20 Dicembre 2025

La traslazione del corpo di Francesca Lancellotti a Santa Maria ai Monti

È avvenuta questa mattina (mercoledì 7 luglio) la traslazione del corpo della Serva di Dio Francesca Lancellotti, dal cimitero di Prima Porta alla chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti. Una donna di umili origini, nata a Oppido Lucano nel 1917 e morta a Roma nel 2008, che nel 1957 fa una singolare esperienza mistica dell’arcangelo Michele, che la porta a trasferirsi nella Città Eterna quattro anni dopo.

La sua casa diventa un punto di riferimento spirituale per la Capitale; la sua fede irradia luce e il suo esempio di vita cristiana infonde speranza nei cuori. Donna semplice e umile, ma dotata di speciali carismi, dimostra una particolare capacità di consolare e consigliare, avvicinando tanta gente a Dio e ottenendo, con le sue preghiere, la guarigione dell’anima e quella del corpo. Circondata da fama di santità mentre è ancora in vita per la sua esemplarità evangelica, e morta in concetto di santità, l’eco suscitata dalla sua straordinaria testimonianza cristiana ha continuato a risuonare, tanto che la Chiesa ha accolto la richiesta dell’Associazione Figli Spirituali di Francesca Lancellotti di avviarne la Causa di beatificazione. La traslazione è una tappa significativa del cammino della causa medesima, la cui fase diocesana si è conclusa il 17 gennaio 2020 ed è ora allo studio della Congregazione delle cause dei santi.

L’evento si è svolto in maniera privata, alla presenza di monsignor Giuseppe D’Alonzo in qualità di delegato del cardinale vicario di Roma, del promotore di Giustizia e del notaio del Tribunale ecclesiastico del Vicariato di Roma. Con il postulatore monsignor Paolo Rizzi, erano presenti alcuni familiari e il direttivo dell’Associazione Figli Spirituali di Francesca Lancellotti. Il parroco monsignor Francesco Pesce ha benedetto il nuovo sarcofago.

«L’atto della traslazione – dicono dall’Associazione – ha un significato importante sia per le persone che si rifanno alla spiritualità di Francesca sia per la comunità parrocchiale di Santa Maria ai Monti. Per tutti significa un maggiore impegno di santità di vita cristiana, un’opportunità per conoscere meglio questa donna e madre di famiglia e capire cosa può dire nella vita di ciascuno. Con la traslazione è facilitata altresì la visita devozionale dei numerosi devoti ed estimatori della Serva di Dio provenienti dal Lazio, dall’Umbria, dalla Basilicata e da altre parti d’Italia, che possono pregare perché l’esempio di fede di Francesca sia di aiuto per molti e possono domandare fiduciosamente la sua intercessione».

Nei giorni immediatamente seguenti, presso la chiesa di Santa Maria ai Monti, sono previsti alcuni momenti di preghiera: giovedì 8 luglio ore 17.30 rosario meditato sabato 10 ore 10,30 adorazione eucaristica.

7 luglio 2021

La traslazione del corpo di don Luigi Di Liegro

«Non c’è carità senza giustizia». La frase è scolpita su una lastra di marmo, collocata sul pavimento della basilica dei Santi XII Apostoli. Indica il punto esatto sotto al quale, da oggi pomeriggio, riposano le spoglie mortali di don Luigi Di Liegro. Alle ore 15, infatti, è avvenuta la traslazione del corpo del sacerdote morto il 12 ottobre 1997 e finora sepolto al Cimitero del Verano. Il rito dell’accoglienza del feretro nella basilica del centro storico è stato guidato dal cardinale vicario Baldo Reina. Erano presenti, tra gli altri, il vescovo Renato Tarantelli Baccari, vicegerente della diocesi; alcuni familiari e amici della Fondazione Don Luigi Di Liegro ETS. In occasione del 28° anniversario della scomparsa, sabato 11 ottobre, alle ore 18, nella stessa basilica, il cardinale Reina presiederà la celebrazione eucaristica. L’evento sarà impreziosito dalle esecuzioni del Coro di voci bianche Pueri Cantores e del Coro Polifonico Cantoria Nova Romana della Civica Scuola delle Arti di Roma, sotto la direzione artistica di Annalisa Pellegrini.

«La vita e il servizio pastorale di don Luigi Di Liegro – osserva il cardinale Reina – rimangono per tutti i cristiani di Roma un luminoso esempio al quale guardiamo con interesse per accostarci alle povertà e alle sfide del tempo presente con fiducia e speranza. Per questo motivo, d’intesa con i familiari, oggi procederemo alla traslazione della sua salma dal cimitero del Verano alla basilica dei Santi XII Apostoli, dove ogni anno si celebra una Messa in occasione dell’anniversario della sua morte. In questo modo i fedeli potranno onorare le sue spoglie mortali e conoscere ancora meglio la sua vita, le sue opere e il generoso servizio ai poveri e a tutta la diocesi di Roma. Accompagniamo con la preghiera questo passaggio affinché il Signore susciti in tutti il desiderio di una vita santa e di una testimonianza piena nella verità e nella carità».

«Monsignor Luigi Di Liegro ha servito la Chiesa di Roma per quarantacinque anni – ricorda Luigina Di Liegro, segretario generale della Fondazione Don Luigi Di Liegro ETS –, prima come viceparroco di San Leone Magno al Prenestino, poi come direttore del Centro Pastorale per l’animazione della comunità cristiana ed i servizi socio-caritativi della diocesi, infine, dal 1979, come primo direttore della Caritas diocesana, oltre che come guida della comunità di Santa Maria del Ponte e San Giuseppe a Centro Giano. L’ha fatto mettendo in pratica il Vangelo, lasciando una testimonianza fatta di fede e di opere. Il nostro auspicio è che la sua memoria possa rappresentare per la Chiesa e per tutti coloro che si adoperano per la giustizia e la promozione umana un incoraggiamento a credere sempre nelle ragioni della speranza e dell’impegno».

1 ottobre 2025

La testimonianza delle monache agostiniane: “rimanere” declina l’amore

Pubblichiamo la testimonianza della priora suor Fulvia Sieni e delle sorelle Agostiniane dei Santi Quattro Coronati su questo tempo di emergenza sanitaria.

“RIMANERE” DECLINA L’AMORE

Don Camillo spalancò le braccia rivolto al Crocifisso: “Signore se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?” il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancora più fertile dal limo del fiume e il seme fruttificherà. (…) Bisogna salvare il seme: la fede”.

Queste parole che Guareschi mette sulle labbra del suo Crocifisso sembrano fare eco a quelle che la nostra amica Etty Hillesum scriveva una domenica mattina del 1942: “Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. (…) Una cosa però diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. (…) E quasi ad ogni battito del mio cuore cresce la mia certezza: tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.”

Mi sembra di poter dire che queste due intuizioni spirituali interpretino bene il modo in cui abbiamo vissuto e stiamo vivendo (ancora) questo tempo.

Tutti l’abbiamo percepito come l’arrivo di un temporale: sembrava passeggero e pareva bastassero ombrello e stivali; poi si è rivelato un’alluvione dirompente (“una tempesta” dirà Papa Francesco il 27 marzo), che si è abbattuta travolgendo gli argini delle routines quotidiane che ci davano sicurezza e scoperchiando i tetti della nostra malcelata vulnerabilità.

Il confinamento che sembrava un’ipotesi improbabile (lontana quanto la Cina) è divenuto presto realtà così come l’impossibilità a celebrare l’Eucarestia, a confessarsi (fatti distanti da noi romani almeno quanto l’Amazzonia)… impensabili e poi concreti da un giorno all’altro.

In modo ingenuo, direi semplice, qualcuno, forse per incoraggiarci, ci ha detto che tutto sommato per noi monache non sarebbe cambiato nulla: in clausura eravamo e in clausura restavamo. (Giravano anche vignette ironiche sul web)

Ma non è mai stato vero: anche per noi è cambiato tutto!

Questo tempo, a noi come a tutti, ci ha strappato da ogni distrazione, letteralmente cioè ha spazzato via ogni movimento, ogni spinta che potesse portarci lontano dalla realtà e dal suo dolore.

Emozioni, affetti, sentimenti, preghiera, pensieri, parole… Tutto si è impregnato delle angosce, del lutto e delle speranze che stavamo e stiamo vivendo (perché dobbiamo ricordarci che in alcune parti del mondo il virus è ancora molto violento). Il succedersi implacabile di cattive notizie ci ha coinvolto in modo forte regalandoci l’impressione certa non solo di sapersi, ma di sentirsi corpo, Corpo di Cristo, legate in modo indissolubile come membra vive gli uni agli altri; di appartenere ad un popolo, indispensabili nel tessere legami di reciprocità e di cura.

Abbiamo sentita interpellata la nostra fede. Il grido di paura in tutta la sua drammaticità, ci ha raggiunto, lo abbiamo ascoltato in noi e fuori di noi; abbiamo pianto, pregato, offerto quanto potevamo, proprio come tutti.

L’aver fatto interiormente e comunitariamente esperienza di questo sgomento, ci ha permesso di preoccuparci in modo molto concreto delle persone che, come noi, cercavano ragioni per sperare dicendo come Israele nel deserto: “il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7)
Il portone del Monastero si chiudeva, le porte di tutti si serravano come quelle delle chiese, anche della nostra, e noi abbiamo sentito nitida la chiamata ad uscire.

Subito dopo aver celebrato l’ultima messa, l’8 marzo, per Grazia abbiamo compreso di dover uscire noi, di far sentire fuori la voce della Parola e la forza della preghiera perché nessuno si sentisse solo. Questa inquietudine ci ha fatto aprire il cuore e la mente alla creatività dello Spirito che ci ha permesso di inventare nuovi modi per vivere il nostro ministero di presenza, preghiera e intercessione: così ogni giorno, per 81 giorni, abbiamo pubblicato in rete un breve video con un canto, il Vangelo del giorno e un nostro commento che voleva essere una parola di incoraggiamento e di aiuto a riconoscere la Buona Notizia che il quotidiano porta comunque con sé.

È stato impegnativo, laborioso e bellissimo!

Sostare a lungo insieme sulla Parola per produrre solo 20 secondi di commento ha aiutato prima di tutto noi a rimanere centrate sul Vangelo e, sappiamo, ha aiutato migliaia di persone che volentieri ascoltavano un annuncio sereno e allo stesso tempo forte, cui aggrapparsi per vivere l’emergenza e affrontare la paura un giorno alla volta.

Organizzandoci poi con mezzi semplici (e superando non poche difficoltà tecnologiche) abbiamo pensato di andare incontro a tutti ancora condividendo la Liturgia delle Ore, le Lodi, il Vespro e la Compieta tramite il canale YouTube; così anche la Settimana Santa nei suoi momenti di preghiera più intensi e poi fino alla Pentecoste. Abbiamo scoperto che centinaia di persone, bloccate in casa, si univano in diretta alla preghiera, molte di più di quanto la nostra piccola Basilica possa contenere. Abbiamo gustato fortissima la comunione, la forza dell’intercessione e la compagnia di un popolo orante.

Abbiamo scelto di vivere questo tempo come Aronne e Cur sul monte con Mosè, chiamati a sostenere le braccia della Chiesa in preghiera durante il gran combattimento della fede.

Nel frattempo, i contatti si sono moltiplicati: e-mail, messaggi, telefonate con richieste di ascolto soprattutto e di aiuto per affrontare la paura, l’ansia, la sfiducia e le difficoltà della improvvisa convivenza forzata.

Impropriamente chiamato clausura, il confinamento cui tutti sono stati sottoposti, ha snudato le relazioni già fragili e ha rivelato la difficoltà di molti a “rimanere” lì dove la storia e la loro vocazione li hanno collocati. Sappiamo che nel Vangelo il verbo “rimanere” è uno dei verbi in cui si declina l’amore; in molti, sebbene non tutti, abbiamo preso consapevolezza della nostra incapacità ad amare persino le persone più vicine. Non solo le famiglie ma anche alcune comunità di vita consacrata hanno patito il venir meno delle attività che normalmente vissute fuori di casa o dal convento, magari in parrocchia o con i giovani, portavano al rarefarsi della condivisione. Alcune sorelle ci hanno chiesto aiuto per rimodulare la loro vita comunitaria e per reimparare a stare insieme.

La nostra miglior risorsa, la vita fraterna, ci ha permesso di essere davvero prossime comprendendo le fatiche e aiutando a rasserenare anche situazioni complesse. Non che nella nostra vita manchino le difficoltà, ma la grazia di viverla ci insegna a riconoscerle e affrontarle. Siamo allenate ogni giorno a questo dalla “stabilità” che caratterizza il monachesimo.

Abbiamo trovato bellissima questa condivisione e queste relazioni di aiuto che inverano la forza e la reciprocità di ogni vocazione laddove ciascuna porta un annuncio a tutte le altre.

Nemmeno a noi è mancato il sostegno concreto di molti: la Provvidenza si è fatta presente attraverso persone amiche che hanno provveduto a noi per i farmaci, la spesa ordinaria, e poi la Caritas diocesana che ci ha aiutato con beni di prima necessità e ci ha permesso di aiutare altri Monasteri della città in difficoltà e numerose famiglie.

Per vivere con maggior consapevolezza abbiamo poi deciso di creare uno spazio di pensiero, trasformando il nostro incontro comunitario quotidiano in un laboratorio vero e proprio dove elaborare insieme il vissuto di questo tempo leggendo articoli, riflessioni, condividendo considerazioni, aiutandoci a verbalizzare il dolore, la paura, le preoccupazioni, ma anche e soprattutto la fede, le speranze, i sogni, le idee… Il laboratorio è ancora aperto!

Nessuna di noi prima d’ora, nemmeno le più anziane, aveva vissuto un tempo storico così difficile e delicato, e nemmeno così violento. Nessuna è testimone di guerre o eventi globali drammatici.
Questo momento crea in noi un prima e un dopo, e vogliamo che sia così: come deve esserci un’umanità di prima e una di post-Covid, così dovrà esserci una Chiesa, e una Chiesa di Roma, di prima e di post-Covid, e così vogliamo che sia per la nostra Comunità.

2 ottobre 2020

La terza edizione del Cantiere Generiamo lavORO

Al via la terza edizione del Cantiere Generiamo lavORO, l’iniziativa pensata dalla Pastorale sociale della diocesi di Roma con le Acli di Roma e provincia per promuovere e rimettere al centro il lavoro dignitoso quale perno di cittadinanza e sviluppo integrale della persona e della comunità. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con Confcooperative Roma, Ucid Roma, Centro Elis, CISL di Roma Capitale e Rieti, MCL Roma, AC Roma, MLAC Roma.

«Coniugando concretezza e valori in una cornice di ampio respiro – spiega l’incaricato diocesano per la Pastorale sociale, don Francesco Pesce –, il percorso è volto al rafforzamento dell’orientamento al lavoro: i partecipanti attraverso percorsi formativi strutturati ad hoc vengono accompagnati nella conoscenza delle opportunità del mercato del lavoro, nell’esplorazione del proprio potenziale e nell’acquisizione di soft skills utili all’inserimento professionale».

Ancora, spiega il sacerdote, il linea con il cammino pastorale della diocesi, «il Cantiere si avvicina alle periferie geografiche ed umane della Capitale», provando a intercettare «tutti i ragazzi che desiderano accrescere le proprie competenze per facilitare il proprio ingresso nel mondo del lavoro». A tutti loro sarà offerto un percorso che quest’anno avrà modalità differenti dai classici incontri frontali, per via dell’emergenza sanitaria. Spazio, dunque, alle lezioni on line videoregistrate, accessibili tramite una piattaforma e poi disponibili per essere riviste e approfondite. Ancora, a partire dal 3 giugno saranno attivati a cadenza settimanale i primi cinque laboratori on line e, in base alle successive misure normative, si potrà eventualmente prevedere la formazione in presenza da settembre.

«L’emergenza sanitaria del coronavirus – riflette la presidente delle Acli di Roma e provincia Lidia Borzì – ha inevitabilmente accelerato il processo di cambiamento d’epoca che stiamo attraversando ed è fondamentale pertanto riflettere sul potenziale impatto che l’epidemia avrà sul mondo del lavoro. Il Cantiere Generiamo lavORO, intende cogliere questa spinta all’innovazione e costruire nuove ed innovative opportunità per i giovani, affinché il coronavirus non lasci solo “macerie” ma riesca a colmare il vuoto che questo periodo ha fatto emergere».

I giovani intenzionati a partecipare potranno compilare la scheda di iscrizione ed inviarla alla mail generiamolavoro@gmail.com o richiedere informazioni al numero 3420720415. Maggiori informazioni sul sito www.acliroma.it.

11 maggio 2020

La Summer School diocesana di formazione sociopolitica

Nasce la prima Summer School diocesana di formazione socio-politica, dal 25 al 27 luglio a Villa Campitelli, a Frascati. Tre giornate residenziali che scorreranno tra incontri frontali, dibattiti, workshop, tavoli di approfondimento, ma anche aperitivi e momenti di preghiera. Si parlerà di economia, istituzioni, democrazia, cultura, immigrazione, famiglia, educazione, giustizia, ambiente. Il tutto con personalità quali il cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin (venerdì 26), il vescovo Gianrico Ruzza (giovedì 25), il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti (sabato 27), il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti (il 27), il giurista Francesco D’Agostino (il 25). E ancora Piero Damosso, Silvia Costa, Leonardo Becchetti, Alberto Gambino, Andrea Monda, Antonio Tajani, Gaetano Quagliariello, Maria Monteleone, Enrico Giovannini solo per citare alcuni dei protagonisti. Il nome scelto per l’iniziativa ne delinea già il programma e gli obiettivi: “Da Moro a Moro…and more”. Il primo riferimento è a san Tommaso Moro; il secondo invece ad Aldo Moro.

Coinvolte tutte le esperienze di formazione sociopolitica laiche ed ecclesiali presenti a Roma: la Scuola di formazione sociale e politica della parrocchia di San Tommaso Moro; “Connessioni” di padre Francesco Occhetta; la Scuola di formazione permanente della Fondazione De Gasperi; la Fuci diocesana; la Scuola di formazione sulla dottrina sociale della Chiesa del Meic; la Scuola di formazione sociopolitica “7 parole della politica” di San Barnaba; la Scuola di alfabetizzazione sociopolitica delle Acli di Roma; la Scuola di politiche “Formiamo il futuro”; e la Scuola Sinderesi del Centro Alberto Hurtado della Pontificia Università Gregoriana. In tutto, un centinaio di ragazzi dai 19 ai 30 anni.

A loro, nel libretto che presenta l’iniziativa diocesana, si rivolge il cardinale vicario Angelo De Donatis: «Giovani – scrive –, con la freschezza della vostra età siate il cuore della Chiesa in uscita, soggetti di evangelizzazione e canali privilegiati di autentica testimonianza. Partecipare vuol dire prendere parte alla responsabilità. Nella società siamo tutti corresponsabili, e siamo chiamati a vivere con impegno la condivisione per sentirci comunità, creando accoglienza reciproca, riconoscimento, stima anche delle diversità. Il mio invito è a non tirarvi indietro, affidandovi al progetto che Dio ha per ciascuno di voi».

«Questa è un’esperienza larvale di comunione tra scuole di formazione politica, ma ci auguriamo che possa essere un’esperienza felice – sottolinea il referente del progetto monsignor Andrea Celli –; auspichiamo che i ragazzi più motivati possano collegarsi in rete, e che mettendosi insieme possano avere una forza espressiva di politica attiva e passiva più marcata». La Summer School diocesana rappresenta «un’opportunità per conoscersi e riconoscersi – prosegue –, finalizzata a innescare un effetto moltiplicatore e a fornire strumenti di discernimento e coscienza critica, indirizzati alla promozione della centralità della persona, all’ascolto del grido della città e al contrasto della cultura dello scarto».

Lidia Borzì, presidente delle Acli di Roma e provincia, tra gli organizzatori dell’iniziativa, dichiara: «Vogliamo trasmettere la permanenza dei valori della politica alta nel corso di secoli, da Moro a Moro e oltre. Ciò che accomuna i due Moro infatti non è solo il cognome, ma una visione della politica come responsabilità condivisa, ancorata a valori permanenti e universali. San Tommaso Moro e Aldo Moro sono testimoni di una politica alta, volta a governare le cose della polis, facendo sempre riferimento “all’oltre”».

15 luglio 2019

La spettacolare Via Crucis al Divino Amore

Come da tradizione anche quest’anno al Santuario della Madonna del Divino Amore la Domenica delle Palme (14 aprile 2019) e il Venerdì Santo (19 aprile 2019) alle ore 21 si terrà la sacra rappresentazione della Via Crucis.

«Nella suggestiva cornice naturale del Santuario – anticipano gli organizzatori – i fedeli potranno rivivere in spirito di preghiera la Passione di Gesù attraverso la narrazione e la messa in scena delle principali scene evangeliche: all’interno delle mura antiche del Castello la trionfale entrata in Gerusalemme; l’ultima cena; il tradimento di Giuda e la cattura di Gesù; il processo davanti ai sommi sacerdoti; l’interrogatorio da parte di Ponzio Pilato; la flagellazione e la coronazione di spine; l’esposizione di Gesù flagellato ed incoronato di spine davanti alla folla e la scelta della folla di far crocifiggere Gesù al posto di Barabba. All’esterno delle mura, sulla collina prospiciente la Torre del Primo Miracolo, si svolge poi la salita di Gesù sul monte Calvario sotto il peso della croce; gli incontri con la Madonna, le Pie Donne e la Veronica, ed infine la crocefissione in mezzo ai due ladroni, la morte, la resurrezione e l’ascensione di Gesù».

Tutte le scene sono rese ancora più suggestive dalla presenza dei soldati romani a cavallo, dai fuochi che illuminano la notte, dalla luna piena, dalle musiche coinvolgenti, dai numerosi effetti speciali e dagli accurati costumi indossati dagli attori, tutti volontari del Santuario che da anni interpretano i loro ruoli con fede e devozione.

8 aprile 2019

La speranza tra le ferite dell’usura: il trentennale della Fondazione Salus Populi romani

“Come noi li rimettiamo ai nostri debitori” è il tema della conferenza promossa dalla Fondazione antiusura Salus Populi Romani per il prossimo 30 ottobre, dalle ore 9 alle 13, nella Sala della Conciliazione del Palazzo del Vicariato (piazza San Giovanni in Laterano 6/A), in occasione del trentennale di attività.

Nata nel 1995 per volere di monsignor Luigi Di Liegro, la Fondazione si impegna con passione e dedizione nel promuovere la crescita e il benessere della comunità, sul territorio romano e laziale, favorendo l’inclusione sociale e finanziaria, prevenendo e contrastando in tal modo l’esclusione prodotta dal sovraindebitamento, dall’usura e, oggi, anche dall’azzardo. L’organismo diocesano è un segno di speranza e di vicinanza alle persone e alle famiglie rese vulnerabili dell’eccessiva esposizione debitoria, a rischio di cadere nel circuito illegale del credito usuraio.

L’incontro, a cui parteciperanno le istituzioni, i volontari e le diverse organizzazioni che collaborano con la Fondazione Salus Populi Romani, si pone come un’importante occasione di riflessione sull’attività e su alcuni nodi della vita economica e sociale delle comunità, oltre che di rinnovato impegno per il futuro. Per questa ragione verrà presentata la seconda edizione del Rapporto di attività, relativo agli anni 2023-2024, invitando ad un confronto le voci autorevoli di Istituzioni ed aziende con le quali abbiamo condiviso l’esperienza in questi anni.

Saranno presenti, tra gli altri, il cardinale vicario Baldo Reina, il prefetto di Roma Lamberto Giannini, il vescovo Renato Tarantelli Baccari, vicegerente della diocesi di Roma, il vescovo Guerino Di Tora, gli assessori alle politiche sociali di Roma Capitale Barbara Funari e della Regione Lazio Massimiliano Maselli. Vi saranno testimonianze di operatori e beneficiari della Fondazione Salus Populi Romani e verrà distribuita una scheda socio-statistica delle attività svolte. Le conclusioni saranno affidate a Giustino Trincia, presidente della Fondazione.

24 ottobre 2025

La speranza e il pensiero cattolico, ricerca Censis a San Giovanni in Laterano

In un periodo storico complesso come quello attuale, segnato da individualismo, competizione e frustrazione, la Chiesa sente forte la necessità di interrogarsi sul proprio ruolo e sulla propria capacità di offrire un contributo significativo per la costruzione di una società più giusta e fraterna, ma anche più vitale e meno “letargica”. Insomma il pensiero cattolico sente la responsabilità di indicare, alla società italiana, un percorso per andare oltre. Occorre per questo un lavoro dello spirito, con la s minuscola, pur sapendo che quando c’è uno spirito autentico che agisce è sempre lo Spirito. Da qui parte la ricerca condotta dal Censis su “Il lavoro dello spirito e la responsabilità del pensiero cattolico”, che sarà presentata sabato 29 marzo durante l’incontro “La responsabilità della Speranza e il lavoro dello spirito”, dalle 9.30 alle 12.30 nella basilica di San Giovanni in Laterano (ingresso lato obelisco).

Ad aprire i lavori saranno i saluti e l’introduzione del cardinale vicario Baldo Reina; seguirà la presentazione della ricerca Censis. Quindi ne discuteranno don Fabio Rosini, biblista e docente di Comunicazione e trasmissione della fede alla Pontificia Università della Santa Croce; Massimo Cacciari, filosofo e saggista; Giuseppe De Rita, sociologo e tra i fondatori del Censis; padre Antonio Spadaro, gesuita, giornalista e teologo, sottosegretario del Dicastero per la cultura e l’educazione. A moderare il dibattito sarà lo storico Andrea Riccardi. L’appuntamento è promosso dalla diocesi di Roma in collaborazione con il Censis e l’associazione Essere Qui, e si propone come un momento di riflessione e dialogo aperto a tutti coloro che desiderano approfondire il tema della speranza e del ruolo dello spirito nel nostro tempo.

«Qual è il contributo che il pensiero cattolico può dare ancora a questo Paese? Questa è la domanda da cui siamo partiti per la nostra ricerca – illustra Giulio De Rita, ricercatore del Censis –. Lo “spirito” a cui facciamo riferimento è quello dell’uomo. È anche una riflessione su dove sta andando la “Chiesa in uscita”, per usare un’espressione cara a Papa Francesco, e su quale tipo di pastorale possa portare avanti la Chiesa in uscita. Come dice il Santo Padre, se abbiamo una pecorella rimasta nell’ovile e 99 che si sono smarrite, è quelle che bisogna andare a cercare. Bisogna riprendere con maggiore vigore il nostro impegno per la crescita della società».

17 marzo 2025

La speranza al centro della Giornata per il dialogo ebraico cattolico – Segui la diretta

Rav Riccardo Di Segni (foto diocesidiroma/Gennari)

“Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?” (Ez. 37, 1-14): questo il tema scelto per la 35ª Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, che si celebra il prossimo 17 gennaio. Nella diocesi di Roma, in quella data alle ore 18, è in programma un incontro alla Pontificia Università Gregoriana a cui interverranno rav Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, e padre Philipp Gabriel Renczes, gesuita, decano della Facoltà di Teologia della Gregoriana, già direttore del Centro Cardinal Bea per gli Studi Giudaici. A moderare l’incontro sarà monsignor Marco Gnavi, responsabile dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e i nuovi culti. L’incontro si svolgerà in italiano e verrà trasmesso in diretta streaming sul canale YouTube della diocesi di Roma.

«In questo momento storico così difficile e complesso – riflette il vescovo Riccardo Lamba, delegato diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso – risulta ancor più opportuno parteciparvi, nelle modalità previste. Le relazioni di rav Di Segni e del professor Renczes arricchiranno la nostra coscienza e allo stesso tempo la nostra speranza».

Nei giorni scorsi monsignor Derio Olivero, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei ha chiesto alle comunità diocesane di vivere questo momento tenendo presente «la situazione in Terra Santa e, soprattutto, il barbaro attentato di Hamas del 7 ottobre». In dialogo con l’Assemblea dei Rabbini d’Italia e la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si è deciso che la Giornata mantenesse il tema già stabilito, cioè “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?” (Ez. 37, 1-14), incentrato sulla speranza e scelto dalla Cei e dal Rabbinato d’Italia. L’invito che arriva da monsignor Olivero, in accordo con la Segreteria Generale, è quello di «organizzare le iniziative e le preghiere alla luce di questa nuova attenzione: la speranza contro ogni antisemitismo».

 

13 gennaio 2024

La speranza al centro della 47ª Giornata per la vita

Foto Diocesi di Roma / Gennari

«Siamo tutti chiamati a partecipare a questa “operazione speranza”». È l’appello di monsignor Andrea Manto, vicario episcopale per la Pastorale familiare della diocesi di Roma, che invita così a partecipare alla Giornata per la vita, in programma questa domenica 2 febbraio, che ha per tema “Trasmettere la vita, speranza per il mondo”. «In tante parrocchie romane – spiega monsignor Manto – ci sarà una diffusa opera di sensibilizzazione sulle attività dei Centri di aiuto alla vita (Cav), che in Italia in cinquant’anni di attività hanno fatto nascere oltre 280mila bambini che altrimenti sarebbero stati abortiti; molte migliaia anche nella nostra diocesi. Diventare consapevoli di questo lavoro, sostenere le attività dei Cav, creare insieme quell’alleanza sociale per la speranza, che il Santo Padre ci chiede nel documento giubilare, è un fatto importante perché tutti dobbiamo sentirci, come Chiesa e come società, partecipi del dono della vita e dell’accoglienza della vita».

«Il messaggio dei vescovi italiani in occasione della 47ª Giornata per la vita – spiega il vicario episcopale nel video messaggio diffuso attraverso i social diocesani – si inserisce pienamente nel cammino giubilare sul tema della speranza. La speranza è un fattore chiave per accogliere la vita, perché se non si ha speranza nel futuro non ch’è neanche il desiderio di generare figli e accogliere la vita. Ma, nello stesso tempo, generare figli e accogliere la vita è un grande fattore di speranza per una società e una visione di futuro».

Invitano a partecipare anche Antonio Ventura, presidente del Movimento per la vita romano, e Francesca Maria Siena, del Coordinamento dei Centro di aiuto alla vita di Roma, che per l’occasione hanno preparato una nota congiunta. «Gli attacchi alla vita umana – si legge nel testo – si concentrano ove la vita umana è più fragile, non solo, dunque, alla vita prenatale, ma anche alla vita terminale, attraverso le continue e ripetute spinte ideologiche ad introdurre in Italia la legalizzazione dell’eutanasia e il suicidio assistito. Le sfide culturali che ci presenta l’attuale contesto mondiale richiedono a tutti noi sempre maggior sinergia e impegno affinché il valore incommensurabile della vita e della dignità umana prevalga sulla cultura dello scarto».

Ma la mobilitazione non si fermerà alla giornata di domenica. I volontari dei 9 Cav di Roma si incontreranno anche il prossimo 23 febbraio al Seminario Romano Maggiore, alle ore 16.30. Al centro del pomeriggio, ci saranno le testimonianze delle volontarie e delle mamme e una riflessione sul futuro dei Cav del vescovo Dario Gervasi, segretario aggiunto del Dicastero per i Laici, la famiglia e la vita. In apertura, i saluti del vicegerente della diocesi, il vescovo Renato Tarantelli Baccari.

31 gennaio 2025

La speciale Perdonanza a San Giovanni Decollato

Si apre venerdì 22 marzo la Porta della Misericordia nella chiesa romana di San Giovanni Decollato. Sarà l’arcivescovo eletto di Potenza già parroco di Santa Maria in Campitelli padre Davide Carbonaro a compiere questo rito che darà il via a una speciale Perdonanza – concessa dal Pontefice lo scorso marzo 2020 – per tutti i fedeli che nei giorni 22 e 23 marzo dalle ore 12 alle 20 si recheranno in pellegrinaggio singolarmente o a piccoli gruppi presso questa chiesa, sede dell’antica arciconfraternita della Misericordia dei fiorentini, ricevendo così l’indulgenza concessa per i vivi e per i defunti alle condizioni stabilite dalla Chiesa. Il giorno 23 marzo, vigilia della domenica delle Palme, il culmine con la commemorazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme: una processione serale partirà dalla chiesa di San Giovanni Decollato e giungerà in quella di Santa Maria della Consolazione ai Fori per la concelebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Daniele Libanori, ausiliare del settore Centro.

La storia di questa porta nasce lontano nel tempo ma ha tutta l’attualità del nostro oggi: cambiata la società e la storia di quando era stata istituita sul finire del 1400, la Porta è ancora lì a testimoniare che il cammino della misericordia non ha tempo. La Porta della Misericordia nasceva come luogo visibile e memoriale della liberazione dei condannati a morte, «una piaga umanitaria che, tra l’altro, ancora oggi esiste tragicamente nel mondo», afferma il vescovo Libanori. «È una punizione crudele che seppur abolita nella legge o nella pratica da più di due terzi dei Paesi nel mondo – aggiunge padre Carbonaro – vede coinvolti 54 stati. Numeri che fanno riflettere su quanto l’annoso problema sia ancora presente nel mondo contemporaneo». Ma accanto a questo tema c’è anche quello dei tanti condannati a morte nelle guerre: donne, uomini e bambini «che perdono la vita sul “patibolo” costruito da alcuni potenti del mondo che non hanno alcun rispetto della povera gente. Pregheremo, infatti, anche per la pace affinché non ci sia più nessun sangue versato per la guerra». L’arciconfraternita della Misericordia – l’istituzione laica costituita l’8 maggio 1488 per desiderio di alcuni fiorentini residenti a Roma e ufficializzata da papa Innocenzo VIII nell’agosto del 1490 – aveva il compito di assistere i condannati a morte, confortarli e indurli al pentimento.

16 marzo 2024

La solidarietà della Chiesa di Roma alla popolazione del Malawi

«Sono vicino alle popolazioni del Malawi colpite nei giorni scorsi da un fortissimo ciclone. Prego per i defunti, i feriti, gli sfollati. Il Signore sostenga le famiglie e le comunità più provate da questa calamità». Queste le parole pronunciate da Papa Francesco al termine dell’udienza generale di mercoledì scorso, 15 marzo. Anche il cardinale vicario Angelo De Donatis ha subito espresso solidarietà alla popolazione colpita dalla grave calamità assicurando il ricordo nella preghiera. In questi giorni, infatti, il ciclone Freddy ha causato numerose vittime nel settore sud orientale del continente africano, particolarmente nel Malawi, una delle nazioni più povere dell’Africa australe.

Tramite l’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese, la diocesi di Roma ha stanziato una somma di cinquantamila euro da destinare alla popolazione alluvionata dell’arcidiocesi di Blantyre, città nel sud del Malawi, la più grande del Paese dopo la capitale Lilongwe.

Subito dopo il passaggio del ciclone, l’arcivescovo di Blantyre Thomas Luke Msusa ha scritto una lettera indirizzata a tutto il Popolo di Dio. «Desidero incoraggiare tutti quelli che sono ancora minacciati dal ciclone a cercare rifugio nelle parrocchie più vicine e istituzioni che sono salve. Ricordate, la prevenzione è sempre meglio della cura. (…) Voglio ringraziare tutti coloro che stanno donando cose varie di propria iniziativa. Inoltre lancio un appello affinché sia data maggiore assistenza alle vittime di questo disastro, che sono attualmente in condizioni miserabili. Le persone di buona volontà possono donare semplicemente cose come cibo, coperte, giocattoli per i bambini, acqua, prodotti per l’igiene personale».

Padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio diocesano per la cooperazione missionaria tra le Chiese, osserva: «Il surriscaldamento globale sta causando già da diversi anni danni indicibili, generando fenomeni alluvionali distruttivi o addirittura lunghi periodi di siccità. È importante ricordare che il continente africano contribuisce al global warming con una quota stimata attorno al 4 %, un valore minimale se confrontato con quello dei Paesi industrializzati».

17 marzo 2023

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