Bisogna prepararsi a sentirsi parte di una storia carica di luce e di bellezza, e pronti ad accogliere e condividere tale bellezza in un senso più profondo.
Il centro storico di Roma è una miniera di pellegrinaggi capaci di arricchire e coprire la scansione dell’intero anno liturgico di una Parrocchia della periferia romana. Esperienze di pellegrinaggio urbano, come la “Corona di Maria” o la “visita delle Sette Chiese” sulle orme di San Filippo Neri o la visita alle catacombe e al Verano nel mese dei defunti, la visita a Piazza di Spagna nel giorno della Solennità dell’Immacolata Concezione, il pellegrinaggio verso la Sacra Culla custodita a Santa Maria Maggiore nel tempo di Natale, la visita alle antiche Stationes nel tempo di Quaresima, la visita alla Scala Santa e a Santa Croce in Gerusalemme nella Settimana Santa, la scoperta di tante icone mariane nel mese di maggio e di ottobre, sono solo alcune delle esperienze che un battezzato romano dovrebbe poter vivere annualmente. A queste andrebbero aggiunte le catechesi tramite l’arte, mettendo a disposizione tutto il patrimonio artistico custodito nelle chiese del centro storico di Roma.
2) La realtà è più importante dell’idea
Roma ha un fascino unico ed è giustamente considerata una delle città più belle del mondo. Proprio in riferimento all’arte e alla monumentalità dell’Urbe, mi preme aprire una riflessione sul significato autentico della bellezza e credo sia opportuno farlo alla luce del secondo principio per cui “la realtà è più importante dell’idea”.
«La bellezza salverà il mondo»: Dostoevskij ha profondamente ragione, ma quale bellezza?
Sono convinto che la bellezza salverà il mondo solo se la Chiesa riuscirà a salvare la bellezza; salvarla dalle manipolazioni ideologiche del falso progresso e dalla sottomissione al commercio e all’economia, che spesso la riducono a “specchietto per le allodole” o a bene di consumo effimero. Se dovessimo guardare Roma solo per la bellezza delle sue opere d’arte o per la monumentalità suggestiva dei suoi ambienti, rischieremmo di ridurre la bellezza a uno scatto fotografico, a un istante capace di suscitare solo delle sfuggenti emozioni da immortalare. Non è questa la bellezza che la Chiesa riconosce a Roma. Se Gesù Cristo è la vera bellezza, se la bellezza del Signore sta nell’armonia tra la sua unicità, la sua verità e la sua bontà, anche Roma va vista nella profondità di questa armonia. Dietro ogni opera d’arte presente in una chiesa si nasconde una catechesi, dietro ogni monumento della Roma cristiana si nasconde un messaggio da decifrare e discernere. Ma per poter trasmettere questi contenuti di autentica bellezza, prima bisogna sperimentarli. Andare oltre i confini del Settore Centro aiuterà i cittadini romani a innestare ponti di meraviglia, mossi dall’attrattiva che la bellezza porta in sé.
La prima nota da indicare nella classifica delle bellezze che compongono Roma sul versante cristiano e diocesano è la sua vocazione materna ad accogliere e a nutrire. Tutta la città, e non solo il centro storico, è manifestazione della concreta maternità della Chiesa che accoglie nel miglior modo possibile i suoi figli, pellegrini da ogni dove. Una madre è bella perché dedita alla cura dei suoi figli e ha occhi speciali per i figli più fragili che la rendono ancora più bella. La fragilità è un’altra manifestazione della bellezza che ci impone attenzione. Più ci prendiamo cura delle fragilità e più risultiamo belli. Pensate a quanti sforzi la Roma cristiana ha fatto nella storia per accogliere i pellegrini. Pensate al sorgere degli “ospitali” nei pressi delle grandi Basiliche, concepiti primariamente per lenire le fatiche dei pellegrini e poi diventati “ospedali”, luoghi per la cura dei più fragili, come ci insegna l’esperienza di San Benedetto Giuseppe Labre, che, insieme con San Camillo De Lellis e San Luigi Gonzaga, possono essere considerati modelli di questa bellezza.
È vero che sul fronte della carità si deve sempre crescere e migliorare, ma bisogna riconoscere che Roma è bella anche perché sa prendersi cura dei suoi poveri, per questo ringrazio i tanti operatori e volontari che, con autentico spirito evangelico, hanno reso Roma una città sensibile alle esigenze dei bisognosi, soprattutto nel Centro Storico. A tal proposito, esistono nel Centro di Roma tante realtà aggregative – ispirate all’opera di Santi e Beati – facenti capo a molte confraternite o enti affini. Essi, oltre a nutrire la devozione, si occupano della cura dei più deboli sotto vari punti di vista. Queste belle realtà, a volte nascoste o limitate al centro di Roma, è bene che vangano conosciute, incrementate e sostenute da tutta la Diocesi. Per tale motivo ho anche voluto nominare un Vicario Episcopale specifico a cui fare riferimento per gli Enti e le Rettorie. Nutrire non è soltanto offrire le cure essenziali per la sopravvivenza, ma anche spalancare le finestre dell’eternità per permettere a tutti di respirare l’aria buona del Vangelo, con ogni mezzo e in ogni spazio. San Filippo Neri, nel prendersi cura dei più piccoli e poveri della città, è modello di bellezza nella creatività evangelica, capace di suscitare un’occasione di stupore e d’incontro con Dio a partire da ogni scorcio della Roma del suo tempo. Proprio San Filippo è stato uno dei primi a rendersi conto che i romani stessi dovevano fare esperienza dei tesori spirituali e artistici di Roma, trovando in essi la forza di elevare la loro esistenza verso i beni eterni.
3) L’unità prevale sul conflitto
“L’unità prevale sul conflitto” è il principio su cui si fonda il primato petrino. Se la persona del Papa, Vescovo di Roma, è segno visibile dell’unità della Chiesa, questo principio deve potersi ritrovare con immediata visibilità in ogni realtà della Diocesi. Roma, unita in ogni sua parte con la forza dello Spirito Santo, è modello di comunione per l’intero mondo cristiano. Già San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi ci suggerisce che le divisioni e le appartenenze frammentate costituiscono uno scandalo e un affronto alla comunione: «Quando uno dice: “Io sono di Paolo”, e un altro: “Io sono di Apollo”, non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere» (1Co 3,4-7). Senza rinnegare il tempo in cui una rigida separazione dei confini settoriali ha avuto la sua proficua necessità, bisogna riconoscere che oggi non ha più senso moltiplicare appartenenze e adesioni a subculture che invece di rafforzare l’unità diocesana spesso alimentano conflitti. Non possono esistere “feudi” nella divisione dei territori dal punto di vista ecclesiale. Ridurre la Parrocchia a microcosmo è un peccato verso l’unità e la comunione diocesana, ridurre le comunità a subculture a sé stanti è un peccato contro la comunione ecclesiale. Ciò vale per tutte quelle realtà o movimenti ecclesiali che preferiscono spendere energie marcando differenze, piuttosto che salvaguardare l’unità della Diocesi. Roma è un’unica grande casa in cui tutti – romani e non – dobbiamo sentirci “a casa”, accolti come pellegrini.
4) Il tutto è superiore alla parte
L’ultimo principio non può che essere la sintesi conclusiva della lettura di questa riconfigurazione del territorio diocesano: “il tutto è superiore alla parte”. Il Sinodo sulla sinodalità ha profondamente ispirato queste mie considerazioni, che si radicano in un ormai decennale ascolto dei Vescovi Ausiliari di Roma, succedutisi nel tempo, unito al grido della Città, infatti l’ascolto del Vescovo è rivolto innanzitutto al Popolo fedele di Dio, che si è espresso nelle tante assemblee parrocchiali e diocesane dei cui resoconti ho preso visione in varie circostanze. Il dinamismo sinodale della Chiesa deve essere assecondato e deve permettere un’agevole fluttuazione all’interno dell’unica cornice solida, che è la Chiesa particolare, la Diocesi. In un mondo in cui con tristezza sentiamo ancora parlare del bisogno elitario ed egoistico di erigere muri di separazione e di contrasto, la risposta della nostra Diocesi è quella di gettare ponti. Ponti su cui possa scorrere agevolmente la comunione ecclesiale che ci rende tutti, uno per uno e tutti insieme, appartenenti solo a Cristo Risorto e alla sua Chiesa; così come il sangue dei martiri Pietro e Paolo, che dal cuore irrora tutto il corpo della nostra Diocesi.
Maria, Madre della Chiesa e Salus Populi Romani, sia l’immagine chiara della nostra sinodalità diocesana. Sebbene esistano tante icone, tanti santuari, tante Parrocchie a Lei dedicate, ciascuna con un suo proprio titolo, Maria è una sola.
Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 1° ottobre 2024, Memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, Vergine e Dottore della Chiesa, Patrona delle Missioni.
Francesco
Il Motto
Il motto del Santo Padre Francesco è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi).
Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nell’itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell’anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola.
Una volta eletto Vescovo, S.E. Mons. Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come motto e programma di vita, l’espressione di San Bedamiserando atque eligendo, che ha inteso riprodurre anche nel proprio stemma pontificio.
Il mondo degli adolescenti, tra complessità e contraddittorie bellezze
Quando il direttore di Romasette.it mi ha proposto una rubrica sugli adolescenti, un secondo dopo la gratitudine, ho chiesto di potere riflettere un po’ prima di accettare. Insegno da quindici anni in un istituto di secondo grado e mi occupo di didattica e di formazione degli insegnanti, da anni mi capita di scrivere sulla scuola e, non ultimo, due dei miei tre figli sono adolescenti: il tema dovrebbe essere per me pane quotidiano.
Eppure la prima preoccupazione è stata sul cosa non avrei voluto scrivere in una rubrica che parla di adolescenti piuttosto che su cosa avrei potuto scrivere. Provo a spiegare. Oggi mi pare siano ricorrenti due tendenze ogni volta che gli adulti affrontano questo tema. La prima riguarda l’enfatizzazione della difficoltà dello sguardo tra generazioni, quasi sempre esercitato dall’alto verso il basso. Tanto più in una società dove la distanza d’età tra genitori e figli è andata aumentando, il confronto tra noi e i nostri tempi e loro e il loro tempo sembra sempre più arduo, per qualcuno impossibile.
La seconda tendenza è quella dell’enfasi sul montare del dato emergenziale. A scuola, sui media, al parco tra genitori, in parrocchia, dire adolescenza è sempre più dire, a caso e in ordine sparso, bullismo e cyberbullismo, violenze e fragilità, dipendenza dal mondo digitale, sessualizzazione precoce, incapacità della gestione emotiva, mancanza di motivazioni. Ecco, in queste due tendenze, semplificate in modo sbrigativo, si compendia tutto ciò che non vorrei scrivere in questa rubrica.
Non perché non ci sia del vero in analisi del genere: sarebbe stupido negare il realismo di un certo tipo di sguardo. Ma di questo in molti dicono e scrivono meglio del sottoscritto. Credo però che in questa alterità così burrascosa (mi basta pensare al dopocena di ieri, tra fuoco e fiamme con un figlio, sulla via crucis per la gestione del suo smartphone) esista ben più di un piano inclinato verso il basso o peggio di un precipitare verso l’abisso.
E lo dico non solo per l’esperienza quotidiana di un volto altro del mondo adolescenziale, assolutamente carico di bellezza. Per quanto altrettanto vero, per quanto esperienza dei molti che sanno accendere luci piuttosto che spegnerle, non sarebbe sufficiente ribadire il volto luminoso dell’adolescenza: rientrerebbe in ciò che è sempre stato l’eterno incontro/scontro tra le generazioni. Lo dico piuttosto per una convinzione anzitutto di pensiero, precisa, riguardante il nostro tempo e da questo determinata.
Sono persuaso che oggi questo confronto, al netto della gran fatica che impone, sia per noi adulti occasione imperdibile di riappropriazione di un mondo nuovo che non abbiamo ancora compreso, altro da quello che è stato e che loro abitano già. I nostri adolescenti comunicano in modo diverso, stanno nella storia in modo diverso, conoscono in modo diverso. I nostri adolescenti amano in modo diverso, odiano in modo diverso, soprattutto azzerano un bagaglio valoriale che è stato valido per generazioni.
Questa apparente tabula rasa spesso ci spaventa fino a diventare un lutto impossibile da elaborare. Eppure mi domando: siamo sicuri che il vuoto che questa generazione sta facendo sia un deserto senza vita? Non potrebbe essere invece un inedito spazio di libertà abitabile anzitutto da noi adulti? Siamo sicuri che sia necessariamente un male la rimessa in discussione delle pietre angolari della nostra generazione, siano esse antropologiche, culturali, ideali, spirituali?
Potrebbe esserlo, certo, ma per dichiarare il default c’è sempre tempo. Chissà se invece, provando a visitare il mondo degli adolescenti, nelle sue irriducibili complessità e contraddittorie bellezze, non possa aprirsi proprio per noi adulti un nuovo e inatteso spazio di conoscenza e di speranza. Sì, proprio a partire da quelli che ci sembrano gli spauracchi peggiori e su cui vorrei provare a dialogare con voi in questa rubrica. Appuntamento tra quindici giorni.
6 dicembre 2017
Il ministero ai catechisti e l’incontro su “Desiderio Desideravi”
«Vi scrivo per incoraggiarvi a riprendere il cammino pastorale parrocchiale inserendolo nel nostro itinerario sinodale diocesano, consapevoli che “il primo servizio è l’ascolto”, operando da amici nei “cantieri di Betania”». Il cardinale vicario Angelo De Donatis scrive ai parroci di Roma all’inizio dell’anno pastorale, invia il suo incoraggiamento per la ripresa, invita a individuare i candidati a ricevere il ministero di catechista e ricorda alcuni importanti appuntamenti di formazione.
«Come sapete, nel giugno scorso è stata approvata ad experimentum la Nota Cei sui ministeri istituiti – si legge nella lettera – che recepisce gli interventi di Papa Francesco (il motu proprio Spiritus Domini e il motu proprio Antiquum Ministerium) e orienta la prassi concreta per le diocesi italiane. La Nota stabilisce che i catechisti, così come i lettori e gli accoliti, vengano istituiti in modo permanente. In particolare, la Cei ha scelto di conferire il ministero istituito a catechisti che svolgono il ruolo di coordinatori dell’iniziazione cristiana dei bambini, dei ragazzi e degli adulti».
Entro il mese di ottobre, ogni parrocchia dovrà indicare al proprio vescovo di settore due catechisti come candidati a ricevere il ministero. I candidati, ricorda il cardinale, possono essere uomini o donne di almeno 25 anni di età e devono essere persone partecipi della vita comunitaria. «Sarebbe bello – auspica il cardinale De Donatis – coinvolgere direttamente il gruppo dei catechisti nell’individuazione delle persone più adatte, avendo anche il coraggio di dare fiducia ai più giovani».
Gli aspiranti al ministero si ritroveranno poi tutti insieme per un momento formativo, che avrà luogo domenica 27 novembre alle 15.30 all’Auditorium del Santuario della Madonna del Divino Amore. La formazione proseguirà a cura dell’Ufficio catechistico diocesano in collaborazione con l’Istituto Superiore di Scienze religiose Ecclesia Mater; al termine di questo periodo di preparazione, i candidati riceveranno il ministero nell’anno pastorale 2023-2024.
Il cardinale conclude la sua lettera invitando tutti i sacerdoti e i diaconi della diocesi a partecipare all’incontro di riflessione sulla lettera apostolica di Papa Francesco Desiderio Desideravi, dedicata alla formazione liturgica del popolo di Dio, con la partecipazione dei monsignor Vittorio Francesco Viola, segretario del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, giovedì 3 novembre alle 10 nella basilica di San Giovanni in Laterano.
Il testo integrale della lettera del cardinale
11 ottobre 2022